di P. Lumumba
Era l’aprile 2012, neanche tanto tempo fa. E re Juan Carlos di Spagna si ruppe una gamba: in Botswana. C’è chi va in Africa per sostenere progetti di sviluppo, chi per costruire impianti tecnologici, che per ragioni commerciali. Don Juan Carlos ci andava a caccia di elefanti e altri animali di grossa taglia. Dovette dare le dimissioni dalla carica che allora ricopriva di presidente della sezione spagnola del WWF: i re servono per fare public relations e un re cacciagrossista e per giunta maldestramente incidentato non serviva più a un organismo che si propone come campione della difesa dell’ambiente e del mondo animale.
Fu un momento di grande dolore per il monarca, che da allora dovette sottoporsi a diverse operazioni per rimettere a posto l’anca. E si snocciolarono diversi altri fatti che sono finalmente culminati con l’abdicazione annunciata il 2 giugno 2014: curiosa coincidenza, la ricorrenza del referendum italiano del ’46 che per il rotto della cuffia scelse la Repubblica. I Borboni sono sempre stati legati all’Italia, lo stesso Juan Carlos nacque in Roma, nel ’38.
E sono sempre stati legati alle armi. Un nipotino di Juan Carlos, più o meno quando il nonno cadeva in Africa, si sparò accidentalmente con un fucile al piede: in casa Borbone cominciano a maneggiare le armi molto presto, e anche se ne nascono incidenti, poco importa.
Del resto lo stesso Juan Carlos ne aveva avuto esperienza poco edificante: nel 1956 (aveva 18 anni allora) sparò in faccia a suo fratellino Alfonso con una pistola calibro 22 con la quale i due stavano giocando nella nella loro villa all’Estoril in Portogallo. La pallottola entrò dal naso e attraversò il cervello dell’allora quindicenne Alfonso, che ci lasciò le penne. Insomma il re spagnolo è un assassino: il fatto è stato ovviamente ben occultato e la maggioranza degli spagnoli nulla ne sa. Dicono che il colpo fosse partito accidentalmente, ma dicono anche che Alfonsino fosse molto più brillante e simpatico di Juan Carlos, quindi forse più adatto a svolgere il ruolo di public relations che il suolo richiede.
Questi ultimi anni di crisi economica hanno messo a dura prova la monarchia borbonica, anche per altri motivi.
Senz’altro il più importante di questi è stato il caso che vede protagonista Iñaki Urdangarin, già giocatore di pallamano e dal 1997 marito dell’infanta Cristina, figlia di Juan Carlos. Iñaki e Cristina da qualche anno risiedono in Washigton DC e vivono tra l’America e la Svizzera. Si dice che siano stati discretamente allontanati dal territorio patrio nel tentativo di mettere a tacere le voci allora montanti relative alla corruzione dell’Urdangarin medesimo, che ha stornato fondi pubblici e compiuto altre manovre finanziarie illecite, tramite società da lui cogestite con la consorte.
La domanda ovviamente sorge: ma possibile che il re non sapesse? La risposta ovviamente è che se si premurò di allontanare Urdangarin prima ancora che nel 2011 scoppiasse in tutta evidenza lo scandalo, con le indagini della magistratura sul tema, probabilmente non solo sapeva, ma pasturava…
Un altro grosso dispiacere per il re dev’essere stato quando dovette rinunciare al suo yacht “Fortuna”: una barca di 41 metri dotata di quattro motori che lo rendono una delle barche più veloci al mondo, il cui capitano riceveva uno stipendio di quasi 140 mila euro l’anno e i cui membri dell’equipaggio erano pagati in media 60 mila euro. In Italia, dove un generale qualsiasi si becca sui 120 mila euro l’anno oltre a tutti i “benefit” e quelli di più alte “responsabilità” arrivano a sfiorare il mezzo milione annuo, in un contesto come quello nostrano in cui la densità di ufficiali per km quadrato è la più alta del mondo e il numero totale di personaggi con le stellette è superiore a quello della truppa (non dissimile il caso delle amministrazioni civili, beninteso)… in Italia dunque le cifre della ciurma del “Fortuna” possono non fare tanta impressione. In Spagna sì, perché lì un marittimo qualsiasi guadagna quanto un insegnante da noi, sui 1500 euro al mese…
Ma questa è una digressione. In realtà rinunciando al Fortuna, Juan Carlos diede mostra di sensibilità verso l’erario spagnolo, bisogna darne atto.
