Mario Lettieri Paolo Raimondi
“Laudato si’” è un’enciclica che provocherà molte discussioni e forse anche forti polemiche. Per la prima volta la Chiesa si cimenta in modo diretto con il tema dell’ambiente e del suo rapporto con l’economia e la finanza. Sull’argomento, in particolare negli ultimi decenni, si sono sviluppati ricerche, analisi e studi scientifici che hanno raggiunto conclusioni molto differenti, spesso opposte.
Per seguire il detto “dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” sarà opportuno lasciare che il mondo scientifico si confronti sulle varie teorie in modo indipendente, libero e, forse, mai conclusivo.
Papa Francesco sottolinea che “la sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale”. Giustamente la sua, e la nostra, massima preoccupazione sono i popoli e i poveri del mondo sempre più minacciati da una inequità dilagante quanto intollerabile.
L’enciclica tocca tantissimi aspetti morali, etici e religiosi che meriterebbero, tutti, attente e approfondite riflessioni ma, essendo stata per anni l’economia il nostro campo di studio, ci preme mettere in luce alcuni dei suoi rilevanti contenuti.
L’enciclica dice:”Il principio della massimizzazione del profitto, che tende a isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia: se aumenta la produzione interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento. Vale a dire che le imprese ottengono profitti calcolando e pagando una parte minima dei costi. Si potrebbe considerare etico solo un comportamento in cui ‘i costi economici e sociali derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni siano riconosciuti in maniera trasparente e siano pienamente supportati da coloro che ne usufruiscono e non da altre popolazioni o dalle generazioni future’.”
Nel succitato passaggio si evidenziano in modo sintetico due metodi, molto differenti, di concepire l’economia e la società: quello della finanza e quello dell’“economia fisica” e reale. Nel primo dominano le forze invisibili del mercato e il calcolo dei costi e dei benefici. In questo vince chi riesce a pagare meno il lavoro, le materie prime e i mezzi di produzione e riesce poi a vendere al prezzo migliore, il più alto, il bene o il servizio prodotto. Il successo quindi è misurato dal profitto finanziario. Tutti questi “comportamenti” sommati formano il Pil di un Paese, l’ammontare della sua ricchezza. Le varie legislazioni in un certo senso tendono a mitigare questo processo perverso che altrimenti si tradurrebbe in un darwinismo selvaggio. Nonostante ciò, in un simile sistema dominano la cultura relativistica dello “scarto”, quella dello sfruttamento e la logica dell’ “usa e getta”. Quella logica che porta a sprecare approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono.
Nel sistema di “economia fisica” e reale il profitto invece si calcola dopo che tutto ciò che è stato usato nel processo produttivo viene reintegrato e anche migliorato. Il che significa che l’ambiente usato – l’acqua, l’aria, le risorse e soprattutto l’uomo e la collettività – deve essere “ripagato” riportandolo alle sue potenzialità esistenti all’inizio del processo. Non si tratta di un processo a “somma zero” e di mera conservazione, senza sviluppo e senza crescita. Il “profitto fisico” però è essenziale per lo sviluppo e si può ottenere attraverso la reale crescita della produttività con l’applicazione delle nuove tecnologie, quelle derivanti dalle continue scoperte scientifiche.
Non è utopia, può sembrarlo ma non lo è, ma un metodo forse più complesso, ma più reale per misurare lo sviluppo economico e sociale.
L’enciclica va anche al cuore del fallimento dell’attuale sistema quando sostiene:” Il salvataggio ad ogni costo delle banche ì, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma il dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-8 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo”.
Piena condivisione con la denuncia di papa Francesco della grave sottomissione della politica alla finanza. “Non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti delle crisi attuale”. Sono concetti chiari quanto elementari sui quali anche noi spesso ci siamo soffermati. Da ultimo nel nostro libro “Il casinò globale della finanza” nei prossimi giorni in libreria.
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