E’ deceduto cento anni fa (il 10 Ottobre 1916) il grande architetto del Futurismo italiano Antonio Sant’Elia, e la sua eredità propositiva nei riscontri dei progettisti successivi della futuribilità.
Un doveroso omaggio al prematuramente scomparso (a 28 anni, morto in battaglia durante la Grande Guerra) protagonista della Città (e Architettura) Nuova, in una Intervista di Giorgio Casati a Corrado Gavinelli.

Casati – Sant’Elia parte dal concetto che l’arte del costruire si è evoluta con il perfezionamento dei mezzi meccanici, con l’uso razionale e il calcolo scientifico della resistenza dei materiali. Anche l’architettura, secondo Sant’Elia, deve avere il coraggio di staccarsi dagli stilemi del passato ricominciando da capo, ispirandosi alle avanguardie artistiche e all’arte visiva che il progresso ci impone, con la costruzione delle nuove stazioni ferroviarie, dei porti colossali, dei grandi mercati coperti che sorgono in tutta Europa e negli Stati Uniti.
“Noi dobbiamo inventare e rifabbricare la città futurista, …, agile, mobile, …, e, la casa futurista simile a una macchina gigantesca. … La casa di cemento, di vetro, di ferro, senza pittura e senza scultura, ricca soltanto della bellezza congenita alle sue linee e ai suoi rilievi, …” ; insomma la sua “Città Nuova”! Cosa ne pensi in merito?

Gavinelli – Dopo tutto quanto è stato detto e scritto su questi concetti, diventa difficile pronunciare ancòra qualcosa di nuovo, rischiando d’altra parte di riproporre le solite consuete e convenzionali conclusioni ripetutamente riportate.
Tranne il fatto che – aspetto che da quel che conosco nessuno, per Sant’Elia, ha mai con dovizia considerato – le sue parole sugli edifici da realizzare coi tre tipici materiali nuovi della costruttività moderna (cemento, ferro, vetro) e soprattutto la sua manifestazione all’esterno priva di superfluità aggiuntive (neppure pitture e sculture oppure ornati), è un concetto estetico che sarà impiegato più tardi dalla cultura avanguardistica del Movimento Moderno: anticipando anche in questo quanto poi verrà da altri suoi colleghi più estensivamente attuato.
E su quest’ultima condizione di spinto aniconismo (che si ritroverà soltanto, nell’Italia di inevitabile tradizione cattolica favorevolmente incline alla produzione figurativa, con l’Astrattismo ed il Razionalismo) estremamente essenziale e purista, in Sant’Elia si ritrova stranamente una espressione pulita e nitida che è stata invece dichiaratamente della ideologia estetica dei Protestanti europei (da Gropius a Mies, da Loos a Van Doesburg, da Le Corbusier ad Aalto) e della loro assoluta non rappresentazione con immagini, e che non si poteva pensare in un comasco di decorativistica formazione liberty: una scelta radicale non soltanto contraria alla ornamentalistica Secessione ed a tutta l’Art Nouveau imperante e borghese, ma rivolta proprio – anche in tale caso futuristicamente – verso un nuovo estetismo, o una alternativa artisticità, che comprendesse il nascente gusto di un nuovo senso popolare, scarno e sobrio, corrispondente ad un regolato controllo economico nelle spese escutive; contenuto nelle esagerazioni espressive, ed analogo al funzionalismo architettonico nell’uso necessario dei mezzi indispensabili soltanto.
Oltre a ciò, qualcosa d’altro dalle usuali interpretazioni critiche si può riscontrare nei discussi progetti santeliani: un aspetto divenuto evidente (non per ripetermi auto-elogiativamente) dopo i risultati della mia ricerca del 1987-88, è stato quello di una assoluta realizzabilità dei suoi progetti che i maggiori storiografi, da Carlo Giulio Argan ad Alberto Longatti, consideravano meravigliosi disegni utopici di una concezione però soltanto ideale e visionaria, basata su puri esercizi grafici senza consistenza edilizia; ed un altro fatto interessante è che la nuova città del Futurismo  tende ad interpretare (anche questa è una mia considerazione mai prima avanzata con la sufficiente consistenza e intensità) in tutti i suoi aspetti intrinseci le caratteristiche del movimento futurista che sosteneva una concezione dinamica della realtà, anche nella architettura, come magistralmente Boccioni lo aveva indicato nelle arti plastiche: ovvero edifici non più monumentali e statici, bensì in divenire e mutabili (nel tempo, e perfino fisicamente cambiabili e sostituibili nei volumi esterni e nelle spazialità dentro alle murature), secondo la specifica idea dello spazio-tempo non più sfaccettatamente cubista ma fluidamente energetico, tanto nella genesi della materia costitutiva quanto nella forma delle masse stereometriche, scivolose e fendenti.
L’architettura santeliana si muove e palpita anche fisicamente (nella velocità dei trasporti cittadini e nei saliscendi degli ascensori) definendo edilisticamente, in modo virtuale ovviamente, nell’effetto fisso dell’artificio costruttivo, il movimento vitale della natura e delle creature, nel flusso incessante delle attività urbane e nella frenesia quotidiana delle persone e del lavoro.

Casati – “La formidabile antitesi tra il mondo moderno e quello antico è determinata da tutto quello che prima non c’era”, ci ricordano Caramel e Longatti nel loro catalogo “Antonio Sant’Elia” del 1962. “Nella nostra vita sono entrati elementi di cui gli antichi non hanno neppure sospettato la possibilità;  primo fra tutti la formazione di un nuovo ideale di bellezza ancora oscuro ed embrionale, …, abbiamo arricchito la nostra sensibilità del gusto, del leggero, del pratico, dell’effimero e del veloce”: asserisce Sant’Elia.

