Il 19 gennaio 2023 la premier neozelandese Jacinda Ardern annuncia a sorpresa le proprie dimissioni sulla base di motivazioni squisitamente personali. Il 15 febbraio, Nicola Sturgeon, Prima ministra della Scozia e leader del movimento indipendentista, compie un passo identico e afferma che è arrivato il suo momento per lasciare. I due casi sono politicamente molto diversi, ma mostrano una sensibilità che non è mai diventata patrimonio dei politici maschi. Quali lezioni può trarre la politica da queste scelte.

Mi rendo conto che in un Paese dove un capo partito di 86 anni scalpita ancora per garantirsi una poltrona di prima fila, sia perlomeno ostico capire la decisione della premier neozelandese. “Credo che guidare un Paese –ha dichiarato Jacinta Ardern- sia il lavoro più privilegiato che si possa avere, ma anche uno dei più impegnativi. E non si può e non si deve fare se non si ha il serbatoio pieno, più un po’ di riserva per le sfide inaspettate”. Ha poi invitato tutti a non cercare motivazioni recondite perché “l’unica prospettiva interessante che scoverete è che, dopo sei anni di grandi sfide, sono umana. I politici sono umani. Diamo tutto quello che possiamo, finché possiamo, e poi arriva il momento. E per me è arrivato il momento”.

Due modelli

Per secoli la politica, al pari della guerra, è stata una prerogativa soltanto maschile perché le donne erano relegate a ruoli ancillari. Da diversi decenni, invece, anche le donne sono entrate nell’agone politico e sono arrivate a ricoprire le più alte cariche dello Stato, prima nei Paesi in via di sviluppo e, successivamente, in quelli avanzati, come dimostrano i casi di Indira Ghandi, Benazir Bhutto, Margaret Thatcher, Michelle Bachelet, Angela Merkel (anche lei ha scelto di ritirarsi senza esservi costretta da una sconfitta elettorale). Per quanto riguarda il nostro continente, attualmente, sono donne la presidente della Commissione europea, quella del Parlamento europeo e della Banca centrale europea. Molti Stati hanno poi Prime ministre, con l’Italia ultima arrivata, ma meglio tardi che mai. È molto semplice fare un paragone con personaggi come Trump o Bolsonaro che, pur di rimanere in carica, hanno incoraggiato azioni violente e illegali. Non ci sono però ancora studi quantitativamente adeguati sulle differenze del potere quando questo venga gestito da uomini o da donne.

Tradizionalmente, il potere ha subìto una mascolinizzazione, fatta di decisionismo, assertività, forza fisica, tenacia, determinazione e anche brutalità. Alle donne era concesso di entrare nella stanza dei bottoni, a patto che seguissero il modello spietato di Lady Macbeth, che regna insieme al marito, ma solo dopo aver rinunciato a qualunque qualità femminile e, in fine dei conti, a qualunque sensibilità umana. Alla fine della propria carriera Margaret Thatcher, la politica conservatrice che si guadagnò il soprannome di “Lady di ferro”, non si comportò molto diversamente da Boris Johnson, e combatté con le unghie e con i denti per rimanere in sella, fino a quando gli stessi dirigenti conservatori le tolsero il proprio appoggio, decretandone la caduta. Secondo i sociologi della politica le donne in posizioni di governo soffrono di un doppio vincolo: se si dimostrano sensibili ed empatiche rischiano di essere giudicate non abbastanza assertive e quindi inefficaci, mentre se assumono un atteggiamento più deciso, rischiano di essere considerate troppo aggressive.

La tenera immagine del cartellino identificativo di Neve Ardern Gayford, “first baby” della Nuova Zelanda durante la sessione ONU del settembre 2018. (Foto dal profilo twitter di Clarke Gayford, compagno di Jacinta Ardern).

Jacinta Ardern, che ha soltanto 42 anni, appartiene a un’altra generazione di politici che ha avuto modo di sperimentare un modo diverso di esercitare il potere, mostrando empatia ma anche fermezza, come è avvenuto dopo l’attentato contro una moschea a Christchurch, quando si è recata a portare le sue condoglianze ai neozelandesi musulmani. Ha anche scritto un pezzo di storia quando, nel settembre del 2018, si è presentata all’Assemblea generale dell’ONU con Neve, la figlia di tre mesi, accudita dal padre, mentre lei teneva un discorso al Nelson Mandela Peace Summit. Il suo compagno Clarke Gayford ha postato su Twitter una foto del pass di sicurezza di Neve, che recita “first baby”. “Avrei voluto poter catturare lo sguardo sorpreso di una delegazione giapponese che è entrata in una sala riunioni nel bel mezzo di un cambio di pannolino. Sarà un grande racconto per il suo 21esimo compleanno“, ha scritto Gayford nel post. Ma queste qualità non hanno risparmiato alla premier una serie di attacchi sessisti e personali. Secondo i dati resi pubblici in base all’Official Information Act neozelandese le minacce di morte o stupro nei suoi confronti si sono quasi triplicate in tre anni, diventando sempre più esplicite e violente.