Ma poi in quest’ora di dimissioni occorre ricordare anche i suoi successi. Juan Carlos fu scelto dal Generalísimo Franco come suo successore. Con decisione saggia: predisponendo la restaurazione della monarchia Franco riuscì a preparare il terreno per il delicatissimo passaggio che seguì la sua morte nel ’75, mantenendo l’unità nazionale che già allora era scossa da prodromi dei moti indipendentisti e consentendo che i partiti della sinistra, che erano rimasti clandestini durante la sua dittatura (socialisti e comunisti) potessero essere traghettati entro il quadro politico e costituzionale senza troppi scombussolamenti.
In realtà vi fu qualche scombussolamento: nel 1981, quando, il 23 febbraio, il generale Alfonso Armada (che era stato capo del comando militare della Casa reale), col tenente colonnello della Guardia Civile Antonio Tejero e il generale Milans del Bosch tentarono un colpo di stato dopo le dimissioni di Adolfo Suarez, il politico più in vista, che aveva guidato la Spagna nella transizione dalla dittatura alla Repubblica.
Tejero occupò il parlamento spagnolo con le armi in pugno (“nel nome del re” gridava mentre entrava nell’emiciclo sparando in aria), e aspettava che arrivasse un certo “elefante bianco” che avrebbe dovuto prendere sotto controllo la situazione.
La sera il re Juan Carlos comparve alla televisione e fece appello perché le truppe rientrassero e tutto si risolvesse pacificamente e nel rispetto della Costituzione. Dicono che nel frattempo la regina Sofia si fosse recata a Londra per consultare Elisabetta e che questa le avesse suggerito di lasciar perdere, che l’epoca di colpi di Stato era finita…
Così effettivamente avvenne, non vi fu spargimento di sangue, soltanto un bello spavento. E il re emerse come l’eroe della democrazia. Poco dopo i socialisti di Felipe Gonzales entrarono al governo e condussero la Spagna nella Comunità Europea e nella Nato, organismi da cui era rimasta esclusa per via dell’anomalia franchista e della condizione di neutralità in cui era rimasta dalla fine della guerra civile del ’39.
Insomma, sul piano delle public relations il tentativo di golpe fu un’operazione molto favorevole alla figura del re Juan Carlos. C’è chi, infatti, sospetta che l’elefante bianco di cui parlava Tejero fosse proprio lui, il re…
Ma tutto questo è acqua passata: ora arriva Felipe, l’erede al trono, e sua moglie Letizia nata Ortiz, figlia di un tassista ed ex giornalista della televisione spagnola. Un tempo era di dichiarata fede repubblicana.
Nel suo discorso in cui il 2 giugno Juan Carlos ha annunciato le sue dimissioni (meglio, “abdicazione”), oltre a lodare il figlio, Felipe, evidenziando che è preparato per il ruolo, ha sottolineato che in questo sarà sostenuto dalla Letizia che certo in quanto giornalista non priva di ambizioni (e se no come poteva arrivare fin là?) sa come muoversi nel ruolo pur non essendo nata di sangue blu.
Letizia in realtà è la vera novità, proprio per questa sua provenienza popolare, e su di lei ricade una notevole responsabilità. Sovente nelle foto ufficiali recentemente pubblicate appariva quasi defilata, come se prendesse le distanze dalla famiglia del marito, tempestata dagli scandali. Essendo abituata comparire in televisione probabilmente sapeva bene quel che voleva manifestare con quelle immagini che di sé dava.
Ora si dice che Juan Carlos si ritirerà in Svizzera, insieme con Corinna zu Sayn-Wittgenstein, imprenditrice quarantottenne di bell’aspetto e di sangue blu che si dice essere la su amante ufficiale, mentre Donna Sofia, la regina, la stessa mattinata dell’abdicazione se n’è andata in America.
Perché c’è quest’altro aspetto dei Juan Carlos: pare che il Cesid, il servizio segreto spagnolo, avesse un dipartimento dedicato a procacciargli amanti e donne compiacenti tenendo poi accuratamente nascosti i numerosi eventi alla stampa curiosa e beffarda. Anche in questo Juan Carlos ha mostrato magnanimità: le sue attività amatorie d’ora in poi costeranno molto meno all’erario. Un bell’aiuto alla Spagna tempestata dalla crisi…
Qualcosa che difficilmente ci si può aspettare dalle migliaia di funzionari italiani che hanno mostrato capacità di scalare le gerarchie per arricchirsi suggendo assurdamente lauti stipendi allo Stato italiano. Ma questa è un’altra storia…
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