Mario Lettieri e Paolo Raimondi

È in atto una nuova espansione monetaria. La Federal Reserve ha abbassato a fine luglio il tasso di sconto al 2,25%. Entro la fine dell’anno si prevedono nuovi ribassi. Molti temono che, a differenza del 2007 quando il tasso di sconto era del 5,25%, la Fed, in caso di una nuova crisi, potrebbe avere minori spazi di manovra. Il suo bilancio è cresciuto dai mille miliardi di dollari del 2007 ai 4.500 miliardi odierni. Il 55% dell’ammontare sarebbe costituito da asset backed security (abs), titoli spesso ad alto rischio.

La Banca centrale europea ha annunciato che a settembre si potrebbero attivare nuove forme di Quantitative easing. Dal 2005, soprattutto dopo la Grande Crisi del 2008, la Bce ha quintuplicato il suo bilancio comprando dalle varie banche titoli sia pubblici sia privati in loro possesso.

La domanda cruciale resta sempre la stessa: questa nuova liquidità arriverà veramente ai settori produttivi? Vi saranno prestiti e investimenti oppure, invece, acquisti di titoli del debito pubblico e altri più rischiosi, “parcheggiando”, di fatto, la nuova liquidità nel sistema bancario?

È ben noto che tutte le grandi banche americane ed europee sono esposte a forti stress e a possibili instabilità, in particolare per la loro attività con i derivati finanziari anche di tipo speculativo. Al riguardo vi è una fortissima compenetrazione tra le banche americane e quelle europee.

Ovviamente, se l’economia reale è in difficoltà, è inevitabile che il sistema bancario e gli stessi bilanci degli Stati ne soffrano.

Uno dei problemi più seri, come riporta anche la Barclays Bank inglese, è che a livello mondiale circa 12.000 miliardi di dollari di obbligazioni private e pubbliche hanno un tasso d’interesse negativo. Principalmente in Giappone e in Europa, dove il tasso d’interesse per il Bund decennale è sotto il – 0,5%. Circa la metà delle obbligazioni pubbliche europee, cioè 4.400 miliardi di euro, hanno un tasso negativo. Anche il 20% delle obbligazioni delle imprese private europee.

È una situazione del tutto inedita e foriera d’instabilità, tanto che molti investitori potrebbero essere tentati a cercare altri guadagni più remunerativi ma anche più rischiosi.

Negli Usa i problemi del sistema bancario incominciano a “intrecciarsi” con le crescenti difficoltà del sistema industriale. Difficoltà dovute non solo agli effetti della guerra dei dazi e dello scontro tecnologico con la Cina e con l’Europa. Se paragonati con il 2018, i profitti delle imprese produttrici di beni sono in caduta. In una forbice si va dal – 4% per i beni di consumo durevoli al -18% per i produttori di materiali. Il settore delle “imprese industriali” registra un meno 12% di profitto.

Si prevede che nel 2019 le imprese americane riacquisteranno sul mercato le loro azioni per circa 1.000 miliardi di dollari. Tale somma sembra superiore alla loro disponibilità di liquidità. Il che vuol dire che molte di queste operazioni di riacquisto saranno fatte attraverso nuovi indebitamenti.

In Europa le generali difficoltà del settore bancario sono ben evidenziate dalla situazione della Deutsche Bank, che nel secondo trimestre del 2019 ha registrato una perdita di ben 3,15 miliardi di euro, 2,94 dei quali solo nel cosiddetto settore investment.

Adesso, ma in ritardo, la DB vorrebbe abbandonare questo ramo di attività più rischioso. La decisione, però, è osteggiata dal fondo d’investimento statunitense Cerberus, che detiene il 3% delle azioni e che, al contrario, vorrebbe che il settore derivati crescesse. Il portafoglio derivati di DB, al suo valore nozionale, è già di 48.000 miliardi di euro, il più alto al mondo. Per capire, 24 volte il debito pubblico tedesco,

Intanto DB vorrebbe cedere alla francese BNP Paribas 150 miliardi di attività legate agli hedge funds. La banca di Parigi, però, non sta molto meglio di quella tedesca. Il rapporto tra capitale sociale e debito di Deutsche Bank è del 36%, quello di BNP Paribas è del 41%.

Come da noi sottolineato più volte, DB deve, inoltre, far fronte a gravi problemi legali negli Usa, dove la sua filiale potrebbe essere stata coinvolta in vaste operazioni di riciclaggio di denaro in Estonia. Il Dipartimento della Giustizia Usa indaga anche sul fatto che la Deutsche Bank, insieme alla Goldman Sachs americana, possa aver violato le leggi anti-riciclaggio per attività svolte per conto del fondo statale malese 1Malaysia Development Berhad.

Dati e situazioni non rosei, preoccupanti, che ripropongono l’urgenza di riconsiderare le politiche dei dazi e di rivisitare le regole della finanza.

 

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