Di Aldo Ferrara

La politica del petrolio ci ha abituati a considerare nuovi aspetti di configurazione geografica. Dopo la nascita dello scacchiere Eurasiatico (che si estende dalla Russia fino ai confini cinesi del Kazakhstan) oggi intravediamo un nuovo scacchiere Neo-Mediterraneo, dettato dalla politica turca, che coinvolge il quadrilatero tra Turchia, Siria, Iran, Russia.

La Turchia di Erdogan costituisce, e non solo per la stessa natura geografica del Paese, uno dei punti caldi dello scacchiere pre-Eurasiatico che, geopoliticamente, si estende fino al Mar Caspio e rende il Mediterraneo Orientale zona di confine politico. Non godendo di riserve petrolifere, ma con un consumo di gas naturale triplicato, è in effetti alla mercé delle importazioni. Nel suo mix energetico nazionale il gas rappresenta il 29% del suo consumo di energia primaria e quasi il 50% della produzione di elettricità. Tra il 2000 e il 2015 ha aumentato i consumi da 15 miliardi a 47.5 miliardi di metri cubi, il secondo maggiore aumento della domanda di gas in tutto il mondo, dopo la Cina. (Umbach F.).1

Malgrado i rapporti con la Russia non siano sempre stati idilliaci e, nel recente passato facilitati da Silvio Berlusconi spesso intervenuto a far da paciere, la Turchia sta diventando partner privilegiato con la costruzione di Blue Stream e Turk Stream da cui deriverà gas russo. In cambio la Turchia non solo si presta per aggirare l’Ucraina, ma è idonea a sostituire il South Stream con il TANAP che drena gas dal giacimento di Shah-Deniz II.

Fig.1 Diversificazione turca degli approvvigionamenti di gas naturale (GISreportsonline.com).

Tuttavia a Erdogan appare chiaro quanto possa essere esiziale la dipendenza dalla sola Russia e quindi ha messo in atto politiche di diversificazione energetica che introducono nello scacchiere i paesi del Golfo Persico, come si vede nella Fig. 1.

Già dal 2014, la Turchia ha firmato un memorandum d’intesa con il Qatar per importazioni fino a 1 miliardo di GNL. In assenza del Gasdotto Islamico che avrebbe dovuto convogliare il gas dal Qatar, si limita per ora al trasferimento shipping, utilizzando due terminali di importazione di GNL, a Marmara Ereglisi (una capacità di 8.2 miliardi di metri cubi all’anno) e Aliaga (5 miliardi di metri cubi all’anno) e una capacità di stoccaggio di GNL di soli 3 miliardi di metri cubi. Nel 2016 la quota di GNL nelle importazioni di gas turco è aumentata al 16.4%, dal 12.8% nel 2013 (F. Umbach, 2017).

Lo scacchiere è complicato dalla presenza di gasdotti per forniture interne, di gas non russo, a passaggio nel Kurdistan Iracheno. Nel novembre 2013 è stato firmato un accordo bilaterale per aumentare le consegne di gas curdi in Turchia da 4 bcm ( billions of cube meter) all’anno nel 2017 a 10 bcm entro il 2020 e nel novembre 2015 entrambe le parti hanno considerato un rinnovo ulteriore dell’accordo, compresa la costruzione di un nuovo gasdotto.

Come si sa, la situazione politica è di alta tensione e quindi è stata richiesta l’intermediazione russa. Con l’intervento di Rosneft, nel settembre 2017, è stato avviato un negoziato con il governo regionale del Kurdistan iracheno sulla costruzione di un gasdotto per i mercati turco ed europeo.

Avendo acquisito il 30 % della partecipazione ENI nel giacimento di gas Zohr in Egitto, Rosneft, insieme a Gazprom, spera di controllare e minare la diversificazione dell’UE in forniture di gas non russe verso l’Europa. Tuttavia la situazione politica rende molto incerta la fornitura di gas attraverso i territori curdi e non solo per la guerra in Ucraina.

L’altra spina mediterranea per la Turchia, è l’effettiva influenza di Israele sui giacimenti Leviathan, Aphrodite e, con l’Egitto, Zohr. La costruzione di Poseidon è ancora suscettibile di rami ascensionali verso la Turchia per la destinazione di parte dei 2.2 trilioni di m3 del giacimento.2

La Turchia dunque politicamente costituisce un pilastro solido putiniano nella demarcazione e controllo dello scacchiere Mediterraneo e la sua incoming influence in Libia lascia presumere che i rapporti tra Italia (ENI) e Francia (ELF) siano in fase di pronunciato avvicinamento con una sorta di “solidarizzazione petrolifera” tra i due Paesi Cugini per arginare l’influenza Turca in Libia. Da queste basi nasce il recente Trattato Bilaterale di cooperazione, firmato a Roma nel novembre 2021. Resta ancora da chiarire quale sarà il ruolo della Lukoil nella striscia mediterranea e del sud della Sicilia dove sono presenti 26 stazioni di servizio collocate tra Pozzallo e Mazara del Vallo. L’area è sensibile non solo per l’arrivo dei migranti ma anche perchè è presente, secondo la Guardia di Finanza di Catania traffico clandestino tra la raffineria di Zawyja in Libia e la Sicilia.