Gavinelli – Sicuramente Sant’Elia si è reso conto dei cambiamenti che la sua epoca stava portando, e la più chiara prova è proprio il suo progetto futuristico. E sapeva benissimo che uno sviluppo progressivo poteva soltanto consistere nella ricerca dell’inesistente da attuare, del nuovo che non c’è ma andava realizzato come manifestazione nuova (e non a caso questo ultimo aggettivo è determinante nella denominazione del suo progetto per la città). E aveva dunque capìto – constatandolo per altro attraversso i suoi colleghi Futuristi – che stava succendendo un importante fenomeno di estrema trasformazione della vita e della cultura, del gusto personal-collettivo e della considerazione estetica.
Ma a lui preoccupava poco il senso della bellezza in sè (almeno in termini architettonici e artistici di propria esecuzione), perchè lo considera ancòra collegato ad una concezione passata e difficilmente determinabile negli aspetti della novità industriale in atto e della sua evoluzione futura. A lui importava non la ricerca di un innovato ideale estetico (come sarà per De Stijl e tutti i seguaci moderni dell’Arte Totale) ma si sentiva coinvolto dalla realizzazione delle istanze della modernità suggerite dai nuovi elementi e prodotti della tecnologia dell’epoca forniti dalla perfezione formale dell’industria meccanica.
Se poi il risultato tecnico portava ad una novità esteriore piacevole e appagante nella forma (come avveniva per i Funzionalisti, a cui interessava prioritariamente la proprietà delle utenze, ma non sdegnavano anche una soluzione equilibrata e compiutamente bella), meglio ancòra; tuttavia, la bellezza doveva provenire da una giustificazione necessaria e non aleatoria, non doveva essere derivata da una ricercatezza propositiva (come in genere è stato perseguito dai Razionalisti maturi, e dagli stessi comaschi), bensì doveva scaturire dalla spontaneità del processo progettuale, in riferimento ai bisogni nuovi e ai materiali più idonei del prodotto moderno. Che in tale senso avvicina molto i miei ri-disegni di Sant’Elia evidenziati nei Prospetti ri-costruiti da me elaborati – anche se sarebbe più corretto affermare che le anticipa – alle corrispondenze tecnologiche con il Funzionalismo internazionale che più tardi è stato sviluppato.
Casati – Lo scopo sostanziale del tuo catalogo, curato con Mirella Loik, è quello di evidenziare l’ampliamento della convenzionale concezione architettonica e urbanistica dei lavori di Sant’Elia, che, con i suoi disegni prospettici, prefigurava una dimensione urbana, da lui chiamata “Città Nuova”?
Gavinelli – Come ho già riferito prima (si vedano la Parte Prima e le corrispondenti Figure da 23 a 29), l’intento di quel mio lavoro era la riscontrabilità oggettiva dei disegni, delineati con aspetto soltanto prospettico, di Sant’Elia in una elaborazione esteriore evidenziante una possibilità di restituzione concreta della costruibilità dei progetti santeliani, considerati da tutti soltanto generiche prospettive disegnate: perchè per lui la Città Nuova era davvero un concreto disegno di definibilità urbanistico-edilizia da realizzare nel futuro, invece che una ideale concezione intellettualistica di una utopica visione urbana di produzione mentale, vaga e lontana, e fantasiosamente fantasticata.
Una concezione attuativa del tutto analoga – sebbene alquanto differente – alle incredibili proposte di Hilberseimer (che si possono vedere poi concretamente attuate nelle città della vecchia Germania dell’Est) [Figura 105] e di Le Corbusier [Figura 72 della Parte Seconda], o alle esecuzioni urbane dei Quartieri autonomi sviluppate dai Razionalisti Tedeschi (Gropiusdavanti a tutti), anche se in maniera differente nelle modalità intrinseche di effettuazione formale.
Casati – La morfologia architettonica e costruttiva di Sant’Elia può ricordare alcuni elementi successivi e tra i più maturi del Movimento Moderno di Le Corbusier, Gropius, Terragni…?
Gavinelli – In parte sì (come ho mostrato nel mio lavoro santelianamente ri-costruttivo, ed affermato poco fa a proposito della similarità formale desunta dalle tecnologie dei nuovi materiali da costruzione); ma forse sostanzialmente no. Perchè, anche se le forme santeliane per alcuni aspetti esteriori sono genericamente visibili nelle architetture dei suoi immediati successori, i loro riferimenti risultano soltanto parziali ed episodici, e talvolta occasionali.
Sicuramente le grandi vetrate continue, le murature curve e sghembe, le architetture cementizie e metalliche rimandano alle opere del Movimento Moderno in generale (si vedano le Figure da 26 a 28 della Parte Prima); ma piuttosto vagamente o concettualmente, e non espressamente con esplicita identità teorico-formale (perchè nella sostanza restano produzioni espressive del Futurismo!).
Una autentica corrispondenza morfologica si può piuttosto riscontrare – come già anche in tale caso ho riferito – con le prime opere di Erich Mendelsohn, che risultano leggermente posteriori però ai disegni futristici di Sant’Elia; e che anche l’architetto tedesco dal 1914 (e probabilmente in totale insaputa, ripeto, della analoga attività propositiva del comasco, trovandosi inoltre anch’egli al fronte dal 1916-17) produce una serie di poderosi schizzi di sorprendente caratterizzazione santeliana, che poi si ricompongono nell’Espressionismo tipico del progettista germanico dopo l’esecuzione del suo Osservatorio Astronomico a Postdam (altrimenti noto come Torre Einstein, progettato nel 1916/17 ma concluso tra 1920 e 1921, e tra l’altro dal giovane Richard Neutra quale responsabile della stesura tecnica dei disegni e della loro esecutività di cantiere) [Figura 83].
Ad ogni modo, la difficoltà nel considerare giustamente corrispondenze e derivazioni tra i due architetti proviene soltanto dalla condizione di datare giustamente i loro rispettivi disegni; che, come è noto, per molti schizzi mendelsohniani dipende – come del resto avviene sovente per lo stesso Sant’Elia – dal fatto che pochi elaborati sono provvisti di indicazioni datarie, ed i critici hannoscarsamente cercato (o non avendolo potuto fare compiutamente) di ritrovarne i precisi riferimenti epocali (che secondo me sono necessarissimi, e indispensabili direi, per riconoscere priorità e derivazioni di ogni fatto). Di qualche opera è stato riconosciuto l’anno di esecuzione, ma per altre occorre andare a scovare i mezzi opportuni per rapportarle a qualche preciso periodo. Ad esempio, si sa che i primi disegni per la Torre Einstein sono del 1917, ma esiste un foglio a quadretti non datato, riportante due immagini embrionali di tale edificio, che può essere considerato l’inizio effettivo di quel progetto [Figura 84]; e a mio parere lo si può datare al 1916 poiché quello è l’anno in cui il promotore della costruzione dell’Osservatorio di Postdam, l’astrofisico einsteiniano Erwin Finlay-Freundlich, ha conosciuto Mendelsohn (tramite la moglie dell’architetto, Luise Maas, che era amica dello scienziato, essendo entrambi – casualmente – abili suonatori di violoncello, e per questo si frequentavano) a Berlino, e lo ha incaricato immediatamente di pensare ad un progetto per il proprio edificio astronomico.

Casati – E’ possibile, da questi tuoi riscontri, ipotizzare una coincidenza per così dire santeliana con le prime proposte di progettazione del Movimento Moderno, diversamente da come pensano alcuni, anziché essere rivolta ad un futuro generico ed utopico o visionario? Possono esserne un esempio i disegni per la Città Nuova da cui traspare la sua concezione urbanistica?

Gavinelli – E’ quanto ho già detto prima. Una nuova concezione urbanistico-architettonica da realizzare concretamente, con i nuovi materiali industriali, in sostituzione delle vecchie risoluzioni formalistiche delle pianificazioni accademiche e schematiche di città, manierate e non vitali, che può rimandare alle morfologie internazionalistiche. E tuttavia concepite prima della nascita effettiva del Movimento Moderno maturo, e senza riceverne influenza alcuna.

Casati – Una delle sue esecuzioni dei progetti di Sant’Elia, il Monumento ai Caduti di Como (1931-33), è stato realizzato da Attilio e Giuseppe Terragni su un disegno del 1914 di “torre-faro” per una presunta “centrale elettrica”. Per la mostra “Sant’Elia Ri-costruito”, organizzata da te e Mirella Loik, avete effettivamente constatato che, sviluppando i suoi elaborati secondo le visioni convenzionali (piante, sezioni, prospetti e assonometrie) si può dimostrare la realizzabilità dei disegni santeliani.

Gavinelli – A parte il fatto che non riesco ad attribuire a quel disegno – come anche tu sospetti – un accettabile riferimento ad una centrale elettrica (tipologia edilizia che Sant’Elia esegue in molte versioni grafiche con attrezzamenti tecnici differenti e compositivamente più espliciti), è proprio questo che tu hai saputo opportunamente incentrare nella tua domanda cui finora (e da allora nelle mie ri-costruzioni santeliane) ho inteso arrivare: l’esistenza concreta e visibile, perfino tangibile e visitabile all’interno, del terragniano Monumento a Sant’Elia sul litorale lacustre di Como, è il concreto esempio della fattibilità costruttiva di un disegno cosiddetto utopico dell’architetto futurista; e la coincidenza impressionante tra edificio costruito e disegno santeliano esprime – e conferma –  tutto il concetto di possibile – ed avvenuta – realizzabilità di un suo progetto [Figure 85 e 86].
E mentre nell’edificio attuato dai Terragni la fattibilità si è riferita alla sola – prevalente – complessità volumetrica delle masse plastiche, nella mia ricerca ri-costruttiva del materiale grafico santeliano la costruibilità edilizia ha compreso tutti gli aspetti esecutivi delle sue architetture disegnate (che sono state tutte ri-elaborate nell’interezza della loro costitutività possibile), riducendo le famose rappresentazioni prospettiche, non sensibilmente dimensionate dal loro autore con misure quotabili, in tavole tecniche di alzati e planimetrie, rapportabili a grandezze e distanze reali riscontrabili ed effettive, e dunque applicabili costruttivamente, tanto nelle volumetrie quanto negli spazi [Figure da 23 a 29 della Parte Prima].

