Leonardo Servadio

Sul mercato avvengono fenomeni strani, c’è un che di magico. In piena pandemia, con la gente preoccupata per la propria sopravvivenza e chiusa in casa per gran parte dell’anno, nel 2020 il magnate del consumo voluttuario, Bernard Arnault, balza in testa alla classifica degli uomini più ricchi del mondo superando o almeno affiancando i tycoon del web come Zuckerberg, Bill Gates o Jeff Bezos, che pure si son molto avvantaggiati per il fatto che i contatti intrecciati dalle persone nel mondo, e inclusi i commerci di beni, si sono sempre più riversati nell’universo di Internet, da loro dominato.

Nello stesso periodo sono cresciuti a dismisura, almeno nelle principali città, gli investimenti immobiliari: non si poteva uscire di casa ma la gente continuava a investire in case. Non si usavano gli uffici che si trasferivano online, ma evidentemente si comperavano sempre più uffici. In piena crisi pandemica i valori immobiliari hanno continuato a crescere.

E, stranezza tra le stranezze, le valute elettroniche, germinate come funghi sulla scia dei bitcoin, attiravano investimenti tali da portare alle stelle i loro valori.

Perché tutto questo?

Anzitutto bisogna considerare che, per quanto tutto in economia sia legato a tutto il resto, più che di mercato al singolare è meglio parlare di mercati al plurale. E ci sono mercati legali, mercati illegali e mercati a-legali. I primi ricadono sotto il vaglio dei sistemi fiscali, i secondi si nascondono ai sistemi fiscali che cercano di farli emergere ma in gran parte invano, i terzi ricadono in una categoria sospesa, perché non ancora presa in considerazione dagli Stati (tranne eccezioni): sono privi di legge. Il mercato delle cosiddette criptovalute (cosiddette perché le valute vere e proprie sono anche oggetto di speculazione, queste invece sono prevalentemente oggetto di speculazione) ne è l’esempio più evidente: chi vi investe lo fa tramite intermediari e se questi scomparissero non potrebbe certo rivolgersi alle polizie fiscali del suo Paese per riavere il valore svanito.

I primi mercati, quelli legali, sono quelli dei quali si hanno le notizie che si leggono sui giornali e che portano ad avere più o meno fiducia nel presente e nel futuro.

Il problema è che questi mercati sono fortemente condizionati dai secondi, quelli illegali. Un consumatore di droghe illecite può essere anche un cittadino che paga le tasse: ma certo non le paga sulla cocaina o sulle metanfetamine che consuma. Lo stesso dicasi per i fruitori del mercato della prostituzione, così vicino a quello della tratta degli esseri umani, a sua volta probabilmetne non lontano da quello delle droghe: sempre si tratta di un tipo specializzato di contrabbando.

E sorge la domanda: qual è la rilevanza di tutti questi mercati illegali? Quanto valore, cioè quanto equivalente di lavoro lecito svolto, succhiano dai mercati legali per esportarlo nella nuvola irraggiungibile dei mercati offshore o nell’intangibilità di valori campati per aria nella contabilità senza luogo delle criptovalute?

Si portebbe dire che le droghe, così come l’alcol o la prostituzione, sono mali sempre esistiti. Ma almeno sino alla fine degli anni Sessanta del ‘900 erano relativamente limitati a chi decideva di farsene vittima negli ambienti degli abbienti. È con la guerra del Vietnam, e dopo di essa, che il mercato delle droghe psicotrope ha assunto proprozioni di massa. Per conseguenza ha attivato un ricircolo di capitali assai ingente.

Nel 1979 l’agenzia stampa EIR pubblicò il volume “Dope Inc” in cui si sosteneva che il peso del denaro messo in moto da questo mercato fosse paragonabile a quello del mercato del petrolio. Di riflesso interi conglomerati bancari riciclavano il flusso di denaro di chi investiva nel commercio di droghe. (Le capostipiti di queste istituzioni erano le banche fondate in Cina dopo le guerre dell’oppio, nei cui forzieri da allora dovevano passare i proventi ricavati da chi praticava quel mercato: le guerre dell’oppio non furono condotte per beneficienza, né per far conoscere la civiltà occidentale nel Paese asiatico).

Tra gli anni ’60 e ’70 ci fu il passaggio dalle vecchie alle nuove mafie (è una delle questioni che Buscetta discusse con Giovanni Falcone): segnato appunto dal passaggio dal contrabbando tradizionale a quello delle droghe. Cosa Nostra dominò nel primo periodo, quello degli oppiacei, e oggi la ‘ndrangheta domina nella cocaina, in Italia ma anche a livello internazionale.

