Per capire a fondo le motivazioni del DDL Calderoli sull’Autonomia differenziata, bisogna partire dalla Riforma del Titolo V della Costituzione, segnatamente artt. 116 e 117 circa la statuizione della concorrenza legislativa Stato-Regione, modifica costituzionale che reca la L.3/2001.

La non perfetta enunciazione delle materie di competenza esclusiva statale e di competenza concorrente regionale ci rimanda al Comma 3 dell’Art.117[1]. Salute e istruzione, che rappresentano diritti irrinunciabili e inalienabili, finiscono nel calderone delle materie concorrenti su cui le Regioni amministrano e deliberano con dispositivi legislativi mentre lo Stato si riserva leggi di inquadramento generale, le cosidette Leggi-Quadro.

Esaminando nel merito il DDL Calderoli si nota innanzitutto una sorta di linea-guida per le Regioni ad autonomia normale, non speciale come le Regioni Sicilia, Sardegna, Friuli, val d’Aosta e Province Autonome di Trento e Bolzano. Se analizziamo l’articolato dello Statuto Siciliano ci imbattiamo negli artt. 36-37-38 che riguardano trasferimenti speciali denominati “Fondo di Solidarietà nazionale”. Le Regioni a Statuto speciale vantano una primogenitura, figlia delle disagiate condizioni post-belliche, maturarono in un clima di imminente secessione siciliana con la formazione del Movimento Separatista di Andrea Finocchiaro Aprile e il suo braccio armato EVIS in Sicilia e del nascente banditismo sardo. Le altre Regioni erano di confine con la Francia e con la cortina di ferro in epoca di guerra fredda e in queste circostanze si resero necessarie concessioni speciali, in termini di trasferimenti di legislazione.

Istituite nel 1970, le Regioni a Statuto ordinario, sono soggette a dettami ordinamentali statuiti dalla Costituzione e poi successivamente dai Trattati Europei ove, peraltro, è presente, con minimo margine di attività, il Comitato Europeo delle Regioni. Oggi, la devoluzione regionale riguarda alcuni aspetti dei servizi e beni pubblici come sanità e istruzione.

È la sanità il punto cruciale, basti pensare che mediamente il PIL regionale è massimamente devoluto a questo capitolo di spesa. La Lombardia con un PIL di 25 mld/anno ne impiega 17 sul solo Capitolo di Bilancio della sanità.

Eppure i risultati sono così scadenti che dieci Regioni su 20 (tutte del Sud e delle Isole) sono dovute scivolare in Piano di rientro nel 2002 ed ancora non ne sono uscite, non avendo consolidato i bilanci. Ma l’aver voluto aziendalizzare ossia creare profitto per l’Azienda ospedaliera o meglio renderla più competitiva dal punto di vista finanziario è stato un crinale molto scivoloso che ha portato ai risultati odierni: il malato è un cliente e dunque per avere una prestazione deve pagare.

Se a questo si associa la cattiva riforma del Titolo V della Costituzione che demanda alle Regioni la prerogativa legislativa in tema di salute e ambiente (più scuola e sicurezza) si ottiene che non solo ci si cura male ma in certe Regioni; quelle che spendono di più, ci si cura peggio. Da qui nasce il pendolarismo sanitario che fa gravitare in aziende di prima eccellenza (Torino, Milano, Roma) la bilancia delle prestazioni erogate sia in termini di quantità (con aumento della lista d’attesa) sia in termini di qualità (con impoverimento delle aziende meno dotate in termini di risorse materiali ed immateriali). Il malato dunque diventa bistrattabile perché povero e perché residente in aree depresse da punto di vista sanitario. Si crea un’intollerabile congerie di motivazioni che deprimono la realizzazione dei diritti elementari del cittadino, in questo caso sanciti dall’art. 32. [2][3]

Oggi ci si domanda in quale modo la decentralizzazione dello stato assistenziale possa coniugarsi anche con la responsabilizzazione diretta del settore ospedaliero-assistenziale da parte delle Regioni, quello che in origine fu definito federalismo sanitario. Forse tra tutti gli aspetti degni di evoluzione in senso decentrato o regionale, il pianeta sanità è quello che più si dimostra suscettibile di tale sviluppo. Ciò in pratica si può sintetizzare con la formula della tassazione regionale sulla Salute in funzione delle proprie necessità per conglobare risorse commisurate ai redditi della singola Regione.

Come si vede, il “contentino” legislativo, ammantato di costituzionalità altro non è che un ulteriore legaccio con cui lo Stato avvince le Regioni in un percorso normativo bloccato. Lo si constata in atto amministrativo in cui il conflitto di competenze si manifesta quotidianamente e crea confusione normativa. Ma la Riforma Calderoli ribalta la posizione di vantaggio regionale sullo Stato.

Come agirebbe la Riforma Calderoli

Punto primo. La procedura.