Il network della Oil Geopolitics dell’area si inscrive o, se vogliamo, determina, un altro scenario più propriamente politico relativo al Popolo Curdo. Da un lato la sommazione-potenziamento dei due aspetti, petro-energetico e politico, potrebbe sembrare una complicazione, tuttavia non mancano elementi che possano contribuire a fare chiarezza sull’intero scacchiere.

Arriva dalla Turchia il tassello rivelatore della strategia russa?

Aprile 2022. Non bastava l’Ucraina, una nuova operazione militare è stata lanciata dalla Turchia nel Kurdistan iracheno. Operazione diversiva in attesa della possibile apertura del fronte baltico-finlandese o stoccata finale verso le riserve petrolifere mediterranee?

Il patto del 23 agosto 1939 tra URSS e Germania nazifascista (Molotov –Ribbentrop) non finisce mai di fare proseliti. Allora quel patto sancì non solo la non aggressione tra i due paesi quanto la spartizione della Polonia e la libertà di azione sui territori poi occupati. Oggi ne rivediamo una riedizione tra gli amici-non amici Erdogan e Putin. Se l’uno consente il libero accesso alla flotta dell’altro nel mar Nero per il controllo degli oleodotti mediterranei, il cordone ombelicale dell’Europa ( East-Med o Poseidon; Transmed dall’Algeria e GreenStream, oleodotto libico), lo czar russo lascia alla Turchia campo libero sui tradizionali interessi turchi in quell’area di perenne guerra che è il quadrilatero curdo la cui terra è occupata da Siria a ovest, Iraq a est, Iran a sud. La miccia è accesa da un’azione di commando che mercoledì 20 aprile a Bursa, ha fatto saltare in aria un pullman che trasportava funzionari della polizia penitenziaria, attribuendo la responsabilità al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk). Come scrive Emanuele Rossi su Formiche.net, unità delle operazioni speciali, sostenute da droni ed elicotteri d’attacco, sono coinvolte nell’operazione che va sotto il nome di “Claw-Lock” (il seguito delle precedenti “Claw-Tiger” e “Claw-Eagle” lanciate dalla Turchia nel nord dell’Iraq nel 2020). L’obiettivo militare è l’annientamento dei rifugi dei miliziani del Pkk e combattenti affiliati nelle regioni di Metina, Zap e Avashin-Basyan dell’Iraq settentrionale. 3

Episodio di scaramuccia di confine o inizio di un nuovo fronte? E poi chi sono i Curdi? Quale la loro identità di popolo? Il Kurdistan è un Paese che non c’è, ha un’identità di popolo ma non di territorio, non è una nazione ma ha una tradizione secolare. Solo che pochi conoscono questa dicotomia, tutta curda, tra popolo e nazione e gli occidentali fanno finta di non doverselo chiedere.

L’Europa non vuole prendere atto di dover gestire una nuova Diaspora, assai simile a quella che fu provocata sempre dalla Turchia sugli armeni nel 1917. Con la differenza che oggi esistono motivazioni socio-economiche, legate alle risorse petrolifere, che pongono i curdi nel ghetto degli emarginati. Popolo di lingua indoeuropea e quarto gruppo etnico più numeroso del Medio Oriente, i curdi rappresentano la diaspora del XXI secolo, senza una rappresentanza politica che possa difenderli. La loro maggioranza prevalente, circa 12milioni di persone, vive in Turchia, dispersi in un’area di circa 250 mila kmq – pari a quasi il 30% del territorio turco. Si contano altresì 6 milioni in Iran, 4 milioni in Iraq, un milione in Siria. Le vicine ex Repubbliche dell’Unione Sovietica, come l’Armenia e l’Azerbaijan, accolgono comunità che assommano circa 300 mila unità. Se queste sono da considerare comunità fisse, esistono anche comunità in continua migrazione, specie verso Germania e Austria, che in questi ultimi anni con la guerra siriana si è ulteriormente magnificata.

Se la Regione curda, spalmata tra quattro diversi Paesi molto diversi tra loro, fosse unita politicamente, riuscendo a mettere fine alle divisioni politiche interne, sarebbe la nazione più ricca del Medio Oriente. Il territorio del Kurdistan possiede in abbondanza materie prime quali petrolio, minerali, risorse idriche. Ecco spiegato come mai i Paesi sotto i quali ricade non vogliono rinunciare a quei territori.

