Di Aldo Ferrara, Pino Nicotri, Angela Deiana-Galiberti (*)

Parte I Le vie di interconnessione europea, TAV, TAC

Parte II Lo scacchiere dei mari Adriatico e Tirreno

Parte III Mar Mediterraneo: Final Approach, Belt & Road Initiative

Parte Prima

Le vie di interconnessione europea, TAV, TAC

Decongestionare la Valle Padana, camera a gas permanente

L’adozione del Protocollo di Kyoto, con i suoi meccanismi, si è rivelata poco utile e soprattutto non ha evitato che paesi poco sviluppati subissero le spese del cambiamento climatico. Anche le COP, fino alla 24° edizione, hanno mostrato la loro inefficacia.

Dagli anni settanta e con il profilarsi del declino fordista, lo sviluppo del mondo industrializzato si è affidato al terziario, sono aumentati i livelli di consumo e il trasporto su strada di merci materiali ed immateriali è cresciuto a dismisura.

Lo testimonia anche la politica UE con l’approvazione del Piano Van Miert di corridoi europei, nel segno di una maggiore e più profonda strutturazione viaria, senza peraltro voler trascurare quella ferroviaria. Ma in pratica, al di là delle intenzioni di trasferire merci e passeggeri su ferrovia, la tendenza che si è registrata è stata comunque a favore dei trasporti su gomma.

E Karel Van Miert, l’anticipatore dell’osmosi europea, probabilmente si rivolta nella tomba. Perché TAV e sviluppo programmato dei Trasporti Europei, regolamentazione legislativa ad hoc e limitazione del traffico, urbano ed extraurbano, legislazione urbanistica volta a limitare il traffico su gomma, riduzione dell’inquinamento e sviluppo del Traffico Pubblico Locale, sono ormai lettere morte.

Tra i principali esponenti del Partito Socialista belga, Karel Van Miert, immaturamente scomparso nel 2009, venne indicato nel 1989 dal governo del suo paese come Commissario Europeo del Belgio per i Trasporti, il credito e la tutela dei consumatori. Successivamente, come Commissario alla concorrenza (1993-1999) a lui si deve la tutela degli utenti telefonici, l’avvio della vertenza contro Microsoft e soprattutto della deregulation aerea. Senza Van Miert non avremmo oggi il low-cost nel trasporto. Per anni, in virtù di queste delicate tematiche, fu considerato “l’uomo più potente d’Europa”.

Karel Van Miert ebbe chiara subito, dall’osservatorio privilegiato di Bruxelles, una visione dell’Europa che cambiava pelle a causa degli eventi politici.

Innanzitutto il crollo del muro nel 1989 aveva aperto i mercati dell’ex impero sovietico. Ciò determinava la riapertura delle frontiere e l’immissione sul mercato di domanda crescente che avrebbe potuto favorire spostamenti di capitali verso Mosca e dintorni. La globalizzazione avrebbe potuto inglobare nel ciclo continuo anche il mercato ex-sovietico, estendendo i confini europei ad est ed allargando l’area del consumo. In realtà avvenne che lo scontro bipolare tra imperi (sovietico e statunitense) si trasformò, da militare a economico, in virtù delle enormi risorse immesse sul mercato libero dalla Russia a partire dal 1992-93. Il resto lo fece il “mondo degli affari”: in ballo c’era l’impossessamento delle enormi risorse dell’ex URSS. Emerse un coacervo di fattori ben poco trasparenti di cui fu, e tuttora è, interprete politico Vladimir Putin. La Russia divenne uno dei protagonisti del mercato globale.

La politica dei mercati liberi a regole disomogenee, interessò subito Van Miert, sin da quando fu Commissario ai Trasporti. Fu lungimirante nell’osservare che il contesto europeo era stretto in una morsa economica e che, lontana ancora l’idea di unità politica, si faceva strada quella monetaria che poi sfociò nell’euro, nel 2002. Ma gli era anche chiaro quanto fosse in evoluzione la trasmutazione dei sistemi macroeconomici, da industriali a post-industriali, post-fordisti e connotati da una spinta evolutiva verso il terziario avanzato – col relativo aumento degli spostamenti di merci materiali e immateriali.

Da tali motivazioni emergeva come essenziale il ruolo dei Trasporti Europei quale sistema efficace per saldare economie in difficoltà rette da regimi differenti. Un sistema elastico per saldare l’Europa, ancora indefinita nel suo profilo economico e per attutire le spinte monopolistiche e rendere più osmotica le frontiere, o meglio il concetto di frontiera, tra i Paesi Membri.

I trasporti dunque come cerniera e elemento favorevole all’osmosi tra popoli diversi. Purtroppo Van Miert riuscì a vedere, prima di morire nel 2009 in modo drammatico, solo l’unione monetaria con l’avvento dell’euro.

Van Miert aveva una concezione alta che vedeva nei trasporti una variabile economica indipendente, un essenziale volano di sviluppo economico. Capì che in questa fase post-industriale, c’era in nuce una sorta di ritorno al mercantilismo d’antan, in altra e riveduta veste, essendo spenta o attutita la spinta industriale in molti paesi europei, Germania eccettuata.

Vide anche che le disparità tra Paesi Membri, emergenti già dopo Maastricht, potevano essere sanate con un giusto equilibrio tra spostamenti compensativi di merci materiali mentre faceva capolino il fenomeno dell’immigrazione, che sarebbe cresciuta dino a divenire l’attuale fenomeno di massa.

Aveva ben chiaro, il Commissario Europeo quanto fosse indispensabile, per un’osmosi tra genti che parlano lingue diverse e che hanno tradizioni differenti, una coesione di fondo ben prima di un’unione monetaria. Nella sua visione lo sviluppo europeo, che passa anche attraverso turismo e integrazione culturale, sarebbe stato reso possibile solo attraverso la costituzione di una rete efficiente di trasporti.

Come commissario per i trasporti a Van Miert fu anche chiara la necessità di approfondire tematiche ecologiche per l’incremento consistente del traffico urbano ed extraurbano di cui già si cominciavano a notare i risvolti negativi sulla qualità non solo dell’aria ma dell’intero contesto sociale territoriale.

Così facilitò l’attività delle compagnie ferroviarie nazionali negli Stati membri ponendo le basi per la creazione di un mercato ferroviario europeo integrato, per le linee ferroviarie ad alta velocità (TAV), e ad alta capacità (TAC) nel trasporto merci, introducendo anche nuove regole per il trasporto di merci su strada qome la limitazione di velocità per camion e autobus.