Casati – Ritieni che, con il Movimento Moderno, anche Como – con Terragni, Lingeri, Cattaneo, Sartoris, Zuccoli, Parisi, e quindi il Gruppo Sette – acquisti una sorprendente posizione ideologica e architettonica nel panorama dell’architettura e dell’urbanistica moderna? Tèmi che saranno poi sviluppati con più accuratezza teorica e pratica da Le Corbusier, Gropius, e da Mies Van der Rohe?

Gavinelli – Indipendentemente dalle concezioni santeliane, l’opera progettuale dei Razionalisti lombardo-comaschi che hai citato costituisce un indubbio repertorio (per altro piuttosto variegato e personalizzato nella generale analogia formale di ogni autore) della grande capacità innovativa dei propositori italiani, all’interno del contesto dei migliori esponenti del Movimento Moderno mondiale, nel formulare quella tipica espressione internazionale (come l’ha riconosciuta Philip Johnson nella sua famosa Mostra antologica allestita nel 1932 al MoMA di New York intitolata appunto International Style) tramite la qualè è stato meravigliosamente connotato il  periodo interbellico dell’architettura del XX secolo.
Una progettualità eccezionale, nel coacervo italiano dell’epoca, che io credo comunque possegga un momento architettonico esemplificativamente sintetizzante di riferimento esplicito nel funzionalissimo Asilo Infantile (che non a caso è stato significativamente intitolato proprio a Sant’Elia) attuato da Giuseppe Terragni a Como, elaborandolo nel 1935 e costruendolo nel 1936-37, che contiene in sè tutte le istanze internazionalistiche degli autori mondiali da te citati [Figura 87].
Considerando il fatto però, che gli architetti stranieri che hai ricordato hanno cominciato prima dei Razionalisti comaschi a sperimentare, ed esercitare applicativamente, ciò che essi hanno poi fatto manieristicamente riferendosi a loro.

Casati – Si può, quindi, giungere alla conclusione alla quale perviene anche Edoardo Persico, ovvero sull’efficacia delle scuole pittoriche nello sviluppo della nuova architettura; e che il periodo dal 1910 al 1950 ha visto Como eccellere sia nell’architettura sia nella pittura con importanti artisti d’avanguardia quali Manlio Rho, Mario Radice, Aldo Galli, Carla Badiali, Carla Prina e infine Eli Riva e Ico Parisi? Possiamo affermare che costoro si possano annoverare tra i precursori dell’astrattismo in ambito nazionale e in un certo senso espressione delle tendenze più vitali dell’arte moderna?

Gavinelli – E’ proprio così. Se non davvero sempre i precursori, almeni i fautori dell’Arte Astratta allora avanzante. Si è verificato in quel periodo come una magica fase di incredibile produttività operativa unica e singolare, irripetibile (e mai più ripetuta) nella sua complessità di insieme propositivo (tra i cui protagonisti essenziali introdurrei anche il più tardo Gianfranco Arlandi di Brunate, artista semiologico particolarissimo e indipendente, che proprio per questa sua personalità auto-isolante è stato ingiustamente negletto). Perchè soprattutto i Razionalisti-Astrattisti degli Anni Trenta hanno configurato una sorta di attuazione di quella unità delle arti che importava particolarmene agli Avanguardisti europei e di tutto il mondo moderno quale nuovo criterio di esistenza non soltanto culturale ed etica, ma soprattutto estetica; e di cui il modello operativo di De-Stijl è stato un propulsore costante, dall’intero sviluppo della propria concezione neoplastica tra 1917 e 1932 fino alla sua rielaborazione nel successivo Gruppo internazionale di Abstraction-Création (comprendente – oltre ai riciclati modernisti di ogni tendenza, quali Van Doesburg, Vantongerloo, Mondrian, Van Der Leck, Kandinsky, Gleizes, Naum Gabo, Jean Arp, Schwitters – ulteriori autori neo-moderni come Herbin, Hepworth, e Ben Nicholson; cui si sono collatermente collegati personaggi particolari quali sono stati Albers e Max Bill), in un coacervo creativo eterogeneo che ha aggiunto nuovi esponenti all’astrattismo d’ogni tipo – geometrico oppure organico – e raggiunto ulteriori traguardi di espressione artistica

Casati – Il grande matematico leccese Ennio De Giorgi sosteneva che: “… all’origine della creatività in tutti i campi ci sia quella che io chiamo la capacità o la disponibilità a sognare, a immaginare mondi diversi, cose diverse, a cercare di combinarle nella propria immaginazione in vario modo. A questa capacità, forse alla fine molto simile in tutte le discipline: matematica, filosofia, arte, fisica, … si unisce poi la capacità di comunicare i propri sogni, e una comunicazione non ambigua richiede anche la conoscenza del linguaggio, delle regole interne proprie delle diverse arti”. Queste considerazioni di De Giorgi si adattano all’operato di Sant’Elia, come a quello dei più grandi artisti. Cosa ne pensi?

Gavinelli – In linea di principio può essere come dice De Giorgi. Ma io penso che la creatività nella sua considerazione più generale (come nelle sue applicazioni specifiche) corrisponda al fenomeno della invenzione concreta più che all’aspetto della visione onirica. Corrisponde, in sostanza, ad un sogno ad occhi aperti, o a mente sveglia, che riesce a trovare dal nulla qualcosa di inesistente, oppure a presentare alcunchè di ignoto e precedentemente sconosciuto.
Il che significa che non necessariamente quanto è stato creato è mai esistito ed è assolutamente nuovo, ma che nella ricerca di altro dal già noto (novità) il creativo cerca di scoprire qualcosa di diverso (che magari esisteva già, ma mai è stato svelato).
Perchè io ritengo che nell’estrema inventività esiste una ignota – o meglio nascosta e non saputa – presenza endogena costitutiva e precedente: come per l’embrione organico darwiniano che possiede tutte le caratteristiche di evoluzione e di apparizione di novità morfologiche dal nucleo di partenza, che contiene interinamente le possibilità di ogni suo sviluppo, avendo tutti i dati programmati delle sue nuove manifestazioni. In quanto – ci aiuta a capire Lavoisier forse un po’ troppo deterministicamente: ma ineluttabilmente – niente viene dal nulla, provenendo invece da un elemento (o aspetto) precedente che è stato trasformato.
Un problema filosofico complesso, e quasi assurdo, che ci porterebbe ad una discussione alquanto lontana dalla tematica di cui stiamo trattando. E dunque – ritornando all’invenzione progettuale dei Moderni del Novecento, Sant’Elia compreso – e particolarmente – nel primo quarantennio del XXesimo secolo ha dato una impressionante impulso elaborativo alla modernizzazione esplicita, di sussultante energia e vivida sagacia, fino ad allora mai presentatisi (se non, con le dovute referenze di cautelazione storica, nel Rinascimento). Un coraggioso vigore propositivo che ha drasticamente mutato i modi di concepire e di agire dell’umanità, non proprio nelle forme biologicamentemente evoluzionistiche ma nelle espressioni dei comportamenti e delle attitudini, nei desideri personali e collettivi, e nelle disposizioni comunitarie del vivere sociale di cui ancòra adesso subiamo le conseguenze istituzionali di origine e di base (nonostante i sempre più rapidi e contraddittori cambiamenti che la condizione post-moderna ci ha procurato, e provocato).