I Paesi produttori di petrolio nel corso del secondo dopoguerra si sono prodigiosamente arricchiti e dispongono oggi di un potere economico cumulativo immenso, grazie al quale stanno trasformando parti della penisola arabica in paradisi per i nababbi mentre fanno investimenti immensi nelle economie occidentali (anche questo non è cosa nuova, già nel 1976 la FIAT fu salvata grazie agli investimenti della Libia, importante produttore di petrolio, e in questi decenni più recenti vi sono cospicui investimenti in petrodollari negli sviluppi immobiliari in Milano).

The Palm, Dubai. Foto Christoph Schulz/Unsplash

Ma se è vero che il mercato delle droghe illecite ha dimensioni tanto grandi da essere, o essere stato, paragonabile a quelle del mercato del petrolio, questo vuol dire che almeno dalla fine degli anni ’60 del ‘900, oltre alla massa dei petrodollari v’è anche una massa immensa, e crescente, di narcovalute che si muove sui mercati, e l’interesse di chi ne dispone è ovviamente di acquisire porzioni sempre più importanti di beni e servizi nell’economia legale: per “riciclarsi” dal sottobosco della criminalità a quello del mondo perbene. Quanto dunque s’è riversato dal sottobosco nell’economia legale?

Probabilmente nessuno sa dare una risposta. Pare che il consumo di droghe nel mondo si sia ridotto, ma resta il fatto che, come indica un rapporto della Rand Corporatin del 2019 (https://www.rand.org/pubs/research_reports/RR3140.html ), solo negli USA ancora si spendono circa 150 miliardi di dollari all’anno per droghe illegali: un mercato che vale circa quanto quello degli alcolici. Quindi tra droghe e alcol si parla per gli USA di almeno 300 miliardi di dollari l’anno. Una cifra non distante da quella del mercato del gasolio per il riscaldamento domestico (380 miliardi di dollari), con la differenza che questo è perfettamente conosciuto e pertanto la cifra per esso indicata è credibile .

Oggi nessuno può conoscere con precisione l’entità dei mercati illegali: quel che si dice sono solo congetture. Anni addietro s’è saputo dei Panama Papers: e la stampa nel mondo ha denunciato giustamente gli abusi dei potenti che operano in ambiti economici e politici, e poi sfuggono alle tasse. Ma quanti sono i soldi di provenienza mafioso-camorrista e di trafficanti di schiavi o altri illeciti che agiscono nei tanti mercati offshore, come Panama, o in mercati legali ma capaci di recepire flussi di denaro senza insistere troppo per conoscerne la provenienza? (Principato di Monaco? Granducato del Liechtenstein? Andorra?, Gibilterra? Per dire solo di alcuni di quelli sul territorio europeo).

Non v’è dubbio che v’è una massa enorme di denaro nascosta ai radar degli Stati, e questa continua a crescere anche perché i profitti sono troppo elevati: pochi anni fa (dati dal sito WGBH educational foundation ) un chilo di cocaina in Colombia costava 1.500 dollari e ne valeva 66.000 negli USA e un chilo di metanfetamine (producibili anche in situ, senza bisogno di trasporti internazionali) poteva costare sui 500 dollari e valerne 60.000 alla vendita: si tratta di profitti che vanno dal 4.000 percento al 12.000 percento.

Bitcoin e dollari. Bermix Studio/Unsplash

E tale massa di denaro si trasferisce non solo nelle criptovalute, che sono semmai una parte delle stazioni di transito provvisorio, ma soprattutto in investimenti nell’economia legale.

Sono questi denari che spingono in alto i valori di alcuni mercati legali, a partire da quello immobiliare per arrivare a quello delle opere d’arte e di tanti prodotti di lusso, in cui si registrano valori privi di senso.

I mercati illegali sono praticati anche dal mondo del terrorismo islamico: il noto documento “The Management of Savagery”, uno dei testi fondativi del Daesh pubblicato nel 2006, insisteva che le cellule terroristiche islamiche dovessero giovarsi di profondi conoscimenti del mondo economico per finanziare le loro attività.

Essendo globali, transnazionali, eterei come il Web, questi ambienti di finanza criminale non saranno mai presi sotto controllo e ricondotti a legalità sinché non vi sarà una legge di carattere globale e una capacità di farla valere a quel livello. 

La questione è se gli Stati riusciranno a predisporre tali sistemi giuridici, e organismi capaci di imporne il rispetto, prima che l’economia illegale sia divenuta troppo diffusa per essere contenuta. Sempre che già non lo sia.

Son cose che in fondo tutti sanno, ma non se ne parla perché nessuno sa veramente come affrontarle. Chissà che invece già parlarne non sia un modo per cominciare ad affrontarle. Cercando di generare una cultura condivisa avversa a tali fenomeni.

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