FIG.1 I Corrridoi o larghe fasce di trasferimento ferroviario (TEN-T)

Dalla visione di Van Miert nascono i Corridoi Europei (FIG.1) allo scopo di creare un tessuto di interscambio multifunzionale tra tutti i Paesi e non solo tra un Paese e l’altro. Un tessuto di integrazione e non di esclusione. Che implicava anche il ruolo del Mar Mediterraneo come centrale negli assetti di spostamenti strategici, di beni materiali e immateriali.

Egli già poteva intuire il ruolo dei paesi ex-sovietici in questo contesto, supportato dai paesi dell’Eurasia, sempre più attivamente presenti nel mercato europeo per il trasferimento di greggio e gas. Con l’arrivo sul mercato europeo di prodotti energetici derivanti dall’impianto para-monopolistico (vedi Gazprom e Rosneft ), si aprì anche l’afflusso di camion e autobus, in quantità tale da giustificare di per sé l’adozione delle misure sui mezzi pesanti volute da Van Miert.

Egli insomma fu un anticipatore di quello che sarebbe stato il contesto europeo in una geo-politica condizionata dall’ingombrante vicinanza della Russia, dei suoi paesi satelliti (Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, i 5 stan) e dalla questione nord-irachena.

Il volto dell’economia europea cambiava, e il consumatore-utente si trovava sempre più in balia dei monopoli, degli oligarchi e delle grandi holding.

Per qeusto il passaggio di Van Miert, dal governo europeo dei Trasporti di merci materiali ed immateriali a quello della Concorrenza fu il naturale sviluppo della visione di un’Europa efficacemente unitaria.

Van Miert ci ha lasciato troppo presto, nel 2009, cadendo da una scala nel suo giardino, e non ha potuto vedere che quanto da lui paventato si stia effettivamente realizzando, in un’Europa sempre più scompaginata.

Via i TIR dalle strade

Secondo le raccomandazioni UE, il nostro Paese deve destinare alla ferrovia ed all’alta velocità il trasporto delle persone e dei beni. Invece dal 1964, quando si inaugurò l’Autosole, si utilizzano le due grandi arterie di traffico autoveicolare (la A1 sul versante centrale e l’A14 su quello adriatico) per il trasferimento della massima parte delle merci materiali: nella misura dell’85%. Dal 1964 non si registra alcuno sviluppo ferroviario per il trasporto merci: tutt’altro. La tragedia di Casalecchio del 6 agosto 2018 (vari mezzi pesanti coinvolti in un incidente che ha dato luogo all’incendio di un’autobotte, due morti, 145 feriti, crollo di un ponte) è uno dei tanti campanelli di allarme, forse il più scioccante, che indica la necessità improrogabile che l’Agenda politica faccia il punto sulla gravissima situazione della sicurezza dei cittadini sulle strade.

Fig.2 Mobilità e trasferimento passeggeri mediante gomma e su ferro nel decennio 2005-2014 (fonte AISCATT, 2015).

L’introduzione dell’alta velocità (2010) su rotaia ha decisamente abbreviato i tempi di trasferimento passeggeri lungo la dorsale appenninica, parallela a quella percorsa dall’A1, per semplificare la tratta Salerno-Roma-Milano-Torino con le tappe intermedie. Malgrado questo, e a dispetto di quanto percepito dalla collettività, persistono alti volumi di traffico privato su gomma come testimoniato dalla Fig. 2 (AISCATT, 2015). La leggera flessione che si intuisce nella curva superiore, a partire dal 2012, è più probabilmente espressione della crisi economica che ha indotto alla contrazione di viaggi non indispensabili. Tale andamento si registra anche nei volumi di traffico ferroviario ( curva inferiore) a testimonianza di una contrazione globale della mobilità.

FIG. 3 Andamento del trasferimento merci nell’ultimo decennio ( fonte AISCATT, 2015).

La Fig. 3 indica quanto prima suggerito circa il trasferimento elettivo delle merci su gomma. Nello stesso periodo, cui si faceva prima riferimento (2012-2014), si assiste ad una flessione del volume merci trasferito ma questa è dovuta alla contrazione di mercati, vendite e consumi a causa dell’effetto deflattivo di questo ultimo decennio. Che la preferenza per il trasporto delle merci su gomma non sia solo una prerogativa italiana ma dell’intera Europa, lo dimostra la tabella 1. Indipendentemente dalla crisi del 2008, e che comunque riguarda la quantità delle merci trasferite, la modalità di distribuzione segue sempre l’andamento classico su gomma, siano esse deperibili e quindi a trasferimento rapido, o siano esse meno deperibili e quindi facilmente trasportabili su ferro.

Tab. 1 Traffico Interni merci dal 2007- 2012 ( anni della grande crisi)

Il trasferimento merci

Nell’Unione Europea il trasporto su strada è quello più utilizzato per le merci: circa il 45% sul totale trasportato. Mentre In Italia questa modalità sale fino al 55%. Malgrado la riduzion edovuta alla crisi del 2008 e anni successivi in tutta la UE, la Polonia che ha mostrato una crescita vicina al 40% nel trasporto su gomma nel periodo 2007-2012. L’Italia è invece il paese che ha fatto registrare la contrazione più pesante nel 2011 (-18,7%) con lieve recupero nel 2012 (-13,2%), non tanto nelle merci in uscita, ossia esportate, quanto per le importazioni: a causa della contrazione dei consumi, (ANFIA; 2014).

In genere i valori percentuali di spostamento merci su strada rendono ragione delle possibilità infrastrutturali del territorio. Ad esempio, è vero che la penisola italiana con la sua configurazione orografica, arco alpino e lineare appenninica, mal si presta ad un trasferimento su ferrovia, eccezion fatta della valle padana, che vedrà appunto il percorso dell’alta capacità di trasferimento merci, inscritta lungo il corridoio 5 Lisbona-Kiev. Anche in virtù delle nuove infrastrutture, le speranze dell’UE tendono a modificare l’assetto attuale e infatti la previsione, probabilmente ottimistica, è quella di trasferire ad altra modalità il 30% della merce su gomma entro il 2030, per raggiungere l’obiettivo finale del 50% su strada nel 2050. Quel che si registra è un comportamento poco virtuoso a dispetto delle enunciazioni politiche di sostenibilità e si evidenzia addirittura la tendenza a una riduzione progressiva, dal 2007 ad oggi, dell’uso della rotaia.