Casati – Avresti qualcosa d’altro da aggiungere a questa conversazione, riguardante il lavoro progressista di Sant’Elia e di quanto vi si è svolto intorno – prima, contemporaneamente, o dopo – di particolare stimolazione attuale?
Gavinelli – Riflettendo non soltanto su quanto abbiamo detto, ma anche sulle suggestioni profonde che enunciano e promanano, perfino suggeriscono, i disegni prevalentemente prospettici di Sant’Elia, si possono aggiungere alcune ulteriori  considerazioni basilari: innanzitutto la problematica della prospettiva (nei disegni della Città Nuova diventata una caratteristica grafica preminente e fondamentale dell’immagine descritta) che mostra una impeccabilità esecutiva impressionante, effettuata da un architetto che soltanto pochi anni prima, nell’anno scolastico 1909-10 dei suoi studi alla Accademia di Brera in Milano, aveva preso un penalizzante 5 nella votazione del Corso di Prospettiva (un altro caso eclatante – come quello di Einstein e di altri grandi famosi personaggi storici: quali Gates, Newton, Edison, Churchill, o Mozart – che incapaci nelle materie istituzionali, si sono poi rivelati nella vita professionale dei veri geni per le loro discipline) [Figura 88].
Ulteriore interessante riscontro nel lavoro santeliano iniziale, e della sua maturazione architettonica, è il riconoscimento del 1912 ricevuto dal Regio Istituto di Belle Arti in Bologna, che gli ha conferito il proprio diploma di Professore di (si veda ancòra il caso!) Disegno Architettonico (e dunque anche – implicitamente – di Prospettiva) con votazioni risultate eccellenti (tra il 9 e mezzo e il 10! Nel punteggio di allora, di “duecentoquarantadue sopra duecentottanta”).
Oltre a queste simpatiche curiosità personali, altro aspetto che mai è stato seriamente considerato e vagliato riguarda poi le qualità delle opere santeliane nella loro fattività, che manifestano una forte diversità tra proposta disegnativa da sviluppare (e pertanto lasciata anche al non-finito) e progetto da realizzare per una committenza veramente effettiva. In tale senso, il caso della Cassa Risparmio di Verona, del 1913-14 [Figura 30 della Parte Prima], è altamente esemplificativo, e mostra un Sant’Elia attento alle massime rigorosità esecutive in tutti suoi aspetti elaborativi (giudizio che invece è stato dato negativamente ai suoi progetti – di poco anteriori al precedente – per il Cimitero di Monza del 1911-12: considerati, dalla commissione giudicatrice del concorso, incompleti e senza opportune corrispondenze tecniche della rappresentazione esteriore con gli alzati e le planimetrie).
Ancora, si può percepire una ulteriore attestazione di contraddittorietà espositiva che si accompagna alla sconcordante presenza, nella attività disegnatrice e professionistica santeliana, di progetti tradizionali con chiara e decisa matrice liberty durante la stesura dei disegni funzional-moderni della Città Nuova: fatto che dichiara appunto tutto il contrasto pratico tra esigenze lavorative condizionate dalla cultura dell’epoca e concezioni progressiste rivolte al futuro, in quanto entità operative di forte alternativa tra due atti di proposizione dalla natura diversa, e pertanto da tenere separati.
Per ultimo, un argomento a me molto caro nella vita architettonica di Sant’Elia si ritrova nella vera eredità grafico-percettiva (e implicitamente costruttiva) lasciata dall’architetto comasco nei propri lavori futuristici ai suoi successori, e raccolta coscientemente da personalità progettuali – anche importanti e considerevoli – in opere analoghe di corrispondenza concettuale e formale, al di là degli autori finora analizzati.
Primo fra tutti il grande disegnatore statunitense di periodo e stile déco Hugh Ferriss, che dal 1916 (ma ad essere precisi già da due anni prima, in quel 1914 di codificata futuristicità architettonica santeliana) fino alla sua meravigliosa pubblicazione nel 1928 dello splendido volume La Metropoli di Domani – descritta con straordinari disegni di una futura New York regolata dal piano di condizionamento dei profili degli edifici alti – ha non poco ripreso le suggestioni e le immagini del progettista comasco, con personale interpretazione ma a volte con circostanziata similarità (tanto negli impianti urbani quanto nelle volumetrie architettoniche).
Le strabilianti sagome ferrissiane apparentemente fantasiose, tracciate con massiccia volumetria e densa aura futuristicheggiante, non sono altro – invece, e come per i disegni di Sant’Elia – che reali raffigurazioni di possibili definizioni stereometriche degli edifici alti newyorkesi da costruire, dedotte dalla legge apparsa nel 1916 per regolamentare la elevazione dei grattacieli eccessivamente svettanti e modulabili con rientranze riduttivamente gradonate verso l’alto, atte a ridurre l’ombreggiatura sulle costruzioni circostanti. Una condizione che venne non tanto compresa poco da architetti ed impresari edili come la storiografia blanda sostiene, bensì che fu opportunisticamente non voluta essere capìta dai costruttori speculativi, e quindi trascurata e ostacolata operativamente, tanto che nel 1922 l’architetto di grattacieli Harvey Wiley Corbett (proprio lo stesso delle citate illustrazioni di Città del Futuro del 1910-13) commissiona a Ferriss di disegnare una serie di varianti sulla tetralogia di edifici-tipo stabiliti dalla nuova Legge di Zonizzazione, per usarle come concreto riferimento esemplare nella modulazione delle rientranze degradanti verso l’altro per le volumetrie costrutibili [Figura 89].
Insieme a queste possibili campionature edilizie, gli altri disegni ferrissiani si sono poi rivolti ad una incredibilmente molteplice quantità di illustrazioni urbane, applicate in autentiche visioni di metropoli moderne, dall’aspetto completamente nuovo dalla consuetudine pianificatoria di allora anche nella articolazione della viabilità, e nella loro corrispondenza con gli spazi urbani e le parti costruite [Figura 90].
E non può essere escluso – come avvenne anche per Marinetti a riguardo dei disegni futuristici santeliani – che le proposizioni in bellissime forme manierate delle tavole di Ferriss derivino (sebbene indirettamente) dalle coeve proposte grafiche più eclettisticamente raffigurate del Corbett (come si può riscontrare un altro elaborato di Città del Futuro di questo progettista eseguito nel 1928, che però era già stato pubblicato 3 anni prima col titolo Città delle Meraviglie), per le quali egli tra l’altro proclamava – santelianamente futuristicheggiando – che “I grattacieli rientranti del futuro avranno scale in movimento sulla parte esterna degli edifici, invece di ascensori, con servizi per i passeggeri in modo da farli scendere a qualsiasi piano” (una concezione futuristeggiante però conservativisticamente contrastata dal Sindaco di New York, che osteggiava ironicamente quelle concezioni troppo avveniristiche, scorgendo in esse tutta la pericolosità realizzativa per operazioni altrimenti più liberamente speculative, praticamente eseguibili a diversità dalle altre proposte visionarie di maggiore evidenza inattuabile che non davano fastidio) [Figura 91].
E per quanto questa proposta corbettiana di trasformazione urbana – prevista per il 1950! – dichiaratamente confermasse che per quel futuro le “città avrebbero utilizzato strade su livelli sovrapposti per affrontare il sovraccarico di traffico” (differenziato nel modo seguente: “Un livello sarebbe per pedoni, due conterrebbero il traffico motorizzato, e quello inferiore riguarderebbe i treni elettrici”) ed avrebbero adoperato “I tetti dei grattacieli” come “spazi da gioco dei caseggiati e nelle scuole”, nonché – sui palazzi più grandi – “serventi da campi di atterraggio degli aerei”:  morfologicamente una vera e propria derivazione da Sant’Elia!
Che però nei lavori corbettiano-ferrissiani è scarsamente riscontrabile direttamente (se non in particolari coincidenze, anche per datazioni annuali, di certe costruzioni specifiche di cui dirò tra poco), ma di cui inevitabile risulta invece (soprattutto in Ferriss) l’ammissione di similarità – sebbene magari non cercata – delle impostazioni urbane di questo architetto-illustratore nei confronti delle architetture della Città Nuova santeliana, tanto per le visioni plastiche come nelle direzioni percettive [Figura 92].
Un caso esplicito di tale somiglianza proviene dalla impostazione plastica della Diga – con annessa Centrale Elettrica – disegnata da Ferriss nello stesso anno 1914 in cui Sant’Elia tracciava tipologie produttive medesime per la sua metropoli futurista: e tuttavia disegnata in Settembre, quando il Manifesto della Architettura del Futurismo – con i disegni santeliani – era ormai già pubblicamente apparso da due mesi) [Figura 93].
Oltre a questo protagonista statunitense della illustrazione avveniristica per le città costruibili, un altro interessante emulatore della città – e architettura – futuristica santeliana, in questo caso soggettivamente cosciente ed espressamente dichiarato, è il franco-belga François Schuiten, autore fantascientifico di fumetti, che nei suoi elaborati avveniristici di pastosa o tersa espressione neo-déco, ha mostrato di avere direttamente attinto, in – tra loro confrontabili – disegni propri e dell’architetto comasco, una riproponibilità attualizzata del progettista futurista, del tutto originale e differente da altri suoi traspositori.
I fantastici scorci schuiteniani di urbanizzazioni del futuro sono in realtà le elucubrazioni inventive del personaggio principale dei racconti raffigurati dal grafico fumettista, ovvero il “Tecnico Urbanistico di Urbicandia” (città di avveniristica composizione) Eugen Robick – che si ingegna a risistemare il tessuto cittadino con immaginari progetti ed  interventi – pubblicato nel 1984 da Schuiten nel suo secondo volume delle Cronache delle Città Oscure. L’estro schuiteniano si sbizzarrisce in santeliane riproposizioni riprese su tutto il repertorio dell’architetto italiano, dai disegni a carattere liberty-secessionistici (come si propone la Casa robickiana, da lui stesso rapportata ad uno schizzo di eclettica art-nouveau di Sant’Elia del 1913, il così chiamato Edificio Monumentale di Culto con Cupola Rialzata e Scalinate) e perfino per gli ambienti metropolitani di più ampia spazialità di Urbicande [Figure 94 e 95].
Sagome analoghe (ed in certi casi pressocchè identiche) agli organismi di Sant’Elia, riproposte con più nitida grafia personalizzata ed attualistica (o futura), dove l’immancabile intersezione della viabilità automobilistica sovrapposta (che offre in più la qualità particolare di passare direttamente dentro gli edifici) si distingue completamente dai trasporti aerei, indipendenti e affidati a una sorta di piccoli dirigibili dal volume gonfio, in una raffigurazione disegnativa mutuata, a sua volta, da una illustrazione di Frank Rudolph Paul – la Visione di Città Possibile del 1928 – denotata da una sempre immancabile suggestione grattacielare denotativamente statunitense [Figura 96 e 97].