Innanzitutto essa è improntata ad una sorta di linea-guida legislativa, delinea il percorso legislativo delle richieste regionali indirizzate al Governo, attraversano la linea di frontiera della Conferenza Stato-Regioni per approdare al Parlamento che le può modificare rimandandole indietro di percorso, in base all’art.2 della legge.[4] Uno schema di trasmissione legislativa che richiede mesi per essere attuato in condizione di fisiologica attività parlamentare. In condizioni politiche travagliate esso può anche richiedere anni. Ma il presupposto essenziale è che vi sia una maggioranza stabile parlamentare che sostenga il Governo, condizione che negli ultimi anni raramente abbiamo visto, e che, soprattutto, la Conferenza Stato-Regioni sia costituita da omogeneità politica che non imponga con i veti di alcune regioni condizioni di stallo. La farragine procedurale ha proprio nella Conferenza Stato-Regioni il suo anello debole. Da organismo consultivo redigente viene trasformato in organismo referente con una capacità di veto intrinseca alla sua stessa genesi politica.

Punto Secondo

A cosa serve

L’Art.3 è chiaro. Esso recita la formulazione dei LEP, Livelli Essenziali di Prestazioni, i quali devono essere definiti e garantiti e i “…relativi costi e fabbisogni standard sono determinati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo le disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 791 a 801, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, nelle materie o ambiti di materie indicati con legge.”

I LEP possono riguardare ogni materia concorrente su cui la Regione rivendica criteri di autonomia decisionale.

Poiché le maggiori risorse e trasferimenti regionali sono in tema di sanità, la Regione rivendica autonomia sull’utilizzo di dette risorse, indipendentemente dal comportamento di altre regioni con le quali non è esplicitato il comportamento di omogeneità sul territorio nazionale. Se la Regione statuisce il Piano di Prevenzione Regionale investendo su determinati settori, ha piena autonomia di farlo, indipendentemente dal comportamento di altre Regioni.

In questo caso si urta il logico principio dell’interdipendenza regionale che confligge con l’indipendenza delle scelte autonome e isolate.

Punto terzo

Le risorse

Intanto la legge appare un ordinamento procedurale senza capitolo di spese. Il non voler immettere risorse finanziare nuove significa che la riforma opera in assenza di nuovi fondi erogati e deve attuarsi con il vecchio capitolo di Bilancio.

L’art. 5 del DDL recita: “Le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l’esercizio da parte delle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sono determinate da una Commissione paritetica Stato-Regione, disciplinata dall’intesa di cui all’articolo 2. Fanno parte della Commissione, per lo Stato, un 7 rappresentante del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, un rappresentante del Ministro dell’economia e delle finanze e un rappresentante per ciascuna delle amministrazioni competenti e, per la Regione, i corrispondenti rappresentanti regionali. L’intesa di cui all’articolo 2 individua le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale, nel rispetto dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 119, quarto comma, della Costituzione.”

Anche in questo articolo si vivifica la Commissione paritetica Stato-Regione che si pronuncia sulla quantificazione dei trasferimenti in ossequio al principio, simul stabunt, simul cadent. Ossia, la ratifica è affidata alla coerenza politica di entrambi altrimenti subentra la facoltà di veto.

Conclusione

La riforma, o presunta tale, appare una procedura che tradisce la necessità dell’omogeneità politica, non condivisibile se non da organismi legislativi o amministrativi di medesima appartenenza politica, altrimenti cade al primo veto. Poiché non sono previsti fondi o capitoli di spesa, è chiaro che ci si basa sulla maggior parte dei fondi regionali di attribuzione sanitaria. Ed è altrettanto evidente che essa sarà la cassetta degli attrezzi per favorire, con risorse umane, strumentali e finanziarie, politiche di privatizzazione della erogazione sanitaria, aumento della filiera amministrativa e quant’altro possa rivelarsi utile a creare un coacervo di fattori estranei alla domanda di salute, ivi compresa la tendenza a implementare l’unicità dell’azienda ospedaliera, oggi una delle cause che concorrono alla dilatazione abnorme delle liste d’attesa, (Ferrara A., 2016).[5]

©Aldo Ferrara

NOTE:


[1] Art. 117, comma 3 Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innova- zione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

[2] Ferrara A., Planetta E. NEXT UE, Aracne ed., 2023

[3] Costanzo P., Ferrara A. Salute e Ambiente, diritti feriti. SEU-Roma ed., 2021

[4] Art. 2 (Procedimento di approvazione delle intese fra Stato e Regione) 1. L’atto d’iniziativa relativo all’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, è deliberato dalla Regione, sentiti gli enti locali, secondo le modalità e le forme stabilite nell’ambito della propria autonomia statutaria. L’atto è trasmesso al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie che, acquisita entro trenta giorni la valutazione dei Ministri competenti per materia e del Ministro dell’economia e delle finanze, anche ai fini dell’individuazione delle necessarie risorse finanziarie da 3 assegnare ai sensi dell’articolo 14 della legge 5 maggio 2009, n. 42, avvia il negoziato con la Regione richiedente ai fini dell’approvazione dell’intesa di cui al presente articolo. Decorso tale termine, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie avvia comunque il negoziato…. Lo schema di intesa preliminare di cui al comma 3 è immediatamente trasmesso alla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, per l’espressione del parere, da rendersi entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Dopo che il parere è stato reso dalla Conferenza unificata e comunque decorso il relativo termine, lo schema di intesa preliminare è immediatamente trasmesso alle Camere per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari, che si esprimono con atti di indirizzo, secondo i rispettivi regolamenti, entro sessanta giorni dalla data di trasmissione dello schema di intesa preliminare, udito il Presidente della Giunta regionale.

[5] Ferrara Aldo Quinto Pilastro, il tramonto del SSN, 2016, Bonfirraro ed.

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