Il Rapporto Nomisma Federtrasporto 2011 indica una progressiva internazionalizzazione della logistica e il numero di fusioni e acquisizioni nel settore dei trasporti (+12,5%). Lo studio evidenzia una sorta di controtendenza rispetto allo scenario globale (in cui anche il mondo della finanza sembra congelato), è proprio il settore dei trasporti a mostrare, a livello sia nazionale che internazionale, segni di dinamismo per quanto riguarda le “merger and acquisition” (M&A). Nel 2010, il numero di fusioni e acquisizioni nel mercato italiano è stato superiore del 12,5% rispetto all’anno precedente. Secondo quanto emerge dal rapporto Federtrasporto-Nomisma, nel biennio 2009-2010, la logistica è il comparto che ha fatto registrare il maggior numero di acquisizioni (14), seguita dal trasporto pubblico locale (8); anche dal lato delle aziende oggetto di acquisizione prevalgono le imprese di logistica (15), seguite sempre a grande distanza da porti e aeroporti (7 ciascuno). La crescita complessiva dei processi di fusioni e acquisizioni riguarda i gli investimenti di Italia su Italia, ma anche le operazioni Estero su Italia, mentre è in diminuzione il percorso inverso, di imprese italiane che acquisiscono società o compagnie estere.

Abbiamo sentito per anni il leit-motiv “Cura del ferro” per la sicurezza stradale, ebbene è arrivato il momento di rendere reale tale auspicio:una sana dose di ferro per l’anemica economia italiana e per il troppo sangue sparso sulle strade.

Riferimenti bibliografici:

Ferrara A. Karel Van Miert, il profeta della vera unione europea, glistatigenerali.com, 4.10.2016

Ferrara A. Venturelli C., Sgadurra C., Giambartolomei S., Azzarà V. La vita al tempo del petrolio, Agorà & Co, Lugano, 2017

Ferrara A. La tragica lezione di Bologna:via le merci dalle strade, sì alla Tav, glistatigenerali.com, 7.08.2018

Parte Seconda

Lo scacchiere dei mari Adriatico e Tirreno

Le autostrade del mare non sono utopia

Non è da poco che ci si chiede se l’integrazione politico-economica europea avrebbe potuto essere favorita dallo sviluppo delle vie d’acqua nel Mediterraneo. Di queste quella più importante è la branca sinistra costituita dal Mar Tirreno che vanta porti francesi come Marsiglia e Tolone, italiani come Genova, Livorno, Citavecchia, Napoli, Palermo. Veri e propri trampolini di lancio sulle acque per il turismo, e per lo spostamento di merci materiali e immateriali.

Per quanto meno consistente, l’offerta portuale dell’altra branca, quella Adriatica, si sta già attrezzando. L’Ansa del 25.01.17 diramò la seguente notizia: (ANSA) – Trieste, 23 gennaio 2017 – “Partirà mercoledì 25 gennaio dal Porto di Trieste il primo treno intermodale programmato a lunga percorrenza sulla direttrice Kiel-Goteborg per il trasporto di contenitori, semirimorchi e casse mobili, in arrivo e partenza via mare da Turchia e Grecia da e per il mercato dell’area baltica. Il treno – annuncia oggi l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale – partirà alle 11.00 da Trieste e raggiungerà Kiel (Germania) alle 13.00 del giorno successivo. Da qui il carico proseguirà via mare per arrivare alla destinazione svedese di Goteborg, nella mattinata di venerdì. Il servizio rappresenta il primo collegamento operativo lungo il corridoio TEN-T Adriatico-Baltico. L’iniziativa è stata avviata su richiesta della Ekol, operatore logistico che utilizza il Terminal EMT del Molo VI e che di recente ne ha acquisito la partecipazione di maggioranza….. La distanza ferroviaria è di 1.360 chilometri, a cui si aggiungono 234 miglia marine per la destinazione finale, con un transit time ferroviario di 26 ore e di 14 ore via ferry. Il treno sarà composto da 16 carri “Poche” doppi con una capacità di carico pari a 32 Uti (unità intermodali da 45′ o 13,6 metri).”(vedi Fig. 4, cartina ANSA, a lato). Fig.4

FIG. 4 Rotta di comunicazione tra Trieste e Kiel. Una sorta di Rotta Mitteleeuropea

Come noto lo sviluppo portuale adriatico si inscrive nell’interesse della Repubblica Cinese e del Progetto definito Belt and Road Initiative, una sorta di riedizione della Via della Seta. L’interesse cinese non è solo rivolto allo Hub triestino ma si estende a tutto il mare Adriatico. La China Communication Construction Company Group è interessata alla progettazione del Porto Offshore di Venezia. Anche Ravenna è oggetto di interesse di China Merchants Group (cantieristica) che dal giugno 2018 ha insediato la sua divisione europea per l’ingegneria navale e oil&gas; mentre nel Mar Tirreno la cinese COSCO è attivamente presente nel terminal di Vado Ligure (Savona) 1. Le implicazioni sono tante, e non solo riguardo ai trasporti su ferro, ma anche per il generale assetto geo-politico. Come è noto, malgrado l’avveniristica concezione di Karel Van Miert, i corridoi di percorso obbligato su ferro in Europa sono disattesi da molti anni.

In via teorica, lo sviluppo delle vie del mare potrebbe favorire anche lo sviluppo dei trasportisu ferro. In una realtà di trasporto intermodale, il corridoio ferroviario che unisce il Mar Baltico con il Mar Mediterraneo può promuovere lo spostamento virtuoso di merci materiali ed immateriali, anche se taglia fuori dal trasferimento merci, e successivamente passeggeri, i paesi dell’Intermarium ( Paesi Baltici, Polonia, Ungheria, Romania, Croazia, Serbia, Montenegro, Repubblica Ceka e Slovacca) da tempo favorevoli ad una “terza via” economica e stretti nella tenaglia Russia-Germania. Detti Paesi, che hanno sancito l’accordo di Viségrad, operano per depotenziare l’asse Berlino-Mosca, a loro poco favorevole negli accordi commerciali su gli scambi petroliferi e di greggio particolarmente.

TAB.2 Trasporto Merci Su Strada, Analisi economico-statistica delle potenzialità e criticità di un settore strategico per lo sviluppo sostenibile, 2013, ( fonte ANFIA).

Tuttavia una politica dei trasporti avveduti può utilizzare il corridoio Trieste Kiel per l’intermodalità dì esportazione delle merci italiane che da tempo soffrono del depotenziamento del trasferimento su ferrovia (Tab. 2).

Ecco dunque che si configura un processo di derivazione di merci materiali ed immateriali sulle vie del Mare, le Autostrade del Mare, nelle quali appare amplissima la potenzialità italiana con i suoi porti attrezzati per il carico-scarico di navi ro-ro, ossia quei battelli ideati e costruiti per il trasporto viaggiante di merci e passeggeri. E che questa possibilità sia di tendenza lo dimostra che nel 2016 i porti del Nord della Sardegna (Olbia, Golfo Aranci e Porto Torres) hanno fatto registrare una movimentazione di circa 4,5 milioni di passeggeri, circa 650 mila in più rispetto al 2015 (+ 17,2 per cento): un dato da “top ten” del Mediterraneo.