Casati – Ma quindi, adesso, quali generi di Utopia possono venire ancòra proposti, in un mondo in cui anche le più incredibili evoluzioni costruttive e tecniche si possono (abbastanza) facilmente realizzare (o se non altro rendere iperrealisticamente visibili nelle restituzioni grafiche dei 3D)?

Gavinelli – In questa problematica e caotica fase post-moderna di complessa proposizione architettonico-urbanistica (di cui si possono vedere le conseguenze più mirabolanti e impensate nelle nuove nazioni economicamente – e tecnologicamente – emergenti, quali Cina e Corea o Emirati Arabi), si tratta solamente di una questione di possibilità decisionali, propositive e finanziarie, di volontà e risorse,  imprenditorialità e finanze, come si può vedere dalle realizazioni – e soprattutto nei nuovi mrabolanti progetti in esecuzione  o proposti – negli Stati che ho appena citato. Dove esistono le disponibilità, è possibile realizzare anche ambienti incredibili, impensabili e perfino assurdi, che giungono a riprodurre – come ben abbiamo potuto mirabilmente constatare, indipendentemente dall’accettazione estetica che se ne vuole avere – territorialmente una palma gigantesa visibile nella sua totalità solamente dall’aereo! E che sanno attuare anche quella stupefacente edilizia, un tempo soltanto marginale ed episodica – e perseguita da pochi progettisti audaci e fantasiosi – che per la sua emergenza formale e plastica ho chiamato, già nel 1985, Scult-Architettura (una tendenza del Semanticismo post-moderno che si è sviluppata molto, ultimamente, ed è diventata una sorta di gara espressiva alla sfida tecnico-architettonica verso lo spettacolo costruttivo, sostenuto da una tecnologità che si può benissimo nascondere e fare diventare percettivamente secondaria, o inesistente perché occultata dalle forme plastiche dominanti!) [Figura 98 e 99].
La Post-Utopia odierna esiste tuttavia, ma possiede una matrice diversa da quella della Modernità interbellica. Perché non è più la rappresentazione della condizione meccanica dell’Industria, bensì attesta l’espressione dell’affermazione digital-computeristica del Terziario. Ed inoltre non ha più bisogno di affannosamente ricercare una modalità di nuova esistenza, protesa verso un futuro fiducioso che doveva cambiare la vita esistente come avveniva per le proposte delle Avanguardie, bensì deve rappresentare l’istanza di progresso per ulteriori invenzioni di vita complessiva, alternativa agli aspetti inaccettabili di città e metropoli odierne, sedimentatamente vecchie, e appartenenti al passato.
Le quali sono difficili ormai da cambiare globalmente, e vanno in pratica riformate (come hanno pensato a suo tempo – negli Anni Sessanta e Settanta – i progettisti del Radicalismo internazionale, tra cui il Gruppo Superstudio italiano, di Firenze; che immaginava di fasciare, alla stregua solido-costruttiva di un’opera gigantesca di Christo, non di tela ma con rigidi interventi edilizi di sovrapposizione sulle località urbane esistenti, gli ambienti terrestri magggiormente compromessi edilmente; oppure di invadere, con estranee megastrutture imprevedibili e funzionalmente incomprensibili, constesti paesistici relegati: ma con il difetto, però, di non riuscire a dare una specifica identità spazial-distributiva specifica e concreta ai loro enormi interni racchiusi da infinite vetrate squadrettate!) [Figura 100]. Ovvero fornire nuove risoluzioni metropolitane che devono decisamente sostituire le città esistenti con oppositive condizioni tecniche: di cui gli avveniristici progetti del Gruppo Archigram inglese o dell’italo-statunitense architetto isolato Paolo Soleri dànno due espliciti criteri di identificazione, con rispettive modalità di attuazione cercando di sistemare i loro progetti in posti alternativi, e su ogni parte del globo terrestre e perfino nello spazio siderale. Perché le città nuove – come la Walking City di Ron Herron del 1965 – possono anche fisicamente muoversi e camminare [Figura 101], e andare dove ritengono, oppure installarsi in siti non ancòra urbanizzati molto particolarmente scelti (quali sono le soleriane zone marginali da rivitalizzare) [Figura 102]; se non addirittura viaggiare nello spazio planetario, come sempre Soleri ritiene di fare nella prossima eventualità di una abitazione extra-terrestre, quando si verificherà l’inevitabile necessità futura di evitare il sovraffollamento popolazionale  nel nostro pianeta e cercare altri luoghi da colonizzare nell’Universo! [Figura 103].
Tutte forme di realizzazione ancòra problematicamente ambigue che richiedono tempo e denaro, ma anch’esse – analogamente a quanto sta avvenendo molto concentratamente nel piccolo microcosmo soleriano che sta crescendo ad Arcosanti negli Stati Uniti nel sito sperduto di Cordes Junction, sul ciglio del Canyon dell’Agua Fria – sottoponibili alla effettiva costruibilità esplicita (con risorse e mezzi opportuni) [Figure 104] .
L’utopia realizzata era la grande prospettiva dei Moderni, che è tuttavia divenuta irrealizzabile non per impossibilità di effettuazione tecnica bensì per motivi di contingenza politico-sociale, e cultural-decisionale (o imprenditorial-speculativa): i roboanti progetti dei Costruttivisti sono stati scarsamente applicati, similmente alle urbanizzazioni eccitate dei Futuristi o razionalizzate dei Bauhausiani, a cominciare dalle città severe di Ludwig Hilberseimer [Figura 105], e degli stessi piani urbani altrettanto addensanti di Le Corbusier [Figura 72 della Parte Seconda] o altrimenti estensivi di Wright.
Oggi gli architetti per così dire visionari non si aspettano di cambiare drasticamente  il mondo con i loro progetti, ma di indicare soltanto delle particolari alternative; che più incredibili si manifestano, maggiormente convincenti si dichiarano nella loro oggettività di realizzazione; e che infatti si manifestano nelle immagini di mai visti organismi strani e immaginifici, rinvianti di più ad un futuro di visione fantascientifica (le metropoli interplanetarie di Guerre Stellari, per citare l’esempio più plateale e tecnicamente elaborato) che non ad una effettiva evoluzione delle città presenti [Figura 106].


