di Galliano Maria Speri

Benjamin Disraeli, importante uomo politico britannico della seconda metà dell’Ottocento, parlò in un suo famoso discorso di “due Inghilterre”, una dei poveri e una dei ricchi che coesistevano ma non avevano nessun tipo di relazione. Nel caso dell’India non si può nemmeno parlare di due diversi Paesi visto che, geograficamente, si tratta di un vero e proprio subcontinente, immenso e con enormi differenze tra nord e sud, con centinaia di lingue parlate, con decine di alfabeti usati e differenze sociali drammatiche. Nonostante sia una terra di contrasti giganteschi, possiamo accettare la definizione di “più grande democrazia del mondo” perché dal 1947, anno dell’indipendenza dall’impero britannico, a oggi si sono sempre tenute regolarmente libere elezioni e, ogni volta, il partito sconfitto ha ceduto il potere al vincitore, senza scatenare le piazze ma accettando il verdetto delle urne. Questo articolo è il frutto di un viaggio di due settimane nel Rajasthan, un grande stato del nord, e quindi non può certo essere esauriente perché sarebbe come pretendere di conoscere il continente europeo dopo una visita in Finlandia, enormemente diversa dal Portogallo ma anche dalla Grecia o dalla Francia.

Asini a Udaipur

Il Rajasthan è situato nel nord-ovest dell’India, tra il deserto del Thar e la fertile pianura del Gange e il suo nome significa “la terra dei re” perché per circa mille anni questo territorio è stato governato da clan guerrieri, che avevano orgogliose tradizioni cavalleresche che imponevano loro di morire se non avessero ottenuto la vittoria. Questo non impedì però ai re locali, i favolosi maharaja (che significa grande re), di allearsi alla dinastia islamica dei moghul che, a partire dal 1526, conquistò progressivamente l’India; quasi tutti i maharaja accettarono il dominio imperiale moghul e divennero generali e dignitari del suo esercito. Il Rajasthan ha una popolazione di circa 73 milioni di persone e un’economia che da agricolo-pastorale si sta progressivamente spostando verso l’industria, anche grazie alle notevoli risorse minerarie e alle diffuse cave di marmi pregiati, che hanno consentito la costruzione di palazzi favolosi. Il marmo locale, sia bianco che verde, ha una mineralizzazione che gli conferisce un’enorme resistenza agli agenti atmosferici per cui presenta un aspetto intatto anche dopo secoli e il basso costo della manodopera locale lo rende molto economico. Per questo motivo è possibile trovare in uno sperduto posto di ristoro dei bagni ornati da pregiatissimi marmi come si vede soltanto nei grandi alberghi occidentali. Il turismo è relativamente poco sviluppato per cui i visitatori possono ancora tranquillamente immergersi nelle atmosfere locali e sono costantemente sommersi dalla vita brulicante delle città indiane. Le potenzialità di questo settore sono un aspetto importante del dibattito politico poiché, se è vero che l’India è passata recentemente dal 52esimo al 40esimo posto, secondo la graduatoria dell’ente mondiale del turismo, i visitatori sono stati all’incirca 8 milioni, un’inezia se paragonati ai 32 del Messico o ai 40 della Turchia. In Asia sia la Malesia che la Thailandia hanno il triplo di visitatori. Il paragone con i 57 milioni di turisti che visitano la Cina ogni anno è in ogni caso drammatico e stimola una discussione, visto anche che la Cina è percepita come il grande concorrente dell’India sulla scena internazionale.

New Delhi e Old Delhi

Quando si arriva all’aeroporto di New Delhi si è accolti da una struttura modernissima e funzionale, come in qualsiasi altra grande capitale del mondo. I controlli di sicurezza sono lenti e rigorosissimi, vengono prese elettronicamente le impronte di tutte le dita di entrambe le mani e, dopo questa procedura, viene rilevato anche il fondo oculare, segno tangibile di una grande attenzione alle problematiche del terrorismo (il 26 novembre del 2008 dieci differenti gruppi terroristici attaccarono simultaneamente strutture ricettive di diverse città indiane, provocando 195 vittime e quasi 300 feriti). All’uscita dall’aeroporto, impersonale come molte opere contemporanee, ci si trova immersi nella realtà palpitante di un Paese “altro”, con colori, profumi, masse sterminate, fogge pittoresche, donne, tantissime donne, eleganti nel variopinto sari tradizionale, ma anche musulmane velate (gli islamici sono il 18-19% della popolazione, mentre quasi l’80% è induista) e tanti animali. Già dentro l’aeroporto si è allietati dal canto del merlo locale e nelle strade che conducono al centro si incontrano cani, vacche, che girano numerose e libere su tutti i tipi di strade, ma anche innumerevoli scimmie appollaiate sulle staccionate ai lati delle strade. Molti viali sono ornati da bellissimi arbusti di frangipane, sobri e vibranti con le loro foglie di un verde intenso su cui spiccano i fiori candidi. La capitale si divide in due, la parte vecchia e quella nuova ma, in realtà, sono due città completamente diverse, separate non solo dallo spazio ma anche dal tempo. New Delhi ha grandi viali moderni, prati ben curati, una zona residenziale di eleganti villette circondate da alti muri e giardini lussureggianti, abitate dalla ricca borghesia locale che vive come vivevano i colonizzatori inglesi. Alla sua periferia si può vedere un vero e proprio boom edilizio, poiché stanno crescendo a dismisura grandi agglomerati di grattacieli, sorti velocemente come funghi, anche se poi sarà difficile riuscire ad affittare come uffici o appartamenti quelle migliaia di nuovi locali. La borghesia colta riconosce che la cultura indiana, oltre alle radici millenarie dei testi vedici e del successivo influsso islamico, deve molto anche al ruolo di modernizzazione degli inglesi e sa distinguere perfettamente tra lo sfruttamento coloniale e la cultura liberale e democratica che la Gran Bretagna ha conquistato.