Inquinamento e Traffico

Il processo di crescita e sviluppo dei nostri paesi occidentali si muove secondo un modello industriale sostanzialmente post-fordista, in cui gioca un ruolo primario il terziario avanzato. Lo strumento principale di diffusione dei prodotti è il loro trasferimento su gomma, ma questo evoca due problemi: da un lato l’inquinamento e dall’altro la congestione del traffico.

Basti pensare a quanto succede sulla sponda adriatica italiana, sede dei principali insediamenti di PMI (vedi Marche). L’impossibilità di trasferire in tempi concorrenziali il prodotto deriva dalla pochezza delle infrastrutture. Nella sponda adriatica, sono attivi solo due flussi di traffico: l’A14, autostrada Bologna-Taranto, e la strada statale SS 16 che attraversa tutti i paesi della costa di ben 5 Regioni (Veneto, Emilia, Marche, Abruzzo, Puglia). È evidente che sul piano della salubrità di quest’area lo spostamento delle merci deve essere portato altrove. I tassi di inquinamento di S. Benedetto del Tronto parlano chiaro.

La Fig.5 mostra l’inquinamento in aree urbane della costa adriatica al paragone con altre città medie italiane: si noti il maggiore inquinamento dei quartieri residenziali di S. Benedetto del Tronto.

Non conviene dunque utilizzare le vie del mare per lo spostamento delle merci?

Un calcolo approssimativo viene fornito da Busseti (2011) con l’indicazione che il più potente motore navale, un diesel di 88.000 KW circa, ha un consumo di circa 170 grammi di nafta per ora, e quindi complessivamente di circa 15 tonnellate su medie tratte. Per i camion, si ricorre alla misura del consumo per tonnellata di merci/ km. Un autoarticolato o un autotreno percorre da 2,5 a 3,0 km con 1 litro di gasolio, trasportando da 20 a 30 tonnellate, e l’ordine di grandezza dei consumi unitari non cambia (Busseti, 2011). Segnaliamo, a tal proposito, uno studio di Confetra che su questo tema indica come dato medio 2,73 km/litro. Attraverso l’analisi di questi dati, si verifica che con un litro di gasolio, pari a circa 0,820 kg, un autoarticolato può trasportare il suo carico di 25 tonnellate per 2,73 chilometri. Ciò vuol dire che il suo consumo specifico è pari a 0,820 kg diviso per 25 tonnellate e per 2,73 chilometri; a calcoli fatti, sono circa 12 grammi di combustibile per tonnellata e per chilometro (12 g/tkm). Se il trasporto avviene via mare, lo stato dell’arte cambia radicalmente, a patto però di puntualizzare la tipologia di nave.

Navi ro/ro.

Ricordando il dato di Confetra, che indicava in 2,7 km la distanza percorribile da un autoarticolato con un litro di gasolio (ossia con circa 0,820 kg), il consumo specifico di un trasporto stradale per un carico di 27,5 tonnellate risulta di 14,7 g/tkm, sempre tenendo conto di un 25% di percorsi a vuoto.

Nel caso di una nave ro/ro di caratteristiche usuali, viene confermato il principio della maggior efficienza energetica del trasporto marittimo rispetto a quello stradale. Giancarlo Busseti ci riferisce il calcolo esatto.“…Con una capacità di trasporto vincolata dalla lunghezza di corsie della nave, risulta evidente che la capacità stessa dipende dal tipo di veicoli che vengono imbarcati. Lo stesso quantitativo di merce può infatti viaggiare su un semirimorchio, su un autoarticolato o su un autotreno, occupando nei tre casi una diversa lunghezza di corsia. Ai fini dell’analisi qui sviluppata si può prendere come primo riferimento un carico di semirimorchi da 12,50 m, che richiedono una disponibilità lorda di corsia pari a circa 14,5 metri. In questo caso il numero massimo di semirimorchi che può essere stivato a bordo di una nave da 2.000 metri di corsie risulta di 138. Introducendo il consueto fattore di utilizzazione del 75% il numero scende a 103 semirimorchi, che con un carico medio di 27,5 tonnellate porta a un carico utile totale di 2.850 tonnellate. Se la potenza richiesta da una nave ro/ro da 2.000 ml per viaggiare a 19 nodi è di circa 10.000 kW come risulta dalla Tabella 2, il suo consumo di combustibile risulta di 1.750 kg/h, con un consumo specifico di 17,5 g/tkm.(1)”.

Inoltre i consumi unitari del sistema ro/ro potrebbero essere ridotti utilizzando navi di maggiore dimensione, visto che i consumi non crescono in proporzione al dislocamento e quindi alla capacità di carico. Tuttavia un aumento della capacità non porterebbe a conclusioni sostanzialmente diverse, neppure utilizzando navi da 3.000 metri lineari.

Tirreno: Mare tutto da utilizzare

  1. Appare dunque evidente che, una volta scelto il sistema di trasporti più conveniente, specie per quelli intermodali verso le isole, ossia le navi Ro-Ro, si tratta di scegliere le rotte più convenienti, specie quelle in cui la domanda/ offerta appare più idonea. È il Mar Tirreno che si presta a scambi intermodali di questo tipo per le seguenti motivazioni:

  2. Lambisce le coste di ben 5 Paesi a raggio di raggiungimento navale entro le 48 ore per la dislocazione di merci deperibili, (Francia, Italia, Algeria, Libia, Malta).

  3. Si presta per i trasferimenti intermodali internazionali tra i Paesi sopra elencati.

  4. Può utilizzare i porti di Marsiglia, Tolone, Genova, Livorno, Olbia, Civitavecchia, Cagliari, Arbatax, Napoli, Palermo. Dunque 10 porti, di cui ben 8 italiani, con rotte lineari o meridiane: Genova, Livorno, Olbia, Cagliari, Palermo ad ovest mentre a est può seguire la tratta Genova Livorno, Civitavecchia, Napoli, Palermo.

  5. Detto network può consentire il trasferimento intermodale di merci materiali e immateriali (merci e flussi turistici) su due versanti di turismo attrezzati come la Sardegna e la Corsica (Fig. 6).