Ed a proposito della estremistica illustratività fantascientifica della cinematografia più recente o dei prodotti ludici dello schermo del computer che coinvolge la nostra realtà di immaginazione in una artificiale realtà futura, insinuandosi virtualmente nella nostra espansa percezione figurativa, mi si permetta di osservare che il lontano criterio santeliano, divenuto principio progettuale per la futuribilità di una urbanistica prossima – per quanto superato nelle morfologie odierne o dimenticato nei meandri decaduti della storia – non soltanto sia rimasto prototipicamente fisso nella concezione collettiva dell’immaginario visionario, ma anche inevitabilmente riproposto (consapevolmente o inconsciamente) nei suoi aspetti più tipici dai visionari della fantascienza soprattutto filmica: non a caso la più rappresentativa città planetaria della saga di Star War prodotta continuativamente – con le ovvie trasformazioni evolutive dalla straordinaria idea dell’impareggiabile George Lukas dal 1977 (proprio nel pieno clima urbanisticamente ripropositivo del Radicalismo architettonico), nel suo episodio più maturo delle Guerre dei Droni fatto uscire nel 2008, è la futurissima città interplanetaria di Coruscant (sede giurisdizionale dell’Impero Galatico: rappresentata nella realistica grafica digitalizzata di Ralph McQuarrie, che è stato il più grande ideatore e disegnatore di personaggi e scenografie delle Guerre Stellari fin dall’inizio degli episodi della narrazione galattica, di cui ha seguito la direzione artistica, l’ambientazione planetario-urbana ed i caratteri personali dei soggetti, il loro vestiario, e la fotografia complessiva, deceduto nel 2012), elaborata nel 2008-10 per la sua pubblicizzazione telematica seguendo la scenografia cinematografica originale condotta da Henry Gilroy con Steven Melching e Scott Murphy per la regia di David Filoni): che mirabilmente  possiede una basilare impostazione infrastrutturale – sebbene fortemente complicata dai continui mutamenti epocali (e bellici) – imperniata comunque anch’essa sulla solita divisione dei traffici con i tragitti aerei posti all’estremo livello superiore della metropoli, e le altre distinte intersecazioni indipendentemente sovrapposte, unitamente ad un servizio poderoso di Aerobus approdabili su apposite piattaforme enormi [Figure 107 e 108].
E non basta: tutto l’apparato energetico-alimentatore di questa metropoli della visionarietà stellare di nostra appartenenza non più terrestre, è stata ampiamente pianificata  nei suoi aspetti specifici con precisi progetti giustificativi, come in un organizzato Studio di Architettura professionale; e sono una logica, e continuatrice, riproposizione degli attrezzamenti tecnici e dei sistemi sovrappositivamente costruttivi santeliani, adattati alla sofisticazioni tecnologiche dei criteri avveniristici. A livello del terreno, corrono enormi e lunghissime “tubazioni” di approvviagionamento idrico (“entro le quali viene pompato ghiaccio solido proveniente dalle calotte polari”, trasportato lungo “condutture” multiple composti di  fasci diversificati compattati) [Figura 109], attraversando un desolato paesaggio terribilmente inquinato dalla sequenza dei fitti opifici e officine (la cosiddetta Zona delle Fabbriche: “un vasto settore industriale” per la realizzazione di ogni merce utile e di consumo, “riconosciuta” anche “come la maggiore risorsa di produzione delle parti di montaggio delle navette spaziali e di costruzione di droidi” – di servizio e bellici – nonché di “materiali costruttivi”) distesa sulla crosta planetaria al di fuori e lontani dall’area tipicamente cittadina [Figura 110].
Si ritrovano inoltre vari apparati d’altro genere, rivolti alla sopravvivenza ed alla salubrità complessiva: per accumulare l’energia elettrica necessaria (con apparecchi solari satellitari posti in orbita) [Figura 111], regolare lo smaltimento dei rifiuti normali o pericolosi (attraverso speciali “nuclei di iperguida esausti”, convogliati e raccolti entro le “cinquemila discariche verticali del pianeta, e ivi racchiuse in bossoli sparati in orbita bassa” oltre la zona atmosferica attorno al pianeta, per essere “raccolti e trasportati su navi” spaziali per depositarli “sopra una luna vicina per lo stoccaggio” definitivo) [Figura 112], e per controllare i livelli di purificazione dell’aria che a causa del “traffico incessante dei […] trilioni di abitanti” possiede “un caos sostanzialmente continuo nonché un notevole tasso di inquinamento, per combattere il quale sono stati posti numerosi depuratori orbitanti” che continuamente monitorano “la quantità” della polluzione “e prevengono la degenerazione atmosferica”, attraverso l’impiego di sofisticati “smorzatori” altamente “sensibili al diossido di carbonio”.
La città invece è sistemata su molteplici piani di piattaforme a varia sagomazione, per larghezza  e spessore, su cui appoggiano gli edifici, seguendo una crescita verticale di “evoluzione a strati” sovrapposti, continuamente collegati da ponti stradali sfalsati: su cui transitano veicoli fissi, oppure astronavi ad uso individuale e veicoli aerei pubblici [Figura 113].
E su questa strabiliante composizione complessa della nuova città planetaria è avvenuto che la sua credibilità operativa ha suscitato un incredible processo di identificazione al contrario, nella visione degli osservatori odierni ancòra sul nostro globo terrestre,  per la quale la fantasiosità estremizzata di Guerre Stellari si è calata – paradossalmente – sulla Terra, cominciando a venire paragonata, da certi fotografi intraprendenti soprattutto capaci di accattivanti riprese ad effetto speciale, con la altrettanto immaginifica pianificazione futuristicheggiante di Dubai [Figura 114].
Dunque il cerchio – come si dice – si chiude, e si ritorna sempre immancabilmente ad interessarci di progetti terrestri (per quanto fantascientifici).
Invece tornando a noi, i disegni di visione urbana degli architetti contemporanei si presentano ormai come tante esercitazioni espressive, o estemporanee risoluzioni spettacolari, se non espressioni di esclusivo edonismo soggettivamente porpositivo. Perché subiscono la tremenda concorrenza non solamente della realtà virtuale dei computerizzatori grafici, ma della stessa città presente in divenire che le nazioni più ricche possono concedersi (e concederci).
L’avvenire per i Moderni consisteva nel cambiamento effettivo – speranzoso –   dell’esistente, mentre per i Post-Modernisti il futuro è completamente al di fuori dell’attualità, e si deve ritrovare in circostanze del tutto estranee a quanto noi viviamo adesso.
E – adesso – che abbiamo affrontato tutti i più vasti contesti dell’utopismo, voglio chiudere ringraziandoti, caro Casati, di questa digressione amplissima, che mi ha davvero coinvolto molto (non per la lunghezza, ma per i contenuti), e che spero abbia interessato non soltanto noi vecchi appassionati di architettura, ma possa piacere altrettanto ai nostri lettori: su tematiche che ancòra ci appartengono, non unicamente come storici ma anche quali cultori della nostra disciplina più perseguita, quella architettonica [Figura 115] (anche se ti devo confessare che l’arte e il disegno mi hanno – come del resto è successo a te – sempre affascinato atrettanto). Una tematica certamente di immensa importanza per come viene praticata attualmente, ma di certo ancòra più contingente e significativa se pensata per il Futuro: quell’orizzonte di avanzamento che era la vera … prospettiva del nostro indimenticabile Sant’Elia!
Morto davvero prematuramente in battaglia nella Grande Guerra, al fronte carsico, per una pallottola fatale che gli ha forato irrimediabilmente l’elmetto [Figura 116].
Per quell’estroso architetto rivolto al futuro, questo nostro colloquio potrà essere una delle tante, speriamo, utili commemorazioni del suo personaggio storico: cui non solo noi sentiamo, e abbiamo cercato, di rendere il dovuto omaggio (con forti riproposizioni retrospettive)! [Figure 117 e 118]

