Colpisce nelle opere di Yvonne Farrel e Shelley McNamara, vincitrici del Pritker 2020, la regolarità dell’espressione ritmica, che è il cardine del loro progettare.

Urban Institute of Ireland – photo courtesy of Ros Kavanagh

La si nota nelle diverse università da loro firmate: l’Urban Institute di Dublino presenta in facciata una serie di aperture schermate, come branchie ossessivamente ripetute;

Loreto Community School – photo courtesy of Ros Kavanagh

nella scuola Loreto di Milford, sempre in Irlanda, la ripetuta regolarità delle aperture è meno densa ma sempre costituisce l’essenza del disegno nella monotonia delle lunghe pareti lineari in cemento a vista;

nel campus UTEC di Lima in Perù, lo sviluppo in altezza impone l’aggiunta di elementi capaci di scandire il discorso ritmico anche sul piano verticale tramite lunghi setti e scale e aggetti.

niversity Campus UTEC Lima – photo courtesy of Iwan Baan
Institut Mines Télécom – photo courtesy of Alexandre Soria

Nel complesso si ha l’impressione che il loro sia un progettare che cerca l’essenziale, togliendo qualsiasi elemento che richiami la forma esteriore: agli antipodi di un Frank Gehry per il quale non esiste struttura ma solo il guizzo di un disegno astratto dalla necessità, imposto su edifici che per stare in piedi devono occultare arzigogolati intrichi di pilastri e tiranti, che finiscono per occupare gran parte dello spazio interno fino a tramutare l’edificio, da contenitore a monumento di sé stesso.

Costruzione del museo Guggenheim di Bilbao: la struttura (foto dal sito https://www.guggenheim-bilbao.eus/)

Eppure anche Gehry vinse il Pritzker, nel 1989. Forse considerando l’enorme distanza che separa le opere di questi (come di tanti altri) progettisti che si sono imposti sul proscenio privilegiato di quello che è considerato il più prestigioso premio di architettura al mondo, si può apprezzare quanto siamo lontani dall’antica saggezza della moderazione.

Est modus in rebus: cerchiamo la giusta misura nelle manifestazioni umane. In medio stat virtus: non nello stridore dell’estremismo sta il vero valore. Sono detti antichi che ritornano e, come nonni benevoli pacatamente pensionati, ci ricordano che è altro quel che è veramente essenziale. Un’architettura fondata sull’estrinsecarsi di mera ritmicità, come il rap in campo musicale, dimentica che la bellezza richiede anche la forma ovvero la melodia. Una musica composta da balzi tonali privi di tappeto ritmico non riesce a comporsi in unità: si potrà ammirare la maestria dell’interprete, come nel caso di Gehry, ma difficilmente vi si troverà l’armonia d’insieme.

Per comprendere la distanza con quanto un tempo si definiva “a misura d’uomo” (una di quelle espressioni cadute in disuso sotto la scure della moda, che vige non solo tra chi frequenta gli stilisti dell’alta sartoria) basti ricordare la pacata eleganza senza tempo degli archi nel loggiato nell’ospedale degli Innocenti, in cui la ritmicità dei fornici e la linearità delle coperture non si contrappone alla forma o all’ornamento, ma ne diviene parte. Che non abbia senso oggi ricorrere a imitazioni di quanto si proponeva nel XV secolo non implica di rifiutare quei termini di confronto, che sono ancora fonte di ispirazione, come per Brunelleschi fu importante meditare sulle virtù costruttive del Pantheon romano.

Piazza SS Annunziata Firenze Apr 2008 – Di Gryffindor stitched by Marku1988 – da Wikipedia

Il problema ai nostri giorni è che l’ansia analitica e il desiderio di sentirsi parte di una corrente ideologica, in qualsiasi ambito ci si muova, spinge verso il fondamentalismo della contrapposizione anziché verso la ricerca di composizione nell’armonia pur nella diversità: l’aut aut invece dell’et et. Ma la complessità umana non potrà mai essere schiacciata solo in uno dei suoi molteplici aspetti, e così l’architettura difficilmente porterà soddisfazione se si costringe entro quegli angusti limiti.

 

Le foto selle opere di Yvonne Farrel e Shelley McNamara sono tratte dal sito https://www.pritzkerprize.com/media-news

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