Conclusioni

Lo stato dell’arte del network dei trasporti intereuropei indica la necessità di dare luogo al Progetto di Interconnessioni ideato da Van Miert. Qualificate come Reti TEN-T a prevalente componente ferroviaria di Alta Capacità, hanno subito un progressivo degrado verso il mantenimento delle statu quo su gomma. E dunque hanno impedito una possibilità di interconnessione con la Rete Ferroviaria Euroasiatica, mentre l’aumento dei flussi commerciali segnava un deciso incremento. Sono dunque le autostrade del Mare il più logico supporto al deficit di Trasporti cui sta andando incontro l’intero Continente Europeo.

Riferimenti bibliografici:

ANFIA Trasporto Merci Su Strada, Analisi economico-statistica delle potenzialità e criticità di un settore strategico per lo sviluppo sostenibile, 2013

Busseti G. Costi energetici e trasporto Marittimo, Sardegna Industriale, 1-2, 2011

Centro Studi Confetra , “Effetto serra, emissioni CO2, trasporto merci”, Quaderno n. 109/1, novembre 1998 in G. Busseti ibidem

Corte dei Conti Europea, rapporto 08, 2016, Il trasporto delle merci su rotaia nell’UE non è ancora sul giusto binario

Ferrara A. Karel Van Miert, il profeta della vera unione europea, Glistatigenerali.com, 4.10.2016

Ferrara A. Trieste ritorna porto mitteleuropeo: ma è del tutto positivo? Glistatigenerali.com, 25.01. 2017

Ferrara A., Colella A., Nicotri P. Oil Geopolitics, Agorà&CO, Lugano, 2019

Parte Terza

Mar Mediterraneo: Final Approach, Belt & Road Initiative

La Belt&Road Initiative

Il Mediterraneo – una volta il Mare Nostrum – tornerà a essere ciò che il suo nome significa, e cioè “In mezzo alle terre”, dove per terre si intende l’Europa, l’Africa e l’Asia? È possibile, se non probabile o certo. E a riempire concretamente il significato del suo nome sarà il poker d’assi porti italiani di Genova e Trieste e quelli spagnoli di Bilbao e Valencia più quello portoghese meridionale di Simes: questo infatti anche se affacciato sull’Atlantico farà da snodo verso l’Africa. Questi cinque porti saranno i terminali occidentali del gigantesco progetto cinese Belt and Road Initiative, in sigla BRI, noto anche come Nuova Via della Seta, al quale hanno già aderito 60 Paesi più oltre 40 organizzazioni internazionali e che intende stimolare anche con rotte navali non solo l’integrazione dei commerci e delle economie dei tre continenti citati, ma diventare per loro “un percorso che porta all’amicizia, allo sviluppo condiviso, alla pace, all’armonia e ad un futuro migliore”. Lo ha dichiarato a Shangai lo scorso novembre il presidente della Cina Xi Jinping all’International Economic and Trade Forum, al quale il 5 novembre ha partecipato, con il suo secondo viaggio in Cina, il nostro vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio2

Poche settimane dopo avere pronunciato quelle parole il presidente Xi è stato in visita in Spagna dal 27 al 29 dello scorso novembre per proporre l’adesione alla BRI anche alla Spagna, Paese nel quale l’anno scorso la compagnia navale cinese Cosco Shipping Holdings si è aggiudicato il 51%, cioè la maggioranza assoluta, del gruppo spagnolo Notaum Port, gestore dei servizi portuali per le navi container a Bilbao e Valencia. E se la Spagna si è riservata di decidere, il Portogallo invece lo scorso 5 dicembre ha aderito e concesso per la BRI lo sbocco nel porto di Simes, sulla costa meridionale del Portogallo e poco distante dallo Stretto di Gibilterra. Oltre a funzionare come punto di raccolta delle merci della BRI da irradiare verso l’Africa, Simes sarà di fatto per la Nuova Via della Seta anche la porta di ingresso al Mediterraneo, dove la BRI potrà contare sui quattro porti sopra citati, due francesi e due italiani. Di questo poker di porti del Mediterraneo alla Cina interessa in particolare quello di Trieste perché è l’unico porto europeo che gode di extraterritorialità doganale ed è collegato via treno all’Europa centrale e orientale.

Perché no? Anche la Sardegna

Mentre il mondo intero, e in particolare coloro che “comandano” (o credono di poterlo fare), attendono con mal celato fastidio la firma del memorandum Italia-Cina per la nuova “via della Seta”, l’interesse di Pechino per l’Italia e per la sua strategica posizione geografica all’interno del Mar Mediterraneo non è mai stato un segreto né un mistero.

Testimone perfetto di questo corteggiamento è quanto, in questi ultimi 36 mesi, è emerso riguardo i possibili investimenti cinesi in Sardegna: una Regione che solo in apparenza offre poco, ma che in realtà – in virtù della sua posizione e di altre sue caratteristiche peculiari – si candida naturalmente a potenziale centro per i traffici marittimi (e non solo) di merci e persone.

Al centro di questo interesse vi è Olbia: città di 60.000 abitanti, un aeroporto internazionale da quasi 3 milioni di passeggeri e un porto tra i più floridi d’Italia. Olbia è, nei fatti, la porta internazionale della Sardegna e qua si concentrano massicci investimenti stranieri: gli ultimi arrivati sono i qatarioti con la loro Qatar Foundation Endowment e il Mater Olbia (ospedale privato che si candida, per ora solo sulla carta, a diventare un centro di ricerca e cura di livello internazionale).

È questo contesto che vede la Cina osservare con gentile interesse la porta della Sardegna: perfetta per due tipi di investimenti, ovvero da una parte lo sviluppo turistico e dall’altro quello dei traffici marittimi.

Il tutto, chiaramente, inserito nel quadro generale della nuova via della Seta: il grande progetto cinese che dà sfogo al suo immenso mercato interno, crea relazioni pacifiche con gli Stati e promuove il reciproco sviluppo.

Il possibile investimento su Olbia potrebbe aggirarsi intorno al miliardo di euro: riqualificazioni urbane, mitigazione del rischio idrogeologico, recupero aree ambientali per renderle fruibili dalla popolazione, costruzione di alberghi e di un campo da golf, canali navigabili, un secondo aeroporto internazionale e un porto turistico interno per maxi yacht. Un investimento di questa portata potrebbe generare, sul territorio, circa 5000 posti di lavoro fissi più le professionalità impiegate negli eventuali cantieri e tutto l’indotto generato dalle attività collaterali (movimento terra, agroalimentare, enologico e così via).

Il secondo punto di interesse è il porto Isola Bianca, dove attraccano sia navi ro-ro che navi da crociera. Perché pensare a questo porto e non a Cagliari? Per la posizione, le infrastrutture e il potenziale, ma anche perché la concessione trentennale della Sinergest sta per scadere e l’Autorità di Sistema Portale Mare della Sardegna sta predisponendo il bando internazionale che, naturalmente, apre potenzialmente le porte ai grandi gruppi internazionali.

