Mario Lettieri e Paolo Raimondi

La digitalizzazione è indubbiamente un profondo ed efficiente ammodernamento di tutti i settori della società. In particolare dei processi tecnologici, economici e finanziari.

Anche nei settori dei pagamenti si è avuto un vero a proprio “boom digitale” e sono sottoposti a dei cambiamenti continui, a un ritmo incalzante. L’e-commerce, per esempio, sta celermente soppiantando i tradizionali settori di vendita. Le transazioni e i pagamenti hanno sempre più accantonato l’uso del contante, anche quello della carta di credito di plastica. Oggi si acquista e si paga attraverso specifiche “app” presenti negli smartphone personali.

Una ricerca della Bce ha evidenziato che, in un breve lasso di tempo, sono state avanzate ben oltre 200 nuove proposte e iniziative nel campo dei pagamenti. Sono dei servizi così innovativi e ambiti dal grande business tanto da essere offerti a titolo gratuito in cambio, però, della disponibilità e della gestione di informazioni e di dati riguardanti i singoli utenti. Naturalmente a discapito della privacy. A proporli sono le cosiddette imprese bigtech, i giganti tecnologici globali, quali Google, Amazon, Facebook e molti altri tra cui la cinese Alibaba. Sono i dominatori assoluti dei listini di tutte le borse valori intenzionali. La loro forza sta non solo nell’abbondanza della liquidità ma anche nel controllo delle piattaforme online, dei social media e delle le tecnologie di comunicazione mobile.

Tale sistema presuppone l’esistenza di conti correnti coperti da disponibilità o da garanzie reali. Se tenuto sotto un puntuale controllo da parte delle istituzioni di vigilanza, non vi sarebbero rischi o particolari problemi. Anzi, potrebbe agevolare e velocizzare il segmento dell’economia finanziaria e bancaria.

La cosa, però, cambia completamente quando certe grandi organizzazioni economiche e finanziarie internazionali intendono creare delle monete digitalizzate private. È il caso delle criptovalute la cui volatilità, opacità e mancanza di controlli hanno già creato seri rischi alla stabilità dell’intero sistema.

La storia dei bitcoin docet: valori saliti alle stelle e poi crollati improvvisamente, mentre le banche centrali, incapaci di intervenire, stavano a guardare preoccupate.

Adesso sul mercato sono arrivate le cosiddette stablecoin globali. Sono degli strumenti finanziari sviluppati proprio per ovviare alla volatilità delle cripto valute, in quanto il loro prezzo dovrebbe essere stabilizzato rispetto a un asset di riferimento: una moneta, come il dollaro e l’euro, l’oro o altre materie prime, oppure titoli e indici di borsa. Esse devono avere come sottostante un portafoglio di asset, di “attività di riserva”. In altre parole, le stablecoin sarebbero delle criptovalute ancorate, per esempio, a delle monete garantite dalle tradizionali istituzioni internazionali. Esse hanno già suscitato grande attenzione e curiosità soprattutto quando Facebook ha annunciato di voler attivare la libra, che sarebbe la sua stablecoin globale in grado di operare senza utilizzare i sistemi di pagamenti e di compensazione e senza i vincoli dei regolamenti esistenti.

Vi sono, poi, altri metodi usati da certe stablecoin, sganciati da affidabili entità centrali, per le quali la stabilizzazione sarebbe data dall’andamento di un algoritmo che detterebbe il comportamento di espansione o di riduzione delle stablecoin stesse. La loro affidabilità è certamente dubbia, così come quella data dalle cosiddette collateralized stablecoin che usano appunto degli asset digitali come collaterali per garantire la loro emissione. Come al solito non è sempre oro ciò che luccica!

È chiaro che un’espansione significativa e non regolamentata del loro uso potrebbe produrre effetti negativi e destabilizzanti sul sistema economico.

Lo hanno sottolineato anche il G7 e la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea che hanno definito le stablecoin una “crescente minaccia alla politica monetaria, alla stabilità finanziaria e alla concorrenza”. Infatti, le loro assicurazioni e garanzie potrebbero non essere sufficienti a far fronte alla richiesta di rimborsi in eventuali situazioni di “run”, di corsa al riscatto da parte dei detentori. Pertanto il loro valore potrebbe “oscillare” molto, “contagiando” l’intero sistema finanziario.

Essendo un vero e proprio meccanismo di pagamento, una inadeguata gestione dei rischi di liquidità, di quelli operativi e cibernetici potrebbe provocare una crisi sistemica.

Inoltre, aspetto non irrilevante, gli emittenti delle stablecoin andrebbero ad aumentare il cosiddetto shadow banking, la cui dimensione da anni ha di molto sorpassato il tradizionale settore bancario. Attraverso un loro eventuale ingente acquisto di titoli influirebbero pesantemente sui mercati, sull’operatività delle stesse banche e sulle politiche monetarie e dei tassi di interesse.

Senza attente e stringenti misure di controllo da parte delle agenzie governative preposte, vi è anche un alto rischio che esse siano vulnerabili all’abuso criminale e all’uso per il riciclaggio e per il finanziamento di attività terroristiche.

In Europa, le varie istituzioni stanno studiando le caratteristiche e gli effetti delle stablecoin con grande attenzione e preoccupazione.

La Commissione europea intende approntare un regolamento del mercato delle cripto attività, senza il quale giustamente teme effetti incontrollabili e molto destabilizzanti. Le stablecoin dovrebbero rispettare i requisiti legali, i regolamenti e gli standard previsti per tutti i sistemi e gli strumenti di pagamento.

La Bce e le banche centrali nazionali stanno elaborando nuove norme relative alla sorveglianza sui sistemi dei pagamenti, soprattutto su quelli elettronici. Per far fronte alla richiesta di innovazione e alla sfida di ineludibili modernizzazioni, Francoforte pensa di introdurre un euro digitale, affidabile e privo di rischi. Esso affiancherebbe il contante senza sostituirlo, rendendo il sistema dei pagamenti più fruibile, più celere ed efficiente.

Si ricordi che le stablecoin sono dei mezzi di pagamento emessi da privati. Sono delle valute private, come nel medioevo quando ogni principe, piccolo o grande che fosse, coniava le proprie monete.

È in gioco la sovranità monetaria pubblica! Chi ha il dovere di intendere lo faccia!

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