 

 

NOTE BIOGRAFICHE DEGLI AUTORI

Corrado Gavinelli, architetto, è stato Professore di Storia della Architettura Contemporanea nella Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, e Professore Straniero (Gaikokujin Kioushi) alla Università di Tsukuba in Giappone; dove è stato anche Docente in Visita nella Scuola di Design di Sapporo. In Italia ha insegnato anche Storia della Comunicazione Visiva all’ISIA di Urbino ed al COSMOB di Pesaro. Autore di diversi libri storici sulla architettura e l’arte, e di numerosi saggi critici sulle migliori riviste mondiali specializzate nella disciplina architettonico-urbanistica, ha contribuito in modo rilevante a diffondere la conoscenza dei lavori – e della stessa figura progettuale – di Antonio Sant’Elia e del Movimento Moderno comasco, con articoli e mostre nazionali ed estere.

 

Giorgio Casati, architetto, è un professionista attivo nel settore della architettura urbana, dell’urbanistica e del paesaggio, di recente passato anche al lavoro artistico (pittura e ceramica). Dopo una breve esperienza tecnica nella progettazione di macchine strumentali, ha collaborato con diversi Studi progettuali. Ha progettato e diretto numerosi interventi architettonici, vari piani attuativi, e lavori di ricerca nel campo del design, dei sistemi edilizi e dell’urbanistica. Si è impegnato anche in diverse esperienze di riferimento culturale, amministrative (Presidente dello IACP della Provincia Comasca, membro del Direttivo del Centro di Cultura Scientifica Volta, Consigliere Comunale della città di Como) e pubbliche (organizzando mostre e convegni su architettura, design, e arte).

 