La Sardegna marittima interessa i cinesi per i suoi numeri, che sono importantissimi. Nel 2017, l’Adsp sarda si è classificata al terzo posto, in Italia, per traffico merci con 48.844.273 tonnellate di merci (rinfuse liquide, solide, contenitori, varie e su gommato); al quarto posto per i mezzi pesanti trasportati, con 501.764 unità. Al sesto posto, invece, per traffico crocieristico. I numeri record, però, riguardano i passeggeri: primo posto per passeggeri trasportati che sono stati 4.670.320 di persone. Come sono distribuiti questi passeggeri? Semplice: il Re dei porti è l’Isola Bianca di Olbia con 2.695.000 passeggeri (il resto viene diviso tra Cagliari, Porto Torres e Golfo Aranci – questi ultimi due situati a poca distanza da Olbia).

Insomma, la Sardegna per la Cina potrebbe essere un tassello importante non solo per movimentare merci, ma anche come meta turistica e come piattaforma di investimento. Progetti sarebbero in stand-by in attesa di evoluzioni ulteriori.

Diciamo subito per completezza d’informazione che ci sono anche voci molto contrarie alla Nuova Via della Seta, vista come un tentativo di allontanare l’Italia dalla Nato (ma a cosa serve una volta scomparsa l’URSS e annesso “pericolo comunista”?) e dall’Europa. Tra i contrari spicca da tempo Alessia Amighini, Co-direttrice dell’Osservatorio Asia presso l’Istituto per gli studi di politica internazionale3 Amighini rileva che “Gli altri grandi esportatori europei , di cui si lamenta la maggior forza economica e commerciale in Cina, non hanno firmato MoU (ndr: sigla inglese per Lettera di Intenti), ma guidato e sostenuto cordate e missioni di imprese per firmare contratti e accordi concreti”. E conclude: “Il MoU tra Italia e Cina è destinato indubbiamente a sigillare il ruolo strategico dell’Italia come ponte strategico della Cina in Europa, e non invece come ponte tra Ue e Cina. Sperare che almeno intensifichi il commercio e gli investimenti non basta a compensare le remore di un documento le cui conseguenze politiche non riusciamo ora nemmeno a immaginare”.

Il pioniere dei rapporti economici con la Cina è stato indubbiamente il socialista Gianni De Michelis quando era il nostro ministro degli Esteri, e non solo perché essendo veneziano aveva letto Il Milione di Marco Polo. De Michelis fondò a Padova una associazione per incrementare la reciproca conoscenza e gli scambi tra Italia e Cina. Anche Romano Prodi quando era il nostro premier ha intrapreso iniziative a favore dei contatti e degli scambi Italia-Cina. Silvio Berlusconi invece quando era premier ha rinviato e infine annullato per ben tre volte il suo viaggio di Stato in Cina, preferendo invece altri impegni. Dopo queste premesse nostrane l’Italia sarà il primo Paese europeo ad aderire anche con sue infrastrutture al grande progetto cinese della Nuova Via della Seta? E’ molto probabile, se non certo. Si intitolava “La Cina è vicina” il film, alquanto noioso, di Marco Bellocchio del ’67, in piena epoca di comunismo avanzante e anticamera del famoso ’68. Ma in realtà la Cina era lontana. Lontanissima. Oggi, morto il comunismo, la realtà è che la Cina non solo è vicinissima, ma è ormai tra noi. La Lunga Marcia intrapresa da Mao Tzedong (all’epoca si scriveva Mao Tze Tung ) è infatti proseguita, ha mutato volto e prosegue tuttora alla grande, anche se con sviluppi decisamente imprevisti e tra pochi giorni fa tappa in Italia. Ma andiamo per ordine.4

Fino al crollo dell’Unione Sovietica e del comunismo l’Italia era la portaerei USA e Nato posta tra il mondo capitalista a ovest e il mondo comunista a est. Il Portogallo, a partire dalle isole Azzorre, e l’intera penisola iberica erano considerate dal Pentagono e dalla Nato la parte iniziale di un imbuto che andava man mano allargandosi all’intera Europa con la disseminazione di basi militari. In Spagna è successo perfino, il 17 gennaio ’66, che quattro bombe atomiche a stelle e strisce precipitassero da un bombardiere, una in mare, una su un terreno privato, una vicino alla foce di un fiume e una in montagna, per fortuna tutte senza scoppiare nonostante l’esplosione dell’innesco 5 Oggi vediamo la Cina in procinto di firmare accordi che fanno dell’Italia il porto navale cerniera tra Occidente e Oriente dopo avere stipulato accordi 6che fanno della penisola iberica, e in particolare del Portogallo comprese le Azzorre, la base e il trampolino di lancio per linee di navigazione commerciale che si irradiano ad imbuto non solo verso l’ Europa, ma anche verso l’Africa e lo stesso continente americano. Il tutto mentre gli investimenti cinesi in questi tre continenti vanno al galoppo, al punto da avere provocato all’Italia prima ammonimenti USA 7 e poi anche ammonimenti dell’Europa 8 perché vengano messi un freno e un argine alla campagna acquisti lanciata da anni da Pechino e supportata massicciamente dal grandioso progetto della Nuova Via della Seta/Belt and Road Initiative. Un progetto destinato a cambiare oltre alla realtà economica europea la realtà geopolitica del pianeta, specie se viene realizzata completamente anche l’iniziativa russa Razvitie 9 , per certi versi geograficamente parallela alla cinese BRI.

L’occasione per la nuova tirata d’orecchie è la visita di Stato in Italia del presidente cinese Xi Jinping, prevista dal 21 al 24 marzo, nove anni dopo la visita del suo predecessore Hu Jintao, che su invito dell’allora premier Silvio Berlusconi partecipò anche alla riunione del G8 a L’Aquila. All’incontro col presidente Sergio Mattarella, il quale è già andato a Pechino nel febbraio 2017, seguirà quello più operativo col premier Giuseppe Conte e con varie aziende per la firma di una serie di accordi che vanno dalla cancellazione della doppia fiscalità fino alla probabile adesione italiana alla Nuova Via della Seta, con la concessione anche di terminali marittimi nei porti di Genova e Trieste, cioè su entrambi i lati dello Stivale, e ad accordi con varie aziende. Pechino è interessata al porto di Trieste perché è l’unico porto europeo che gode di extraterritorialità doganale ed è collegato via treno all’Europa centrale e orientale.