Moschea di Jama Masjid

Una visita nella Old Delhi, lontana dai prati curati e dai viali alberati, oltre ad essere un viaggio nello spazio, diventa un viaggio nel tempo perché si entra in un’epoca diversa da quella contemporanea della città nuova e moderna e si incontrano personaggi che siamo abituati a vedere soltanto nelle foto. Non ci sono marciapiedi e camminare a piedi è estremamente pericoloso perché il traffico, caotico, rumorosissimo e frenetico, è davvero impressionante, tanto da far sembrare quello romano un’oasi di calma e civismo. Le strade della parte vecchia sono fiancheggiate senza interruzione da baracchette cadenti, coperte da lamiere e teli di plastica, che fungono da negozietti e che vendono di tutto, tra il rumore assordante, le grida degli ambulanti e gli odori penetranti che ti prendono alla gola. L’immondizia giace abbandonata e maleodorante ai bordi delle strade e i sacchetti di plastica si sono rivelati una maledizione ecologica che infetta quasi tutti gli ambienti urbani. Qui si possono ancora incontrare mendicanti che agitano i loro moncherini per impietosire i passanti o bambini che assaltano i turisti per un piccolissimo obolo. Nella zona antica ci sono però i monumenti storici, come la moschea di Jama Masjid, edificata in stile persiano sulla cima di una collina nel 1644, la più grande dell’India e che può accogliere fino a 25.000 fedeli. L’edificio è costruito in pietra arenaria e marmo bianco ed è perfettamente conservato. L’ingresso è gratuito ma bisogna pagare 100 rupie (poco più di un euro) per introdurre la macchina fotografica o il telefonino. I guardiani alla porta sono molto rudi e aggressivi e controllano anche il contenuto delle borse (non tanto per questioni di sicurezza ma per essere certi che i turisti non nascondano macchine fotografiche o cineprese).

Donne manovali

Durante il viaggio aereo interno per raggiungere Udaipur, nel sud dello Stato, abbiamo scambiato due chiacchiere con una ragazza indiana, un giovane architetto che parlava un ottimo inglese, ha visitato diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, ovviamente appartenente alla borghesia benestante, visto che si recava in una località turistica insieme a una decina di parenti. Lei abita a New Delhi che considera l’unica città vera, mentre la parte antica, miserevole e cadente, le provoca un grande imbarazzo e, secondo lei, andrebbe abbattuta e ricostruita con criteri moderni. In queste parole si potrebbe leggere sia l’interesse professionale dell’architetto, che guarda allo sviluppo urbanistico, ma anche le parole di una nuova generazione che ha la stessa mentalità dei ragazzi occidentali e ha superato i vecchi schemi della contrapposizione tra indù e islamici, o tra caste superiori e caste inferiori. Questa giovane professionista, ad esempio, è induista e vegetariana, ma ne fa una questione di gusti e non religiosa o ideologica. Ha ricordato che al liceo aveva delle compagne di scuola velate, ma questo non aveva particolari conseguenze sociali. Ma nell’intero Paese la situazione non è certo così tranquilla, visto che la regione settentrionale del Kashmir è contesa tra India e Pakistan, che sono tutt’ora in uno stato di guerra latente, mentre la crescita del nazionalismo indù ha portato a un aumento degli scontri, come quelli gravissimi del 2002 nello stato del Gujarat, dove persero la vita circa mille persone, in maggioranza islamici. Un altro segno dell’enorme attenzione rivolta alla sicurezza si ha all’arrivo all’albergo di Delhi, quando ci viene richiesto di far passare i bagagli ai raggi X e tutti gli ospiti devono superare il metal detector, prima di entrare nella lussuosa hall.