Con la fine della Prima guerra mondiale sembrò possibile la nascita di uno Stato curdo indipendente. A prevederla era il Trattato di Sévres: l’Accordo di Pace, firmato il 10 agosto 1920 per mettere fine al conflitto, stabilisce anche la creazione di un Kurdistan autonomo nell’Anatolia orientale. Il Trattato non venne però rispettato, soprattutto a causa della forza della Repubblica turca nascente allora sulle ceneri dell’Impero ottomano. Alla documentazione ufficiale, la Storia ci consegna un’altra versione, l’accordo Sikes-Pikot che, nel bel mezzo della guerra, 1916, divide tutta la penisola arabica in due aree di influenza, A e B, affidate alla “ protezione” di Gran Bretagna e Francia. Dodici anni dopo a Ostende, l’accordo, siglato tra i partner della Turkish Petroleum Company, si perfeziona con una serie di clausole che cancellano di fatto i confini del Kurdistan e lo derubricano ad area ripartita in zone d’influenza occidentale. Esso prevedeva che, entro i confini di una linea vergata sulla carta geografica, poi definita linea rossa, tracciata dallo stesso Gulbenkian, i partner della suddetta Compagnia dovessero obbedire ad un patto di abnegazione, con il divieto di perseguire interessi indipendentemente dagli altri. In poche parole un patto di non concorrenzialità.4

Smembrati, divisi e pure in concorrenza. Non esiste una nazione Curda bensì due aree di influenza, quella irachena e quella siriana.

Il Kurdistan iracheno

Foto 2 Mustafa Barzani. Di Барзанский фотограф.Original uploader was Павел Шехтман at ru.wikipedia – Transferred from ru.wikipedia(Original text : http://kurdistantv.net/fotoe.asp?ser=40&cep=8#), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8256828

Nel 1946 i Curdi provano a gettare le basi di una Repubblica Autonoma, nei territori iraniani poi sotto controllo dell’URSS dopo la fine del conflitto. Durò pochissimo ma in essa trovò rifugio Mustafa Barzani che nell’agosto di quell’anno fondò il Partito democratico curdo, l’unico fino alla fondazione del PKK. 5 Per i Curdi, Barzani è quello che per i turchi è stato Mustafa Kemal “Ataturk” (padre dei turchi). Quest’area irachena rimane nelle mani della famiglia Barzani, la stessa che detiene da decenni posti chiave all’interno del Partito Democratico del Kurdistan e che, a far tempo dalla formazione della regione autonoma successiva alla caduta di Saddam Hussein, controlla i punti più nevralgici dell’amministrazione.

In seguito alla Prima guerra del Golfo (1991), gli Usa istituiscono una “no fly zone” per impedire rappresaglie militari di Baghdad dal cielo: questa azione dà ai curdi iracheni la possibilità di sperimentare ancora l’autogoverno. Nel 2003, con la Seconda guerra del Golfo, Baghdad riconosce la nuova Costituzione nazionale e nel 2017 nella Regione autonoma del Kurdistan iracheno viene organizzato un referendum non vincolante sulla propria definitiva indipendenza che riporta il 93% di voti favorevoli. Subito dopo la nomina del nuovo presidente della regione autonoma, Nechirvan Barzani, il parlamento di Erbil approva la nomina del cugino Masrour Barzani quale nuovo premier. Quest’ultimo è figlio di Masoud Barzani, leader storico del Partito Democratico del Kurdistan e presidente della regione fino al novembre 2017. 6

La reazione del Governo federale iracheno non si fa attendere: l’esercito regolare occupa militarmente i territori contesi, isolando completamente l’area e riuscendo così a rendere inefficace l’esito della consultazione. Il 25 ottobre 2017 il Governo curdo torna così sui propri passi, accontentandosi dell’autonomia già ottenuta.

Kurdistan siriano. Nel 1974 Abdullah Ocalan fonda il PKK il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) su base marxista con l’obiettivo di stabilire un Kurdistan indipendente nel sud-est della Turchia. Sebbene inizialmente non preso sul serio, il PKK guadagna costantemente aderenti. Dopo il golpe militare in Turchia nel 1980, la leadership del PKK fugge in Siria e si trasforma in gruppo organizzato e surrettiziamente terroristico, come tale designato nel 1997. Si stima che d’allora il conflitto turco-curdo abbia determinato quarantamila morti fino ad oggi.

L’area a sud-ovest trova nella guerra civile il primum movens per le giuste rivendicazioni e nel 2012 nasce si materializza la Rojava come Regione autonoma. Lo scopo è quello di promuovere una sorta di confederalismo democratico, alternativo a quello estremista-fondamentalista del Daesh, ma capace di contrastare l’influenza militare turca nella regione.