Riguardo gli accordi aziendali, stando a indiscrezioni riguarderebbero strade, ferrovie, ponti, aviazione civile, porti, energia e telecomunicazioni, e sono già stati stilati dai tecnici del ministero dello Sviluppo Economico, il cui titolare, Luigi Di Maio, è già stato in Cina due volte, l’ultima lo scorso novembre in occasione dell’International Economic and Trade Forum a Shangai. Di Maio a Shangai pur sbagliando il nome del presidente cinese, chiamato erroneamente Ping, ha tenuto un discorso di vari minuti molto impegnativo e molto proiettato a favore degli accordi con la Cina per stimolare le esportazioni del made in Italy. A favorirle molto sarà il polo logistico integrato di Mortara, nel Pavese. Nel giugno del 2017 sono stati firmati infatti accordi 10 per collegare Mortara via treno alla città di Chengdu lungo la prima rotta Cina-Italia. Il partner cinese in questa operazione è Changjiu Group (oltre 20 miliardi di fatturato). I treni merci arriveranno in circa 18 giorni e torneranno indietro carichi di prodotti made in Italy. Sono previsti fino a tre viaggi a settimana e il collegamento con Shanghai e Pechino. Il primo treno è partito il 28 novembre 2017.

Con la firma degli accordi con Xi a Roma l’Italia diventerebbe il primo Paese dell’Unione Europea a sostenere la BRI, che ha già raccolto più di cento adesioni di Paesi e grandi organizzazioni internazionali.

Il monito Usa appare alquanto strumentale, visto che il presidente Trump, dopo avere minacciato contro la Cina la guerra dei dazi ora pare che punti a un vasto accordo proprio con Pechino11 , motivo per cui il 27 marzo incontrerà a Mar-a-Lago lo stesso Xi. Uno dei motivi per cui Trump minaccia di intervenire nella recente crisi politica del Venezuela è che tale Paese, ricco di petrolio, ha stretto accordi con la Cina per la sua lavorazione ed esportazione. Il problema è che il mega progetto cinese fa un po’ concorrenza ai due grandi progetti di libero scambio patrocinati dagli Usa: vale a dire al Transpacific partnership (TTP)12 , che lega agli Usa gli Stati con i quali gli Stati Uniti hanno avuto a che fare con la seconda guerra mondiale e con quella del Vietnam, e al Transatlantic trade and investment partnership (TTIP) (https://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_transatlantico_sul_commercio_e_gli_investimenti) progetto di libero scambio tra Europa, Stati Uniti e Canada.

Il monito di Bruxelles suona piuttosto ipocrita visto che negli ultimi 10 anni c’è stata la gara tra i Paesi europei ad accogliere gli investimenti cinesi: che hanno fatto 227 accordi economici con l’Inghilterra, 225 con la Germania, 89 con la Francia, contro gli 85 con l’Italia. In totale, negli ultimi 10 anni, Pechini ha investito in 30 Paesi europeo 225 miliardi di dollari per stipulare 678 accordi societari, 360 dei quali si sono conclusi con il passaggio del controllo azionario in mani cinesi. Accordi, si badi bene, autorizzati e spesso patrocinati dai rispettivi governi europei, con la cancelliera Angela Merkel, la collega britannica Theresa May e il francese Emmanuel Macron volati a bella posta a Pechino.

Tutto questo attivismo è avvenuto e avviene nonostante la lettera 13 che Italia, Germania e Francia hanno scritto all’Unione Europea proprio perché allarmate dalla grande campagna acquisti targata Pechino. Ma la cosa strana nostrana – mi si scusi il bisticcio di parole – è che mentre Di Maio e il suo M5S- più il premier Giuseppe Conte, anche se come al solito sottotono – sono molto favorevoli agli accordi con Pechino, a tirare il freno è Matteo Salvini nonostante che il principale sponsor della visita di Xi in Italia è stato proprio un leghista, Michele Geraci, sottosegretario allo Sviluppo Economico, oltre che di suo banchiere e docente in Cina per dieci anni, tanto da parlare fluentemente il cinese. A conti fatti, pare di assistere alla stessa baruffa per la TAV, ma a parti invertite: questa volta a essere contraria invece del M5S è la Lega. E dire che mentre sull’utilità della TAV può anche essere legittimo avere dubbi, sull’utilità della BRI dubbi non ce ne possono essere. Difficile che la Lega vada oltre le enunciazioni di principio e la retorica “patriottica”, visti gli interessi in ballo in piena “Padania” come dimostrano gli accordi e il ruolo di Mortara. I maligni insinuano che mentre Di Maio “guarda a Pechino”, e ne è appoggiato concretamente, Salvini invece “guarda a Mosca”, in particolare al suo presidente Putin, e ne è appoggiato altrettanto concretamente.

Come che sia, è evidente che tanto per cambiare c’è un po’ di confusione, tant’è che l’economista Renato Brunetta, parlamentare ed ex ministro di Forza Italia, accusa il governo di gestire male questa “grande occasione”, per la quale reclama un ruolo di protagonista dell’Italia.

In pratica i cinesi anziché mostrare i muscoli e imitare gli USA piazzando basi militari in tutto il mondo imitano semmai i fenici e i portoghesi, che preferivano l’egemonia in terre altrui puntando alla diffusione degli interscambi commerciali tramite una rete di scali portuali. In realtà però c’è da dire che la Cina non imita nessuno perché in passato anziché sviluppare il colonialismo di stampo europeo o la conquista imperiale di territori altrui per dominarli oppure in tempi recenti promuovere la “rivoluzione comunista mondiale” di stampo moscovita, con gli Stati e i territori altrui esterni ai propri confini ha quasi sempre preferito in tutta la sua storia stipulare alleanze tramite accordi commerciali, tributari e magari anche di protezione (unica eccezione l’invasione del Tibet, ma basta un’occhiata alla carta geografica per capire che s’è trattato di assicurarsi confini in grado di evitare nuove invasioni della stessa Cina). In definitiva la BRI non è che la prosecuzione di tale politica a base di approcci e interscambi commerciali. Per chi non la vede molto di buon occhio la Cina oggi sta riuscendo a fare pacificamente e col denaro quello che i giapponesi provarono a fare con la conquista militare dell’Asia fra gli anni ’30 e i ’40 e poi con la conquista commerciale del dopoguerra.

Sta di fatto che mentre la Cina investe mille miliardi di dollari 14 nella BRI per collegare il mondo, gli Usa invece ne investono anche di più nella sola produzione di ordigni nucleari 15 più moderni ed efficienti (cioè più distruttivi….), concepiti apposta per tenere sotto pressione proprio la Cina, oltre alla solita Russia costretta così a riprendere la costosissima corsa al riarmo. Trump infatti porta a 1.200 miliardi di dollari i 1.000 stanziati per queste armi da Obama 16.