La religione popolare

Udaipur, una delle città più importanti del Rajasthan, è stata governata per secoli dalla famiglia dell’unico maharaja che rifiutò l’alleanza con gli invasori moghul e per tale ragione poté fregiarsi del titolo di maharana, che significa “grande guerriero”. La città è situata vicina al lago Pichola, al cui centro sorge un’isoletta che ospita la splendida residenza estiva del maharaja, protetta da imponenti elefanti di marmo e ombreggiata da piante di frangipane. Una visita dell’imponente palazzo reale, una cui ala è ancora abitata dai discendenti dell’ex famiglia regnante, dà l’impressione di trovarsi sul set di Indiana Jones e il tempio maledetto. La città ribolle di attività commerciali, col solito traffico inconcepibile per un occidentale e piena di persone in movimento che si affrettano in tutte le direzioni. Abbiamo notato anche molti lavori di restauro degli edifici antichi e quello che ci ha colpito sono state non solo le impalcature, costituite da grandi bambù legati tra di loro, ma anche la presenza di donne che, abbigliate nel tradizionale sari, aiutano i muratori, soprattutto con funzione di manovali, portando sulla testa materiale edilizio, mentre altre impastavano cemento. È pittoresco vedere una donna, nel coloratissimo abito tradizionale, che conduce tre asini carichi all’inverosimile di calcinacci mentre si fa strada tra moto, biciclette, vacche sacre e automobili.

Tempio di Jagdish

Nel centro della città sorge il tempio Jagdish, dedicato a Vishnu e completato nel 1651. Il tempio, a cui si accede tramite una ripida scalinata, ha una struttura centrale il cui interno è diviso da solide colonne in marmo scolpito ed è sovrastato da una cuspide decorata da bassorilievi che svetta per 80 metri. Abbiamo assistito ad una cerimonia durante la quale una donna suonava a rintocchi veloci una campana, mentre i fedeli cantavano inni tratti dalla scritture sacre e due officianti sventolavano grandi ventagli in una vera e propria celebrazione religiosa, non uno spettacolino messo su per i turisti. Nel pomeriggio della stessa giornata abbiamo raggiunto il paese di Nagda per visitare il Sas Bahu Mandir, i resti di un tempio indù con la tipica architettura indiana, ornata da figure umane e con svariate rappresentazioni della vita quotidiana, incluse scene erotiche che ornano senza alcun problema molti templi, visto che l’induismo non ha reticenze a parlare di sesso o a mostrare amplessi che sono considerati non solo da un punto di vista sessuale ma come una vera e propria esperienza religiosa che unisce il mondo maschile e quello femminile. Molto interessante è stata poi la visita al vicino tempio di Eklinji, dedicato a Shiva e di proprietà della famiglia reale di Udaipur. Il tempio, terminato nel 734 e rimaneggiato diverse volte per eliminare le manomissioni apportate dagli invasori musulmani, è un popolare luogo di pellegrinaggio per migliaia di indiani che vanno a chiedere la benedizione e la fortuna per le loro famiglie. L’ingresso è affollato da indiani di tutte le età che fanno pazientemente la fila per accedere e venerare le divinità rappresentate all’interno e dopo essersi lavati le mani con acqua profumata da petali. Una lunga fila di venditori di corone di fiori e petali è tipica di qualunque tempio indù.

La sensibilità verso la natura e la religione permea profondamente la vita degli indiani induisti, come si può notare dai piccoli templi che sorgono numerosi lungo la principali vie delle città, o nelle campagne. Le vacche sacre si muovono indisturbate sia nei centri urbani che sulle grandi vie di comunicazione e, anche se può sembrare incredibile, ci è capitato molto spesso di trovare bovini sdraiati sulle superstrade e questo costringe gli autisti a complicate manovre per evitare lo scontro. Solo sulle autostrade più moderne, dotate di guard-rail abbastanza alti, non si incontrano vacche sacre. Un altro segno della religiosità popolare è l’enorme numero di persone, uomini, donne, vecchi, bambini, comitive e famiglie che si reca in pellegrinaggio verso qualche importante santuario o località sacra. Percorrendo in autobus la strada che conduce a Pushkar, abbiamo notato la presenza di migliaia di pellegrini che, con vari mezzi di trasporto, ma principalmente a piedi, si recano verso il lago sacro di quella città ed issano tante bandierine quante sono state le volte che hanno fatto il pellegrinaggio. Alcune comitive sono meglio organizzate per cui i partecipanti sono preceduti da un camion che trasmette musica a tutto volume per tener vivo l’entusiasmo dei pellegrini. Arrivati al lago sacro, i fedeli fanno le abluzioni rituali, in gruppi separati tra maschi e femmine, e poi si asciugano e si rivestono senza troppi imbarazzi nel mostrare il proprio corpo.

(prima parte)

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1 COMMENT

  1. Caro prof.
    mi sono ritrovata di nuovo in quei luoghi e in quei momenti. Insomma nella magia del viaggio in India accompagnata da racconti e foto bellissimi.
    Grazie di cuore.

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