Gli USA hanno perduto una grande occasione di “esportazione della democrazia”. Con il loro ritiro, l’attenuazione della guerra siriana con i jihadisti del Daesh, non hanno posto le basi per un riassetto politico-militare della regione, favorendo così la presenza manu militari della Turchia. Così nel 2018 le forze di Erdogan occupano il cantone di Afrin, con l’operazione “Ramoscello d’ulivo” e, l’anno successivo, Ankara decide una stabilizzazione dell’area con un manovra militare definita “Sorgente di pace”, 7per creare una zona cuscinetto larga 30-32 chilometri e lunga 480 km lungo il confine tra Turchia e Siria – come previsto da un accordo del 2019 tra Ankara e Washington. Lo scopo è quello di impedire da un lato la creazione in Siria di una Regione autonoma curda e di neutralizzare il PKK di Öcalan, interprete unico della politica curda in quella zona. Il ruolo della Russia in questa operazione, malgrado giochi su due fronti, il siriano Assad da un lato e Erdogan dall’altro, risulta di mediazione assai protettiva nei confronti di entrambi.

Abdullah Öcalan. Foto di Halil Uysal – Archive of the International Initiative “Freedom for Abdullah Ocalan – Peace in Kurdistan”, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11192274

I contrasti e le divisioni interne non hanno contributo ad una politica rivendicativa unitaria e molto si deve anche al rapporto tra Masrour Barzani, figlio prediletto di Masoud e gli USA. Arruolato sin da giovane tra i Peshmerga, i combattenti curdi, è ben visto a Washington dove peraltro ha studiato. Così, con il beneplacito americano, gli viene affidato il compito di promuovere ad Erbil un nuovo esecutivo che risulta bloccato dai veti incrociati tra i due principali partiti, il Partito Democratico del Kurdistan e l’Unione Patriottica.8

Una divisione dunque del popolo curdo che ricorda quelle salomoniche della Corea, del Vietnam anni cinquanta: un’area di influenza russa, il Kurdistan siriano e un’area d’influenza indiretta USA, il Kurdistan iracheno.

È in questo contesto di divisione che si realizza la politica, squisitamente militare d’occupazione, della Turchia. Tenere saldo il corridoio turco per limitare, in quell’area, lo spazio di manovra iracheno-USA, facilitare la costruzione di nuove pipeline di origine iraniana, significa creare le premesse per una repubblica petrolifera sciita a componente iraniana, siriana, ed a trazione russa.

Il puzzle ucraino allora si completerebbe del tutto e chiarirebbe la sua stessa natura avendo presente due evenienze possibili:

  • L’apertura di un contenzioso russo nel Baltico con la Finlandia, paese Nato-aspirante in contrasto;

  • L’apertura per delega alla Turchia, paese Nato-aderente ma russo-sodale, di un contenzioso nell’area curdo-siriana in aperto contrasto per il mercato petrolifero con l’Iraq e quindi con gli USA.

La matrioska diabolica!

Da dove si denota l’incongruenza congruente dell’intera operazione? La risposta è una sola: dalla matrice russa, inscritta nel gioco delle incongruenze congruenti e di cui il ruolo della Turchia è un tassello. Inserire nella guerra un paese NATO contro un popolo senza nazione (Curdi) controllato da un Paese sconfitto (Iraq) egemonizzato dal vero nemico: gli USA.

Note:

1 Frank Umbach. Il dilemma energetico della Turchia: Bruxelles o Mosca? 14 dicembre 2017, GISreportsonline.com.

2 Ferrara A. Colella A., Nicotri P. Oil Geopolitics, le condotte insostenibili, Agora&CO, Lugano 2019

3 Rossi E. Perché la Turchia nel Kurdistan c’entra con la guerra russa in Ucraina. Formiche.net, 20.04.2022

4 Ferrara A. Enrico Mattei, il visionario. Agora&CO, La Spezia, Lugano 2022

5 The Kurds’ Quest for Independence. https://www.cfr.org/timeline/kurds-quest-independence .

6 Indelicato M. Il Kurdistan iracheno è ancora un affare della famiglia Barzani, insideover, 14 giugno 2019, https://it.insideover.com/politica/il-kurdistan-iracheno-e-ancora-un-affare-della-famiglia-barzani.html

7 James Snell, Turkey’s Afrin offensive is not about Islamic State, alaraby.co.uk. URL 25 gennaio 2018.

8 Indelicato M. Il Kurdistan iracheno è ancora un affare della famiglia Barzani, insideover, 14 giugno 2019, https://it.insideover.com/politica/il-kurdistan-iracheno-e-ancora-un-affare-della-famiglia-barzani.html

 

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