La lunga marcia della Cina verso il predominio commerciale e produttivo in molti settori è iniziata da tempo. Oggi i temi di conflitto per la supremazia tra Usa e Cina sono molti: mercati on-line; hardware; supercomputer; computazione quantistica; navigazione satellitare; intelligenza artificiale; armamenti avanzati; sicurezza nelle telecomunicazioni; potere di imporre gli standard internazionali.

Uno studio accurato della Commissione Europea riguardante il 2016 dimostra che la Cina in quell’anno ha prodotto:

il 28% delle automobili del mondo (poco meno di un veicolo su tre);

il 90% di tutti i cellulari;

l’80% di tutti i computer, e cioè quattro su cinque;

l’80% di tutti i condizionatori del pianeta;

il 60% di tutti i televisori assemblati sul nostro pianeta, ovvero più della metà totale;

il 50% dei frigoriferi fabbricati su scala globale;

più del 40% delle navi costruite nel mondo intero.

Senza contare l’enorme quantità di merci del settore abbigliamento, sport e casalinghi che la Cina riversa a prezzi popolari nella miriade di negozi e supermercati che ormai costellano ogni città europea.

È bene riflettere sul fatto che l’antica Via della Seta e la complementare antica Via delle Spezie non sono state solo millenarie vie commerciali. Hanno infatti alimentato l’Occidente, fin dai tempi dei romani, dei più ambiti beni di consumo, dalla seta alle spezie appunto, ma anche con innovazioni scientifiche e tecnologiche. Basti pensare che Cristoforo Colombo non sarebbe mai potuto arrivare in America senza il timone assiale di coda delle navi e senza la bussola, cose arrivate dalla Cina assieme alla carta e alla cartamoneta. La stessa America è stata “scoperta” perché i navigatori europei cercavano un modo di arrivare in India, Cina e dintorni per poter continuare gli enormi commerci di spezie e d’altro senza dover passare per i territori ormai in mano agli arabi islamici, che imponevano man mano dazi che moltiplicavano il costo iniziale delle merci anche per più delle dieci volte già lamentate da Plinio il Vecchio per l’enorme esborso annuale di Roma in oro e argento. La matematica occidentale e i computer non potrebbero esistere senza l’apporto dei numeri arabi, in realtà indiani, dell’algebra e dell’invenzione del numero zero, apporto arrivato dall’Oriente tramite quelle antiche vie.

Stando così le cose, cioè la realtà storica, la Nuova Via della Seta può contribuire oltre che a ridare centralità al Mediterraneo come ponte tra Europa, Oriente e Africa anche a correggere il concetto e l’idea di Europa in voga da tempo e il conseguente eurocentrismo (e suprematismo): quello convinto che tutto il sapere moderno – se non tutto il sapere in assoluto – sia nato in Europa. Dimenticando così che l’Europa è nata per volere e interesse della Chiesa, che – anche falsificando come è ben noto il testamento di Costantino – ha voluto separarla dal più vasto insieme di terre dell’impero romano con capitale Costantinopoli. E dimenticando che Costantino aveva voluto trasferire la capitale dell’impero da Roma alla nuova città da lui fondata, e che da lui prende il nome, proprio per avvicinare il centro e il governo dell’impero a quell’Asia che tramite la Via della Seta e quella delle spezie formava di fatto se non un tutt’uno almeno un tessuto comune non solo di commerci con l’impero romano. Spostare la capitale a Costantinopoli significava anche eliminare vari dazi intermedi per le merci, spezie soprattutto, importate in abbondanza dall’Oriente.

Guarda caso, il gas e il petrolio (e alcuni metalli essenziali per i telefonini e computer) senza i quali non possiamo più vivere vengono in gran parte proprio dall’Asia Centrale e dalla Cina: gli oleodotti e i gasdotti corrono più o meno in parallelo o attraversano i territori dell’antica via della seta (in realtà, era un insieme di vie). L’ex Segretario di Stato Zbigniew Brzezinski sosteneva che “Chi controllerà l’Asia Centrale controllerà il mondo”. E infatti gli Usa con la motivazione della guerra al terrorismo islamista cercano mettere anche lì le loro basi militari…

Nel XV secolo la Cina dell’imperatore Yongle aveva iniziato a esplorare il mondo con i 30 anni di navigazioni oceaniche di flotte immense – fino a 30 mila uomini imbarcati e navi fino a 160 metri di lunghezza – al comando dell’ammiraglio Zheng He. Poi però nel 1434 il nuovo imperatore Hung Hsi, figlio di Yongle, decise di eliminare le flotte, proibire la costruzione di nuove navi e distruggere tutti i manuali e le carte nautiche preferendo chiudere la Cina nello splendido isolamento. Circondata da catene montuose, mari e deserti, dai quali ogni tanto emergevano popoli invasori, la Cina si convinse di essere LA civiltà per antonomasia, se non l’unica al mondo, e che questo fosse abitato da barbari. Nell’800, con le invasioni arrivate dall’Occidente, c’è stato lo stupefatto e doloroso risveglio e la constatazione che esistevano civiltà più progredite e aggressive.

L’enorme progetto planetario della Nuova Via della Seta è anche la conseguenza di tale amaro risveglio.

Se dunque questo è il contesto storico e geopolitico, la Belt & Road Initiative sfocia nel Mar Mediterraneo su due fronti: quello stradale o ferroviario, incompleto e parcellare malgrado i Corridoi paralleli e meridiani ideati da Van Miert e le vie marine che invece si prestano meglio per gli attracchi portuali.

Molte Compagnie Italiane sono dedite a trasporti commerciali, passeggeri e ro-ro, Certamente la Compagnia Grimaldi è quella che offre un network più completo per la sua rete che si estende dal Mar Egeo, Mediterraneo Est all’Adriatico e Tirreno (Mediterraneo Centrale).

Fig. 8 – Le linee navali Grimaldi nel Mediterraneo.

Fonti e Sitografia

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https://www.repubblica.it/esteri/2019/03/07/news/via_della_seta_pechino_sferza_l_europa_basta_sudditanza_con_gli_usa_-220912573/

https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2019-01-13/pechino-e-spirale-fuori-controllo-debito-112455.shtml?uuid=AEweFFEH&refresh_ce=1

(*)

Aldo Ferrara, Professore Universitario di Malattie Respiratorie, Università di Milano e Siena, Executive European Research Group on Automotive Medicine

Pino Nicotri, giornalista e scrittore, già all’Espresso

Angela Deiana-Galiberti, giornalista, Direttrice di Olbia.it

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