FIGURE e DIDASCALIE 

83 e 84 – La famosa Torre Einstein di Erich Mendelsohn (Osservatorio Astronomico costruito nel 1920/21 a Postdam, commissionato dall’astrofisico Erwin Finlay-Freundlich), in due schizzi coevi: nel suo più tipico disegno del 1917, mostrante la sagoma generale dell’edificio come venne tracciata al fronte russo, ed il primo suo abbozzo eseguito a Berlino nel 1916 su un semplice foglietto squadrettato    
85 e 86 – Il Monumento ai Caduti nella Prima Guerra Mondiale realizzato a Como da Attilio e Giuseppe Terragni nel 1931-33 (reimpostato sul disegno originale di Sant’Elia per la sua contingente esecuzione tecnica) costituisce la prova materiale della ineluttabile costruibilità empirica dei disegni di prospettive santeliani
87 – L’Asilo Infantile Sant’Elia a Como, attuato da Giuseppe Terragni nel 1936-37 su progetto del 1935, che contiene in sè tutte le istanze internazionalistiche della architettura mondiale moderna secondo gli autori più importanti dell’epoca
88 – La Scheda di Votazione degli anni 1909-11 con il riferimento al giovane (ventunenne) Sant’Elia, studente all’Accademia di Brera di Milanese (dove aveva preso 5 in Prospettiva!)  
89 – Una caratteristica immagine dell’architetto-disegnatore statunitense Hugh Ferriss del 1928, illustrante le modalità di rientro graduale dei volumi costruibili nei grattacieli elevantisi in altezza, secondo la Legge di Zonizzazione newyorkese del 1916   
90 – Altro schema grafico ferrissiano del 1928 attuato per enunciare la sua visione di nuova urbanizzazione complessa impostata su percorsi soprelevati a viabilità differenziata; nella cui concezione tipologica si può con evidenza ritrovare una similare analogia con la città di Sant’Elia    
91 – La versione del 1928 di Città del Futuro di Harvey Wiley Corbett, disegnata già nel 1925 quale Città delle Meraviglie, che è stata il modello tecnico-formale per le più le eclatanti immagini urbane di Ferriss: invece che direttamente alle immagini santeliane, il disegno corbettiano si riporta alle illustrazioni avveniristiche della tradizione statunitense del primo quindicennio del Novecento (di Rummell o Pettit), giungendo tuttavia – invece – alle medesime conclusioni impiantistico-compositive dell’architetto comasco     
92 – La risoluzione compiuta, del 1928, della metropoli futura di Ferriss, derivata dallo schema grafico da lui tracciato nello stesso anno (si veda la Figura 90)    
93 – Il poderoso disegno per una Diga proposto da Ferriss nel medesimo anno 1914 della Centrale Elettrica di Sant’Elia (ma eseguito però 2 mesi dopo l’elaborato santeliano). Si tratta di una indipendente anticipazione grafica della importante chiusa futura – la Hoover, inizialmente chiamata Boulder – costruita nel bacino del Black Canyon sul fiume Colorado un ventennio dopo, tra 1931 e 1935, con una somigliante configurazione
94 e 95 – Due differenti riprese grafiche di dichiarata santelianità operate dall’illustrastore e fumettista belga François Schuiten nel 1983: l’immaginaria Casa Robick, riprodotta dall’originale Edificio Monumentale di Culto con Cupola Rialzata e Scalinate eseguito da Sant’Elia del 1913, e uno scorcio di ambientamento urbano dalla tipica plasmatura volumetrica santeliana
96 e 97- Un’altra vignetta fumettistica di Schuiten, anch’essa del 1983, paragonata ad una simile impostazione avveniristica – di molto però precedente – disegnata da Frank Rudolph Paul (Visione di Città Possibile) nel 1928
98 e 99 – Una delle più caratteristiche opere di Scult-Architettura contemporenea, il Museo Guggenheim a Bilbao di Frank Owen Gehry, realizzato dal 1991 al 1997 in forme estremamente plastiche e fluide, che anche all’interno non evidenziano alcuna inflessione tecnica della struttura portante
100 – La neo-utopia (stavolta forse più realisticamente incostruibile, e soltanto di prorompente alternativa edilizia di insofferente provocatorietà per la condizione urbana esistente) del Radicalismo internazionale, nella versione italiana del Gruppo Superstudio di Firenze (montaggio grafico di Adolfo Natalini per un Nuovo Inserimento Montano del 1969)
101 – La camminante Città Semovente (o Ambulante), elaborata nel 1965 da Ron Herron per l’anch’esso radicalista Gruppo Archigram inglese, che può spostarsi a piacimento nei territori desiderati come un gigantesco insetto meccanico abitabile
102-104 – L’avvenirismo utopico-concreto dell’italiano americanizzato Paolo Soleri (da poco deceduto, nel 2013, quasi centenario) in tre sue proposte di città megastrutturali compatte: una Novanoah del 1969, contenente – su livelli diversi – tutte le attività differenziate dell’esistenza umana, sociali e lavorative, articolati dai loro percorsi di collegamento; un esempio di Arcologia Spaziale, satellitare e orbitante nell’Universo ( la città planetaria Urbis et Orbis del 1975); e l’impresa urbana ancòra in costruzione ad Arcosanti negli Stati Uniti (iniziata nel 1970, ed attualmente nella sua fase esecutiva rivolta al 5000 progettata nel 2002-03), su ciglio del Canyon dell’Agua Fria presso Cordes Junction nel territorio di Phoenix 
105 – L’utopia realizzabile dei Moderni interbellici, nella grandiosa rappresentazione della Città Verticale pensata dal bauhausiano Ludwig Hilberseimer per Berlino nel 1927: anch’essa con strade non intersecantisi e soprelevate, ma in una rigida uniformità tipologica di genere scatolare, corrispondente alla caratteristica morfologia del Razionalismo europeo    
106 – La futurissima città interplanetaria di Coruscant (sede giurisdizionale dell’Impero Galatico rappresentata nella impareggiabile saga delle Guerre Stellari prodotta da George Lucas), in una suggestiva veduta crepuscolare eseguita nel 2006 dallo scenografo Ralph McQuarrie (che è stato il principale illustratore e progettista-disegnatore delle scene e dei personaggi del ciclo di Star Wars), con il suo straordinariamente spettacolare traffico aereo a vari livelli sovrapposti, passante tra gli altissimi grattacieli cittadini
107 e 108 – Il sistema dei trasporti urbani della metropoli coruscantiana, con viabilità indipendenti e non intersecantisi, praticato su velivoli privati e cittadini: nei flussi generali delle navicelle individuali (descritti in un’altra impressionante veduta aerea della città, sempre disegnata da McQuarrie nel 2009 per le speciali elaborazioni digitali di pubblicizzazione telematica delle scenografie cinematografiche – condotte da Henry Gilroy con Steven Melching e Scott Murphy, per la regia di David Filoni – dell’episodio delle Guerre dei Cloni proiettato nelle sale l’anno prima) e nelle stazioni dei mezzi collettivi urbani (enormi aerobus spaziali riferiti ad appositi terminali ancorati su grandi piattaforme rettangolari sospese, in un disegno del 2014 di Doug Chiang, sostituto ufficiale di McQuarrie dopo la morte di costui, avvenuta un biennio prima)
109 – Gli avanzatissimi metodi di approvvigionamento idrico per la città di Coruscant, in un altro disegno di McQuarrie: l’acqua raggiunge i depositi di distribuzione provenendo da potenti e grandiosi fasci di tubature che immagazzinano e veicolano materiale idrico ghiacciato proveniente dalle calotte polari del pianeta (sostituenti in pratica la moderna tecnologia industriale delle dighe
110 – Il desolato, ed estremamente inquinato dai fumi continui di smaltimento produttivo, paesaggio territoriale delle fabbriche, disposte intorno alla città, a sufficiente distanza dall’abitato     
111 – La risorsa elettrica coruscantiana ricavata da apparati satellitari a captazione eliotica, secondo un metodo già posto in atto per la Terra, sebbene ancòra
sperimentalmente, con le apparecchiature spaziali del SESS (Sistema di Energia Solare Satellitare) approntato nel 2006 (ma già da tempo applicato con navicelle astronautiche varie costruite nello spazio orbitale) dall’esperto della NASA Robert  Nemiroff, astrofisico statunitense specializzato in tali mezzi di produttività solare fuori dalla superficie terrestre: che sostanzialmente sopperiscono alle vecchie centrali elettriche dipendenti dalla forza idraudraulica)
112 – Rifiuti Spaziali fluttuanti nello spazio siderale (dopo una battaglia astronautica), in una pagina fumettistica di Cam Kennedy del 1998 (disegnata per l’Album Star Wars con l’episodio dell’Impero Oscuro)
113 – Ulteriore illustrazione, questa volta del 2010, di Ralph McQuarrie, evidenziante la fittamente sovrapposta Multistratificazione di Coruscant nel suo continuo sviluppo urbano verticalizzato
114 – Una strabiliante fotografia zenitale ripresa da Alan Shaaf nel 2013, intitolata significativamente Dubai, la Coruscant sulla Terra
115 – I protagonisti di questa Intervista (in sequenza da sinistra): l’intervistatore Giorgio Casati e l’intervistato Corrado Gavinelli, con gli architetti Mirella Loik e Mario Botta, davanti alla Accademia di Architettura a Mendrisio nel Luglio del 2011
116 – I Futuristi al fronte carsico in un disegno di Anselmo Bucci (Nemico in vista, eseguito in trincea a “Dosso Casina” il “24 ottobre 1915”, all’inizio della battaglia di Conquista del Monte Altissimo. Sono ritratti, da sinistra, Rino Gaspare Battaini (pittore del Novecentismo italiano inizialmente membro del gruppo bontempelliano del Realismo Magico), Filippo Tommaso Marinetti, Antonio Sant’Elia, e Umberto Boccioni
117 e 118 – Un recente Omaggio ad Antonio Sant’Elia, effettuato nel 2016 con una serie di illustrazioni dal Gruppo Architron di Zurigo (diretto da Johnny Thomas e composto da Ron Zane, Parmon Khindri, Kheng Lian, e Robert Rosen) specializzato in restituzioni virtuali al computerizzatore grafico, per il centesimo anniversario del decesso santeliano: la riproposizione, più realisticamente ambientata, della santeliana Centrale Elettrica, ed il suggestivo – silente ed ecologico – Lago di alimentazione idrica degli apparati industriali della Citta Nuova (non precisamente ubicato, ma forse inevitabilmente comasco, e disponibile così ai possibili interventi dell’avvenire, come agli inizi della Città Nuova con la sua emblematica Diga)    
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