In un’intervista a Sette, il settimanale del Corriere della Sera del 3 febbraio 2023, la professoressa Donatella Campus, docente di scienze politiche all’Università di Bergamo, ha affermato che “dal punto di vista statistico ci sono ancora troppe poche donne capo di Stato e governo per permetterci di capire se hanno un modo diverso di lasciare il potere”. “Però si è visto che le donne rispetto agli uomini tendono a vedere maggiormente la politica come un servizio nei confronti della comunità. Con questo tipo di visione è più facile mettere in discussione il proprio ruolo, chiedendosi se si è la persona giusta per ricoprirlo in quel momento”. E questo è esattamente il problema posto da Ardern. “Chi ha invece una concezione della politica come presa del potere, ha più difficoltà a farsi da parte”, conclude Campus. L’ex Prima ministra ha quindi compiuto un grande atto di onestà e di libertà quando ha ammesso, molto umanamente, di non avere le forze sufficienti per continuare a servire il proprio Paese e, coerentemente, si è dimessa.

Il caso scozzese

Il 15 febbraio 2023 la Prima ministra Nicola Sturgeon (52 anni) ha improvvisamente dato le dimissioni come capo del governo e come dirigente del Partito Nazionale Scozzese (PNS), dichiarando che era arrivato per lei il tempo di rinunciare alla sua attività pubblica. Ha specificato che la decisione non era “una reazione alle pressioni del momento” ma che “deriva da una valutazione più profonda e più a lungo termine”. Sturgeon, che rimarrà in carica fino a quando il PNS non avrà designato un successore, ha affermato che la sua scelta di dimettersi è “giusta per me, per il mio partito e per il Paese”. Dopo aver ricordato che “dare tutta te stessa a questo lavoro è l’unico modo di farlo”, ha lamentato le difficoltà ad avere una vita privata, fare una passeggiata o bere qualcosa con gli amici, denunciando la “brutalità” che colpisce chi è in cima alla catena di comando.

Ma a differenza di Ardern, Sturgeon ha subìto una pesante sconfitta politica quando ha visto allontanarsi sine die la possibilità di indire un nuovo referendum per l’indipendenza della Scozia. Nel 2014 si era tenuto un referendum che aveva visto bocciare la proposta di indipendenza da una maggioranza del 55 per cento. Ma dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea gli scozzesi, ampiamente favorevoli a rimanere nella UE, avevano pensato che la nuova situazione rendesse necessario indire un secondo referendum per separarsi dall’Inghilterra e rientrare in Europa. La Corte suprema britannica ha però dichiarato inammissibile la proposta e questo, nonostante il successo del Partito Nazionale scozzese alle elezioni del maggio 2021, ha rappresentato una sconfitta bruciante per Nicola Sturgeon, capo di un partito che, già nel nome stesso, si ripropone l’ottenimento dell’indipendenza.

La dimissionaria First minister scozzese Andrea Sturgeon, indebolita dall’allontanamento delle prospettive di un nuovo referendum per l’indipendenza, ma anche dalla contestata legge denominata Gender Recognition Bill. (Foto https://www.flickr.com/photos/scottishgovernment/51771854931/)

La Prima ministra è stata però messa in difficoltà anche dallo sconcerto diffusosi in Scozia dopo l’approvazione, da parte del parlamento di Edimburgo, del Gender Recognition Bill, una proposta di legge che avrebbe consentito ai sedicenni di modificare il genere sessuale sulla base delle dichiarazioni personali, senza la consulenza o il parere di medici e sessuologi. La legge è stata approvata nel dicembre del 2022 ma, ancora una volta, la Corte suprema britannica è intervenuta bloccandola e impedendo quindi che entrasse in vigore. Ma in questa circostanza, però, l’opinione pubblica scozzese ha sostanzialmente approvato la decisione di Londra, soprattutto dopo lo scandalo suscitato dal caso di Isla Bryson, un transessuale conosciuto precedentemente come Adam Graham, che è stato condannato per aver violentato due donne nel 2016 e nel 2019. Il giudice non si è ancora espresso sulla durata della pena ma già si pone il problema di quale prigione deve ospitare il transessuale che, visti i precedenti, non dovrebbe stare in una prigione femminile. Il problema è reso ancora più complicato dal fatto che Isla Bryson non ha fatto nessuna operazione per il cambiamento di sesso e quindi, come ha dichiarato il parlamentare scozzese Russell Findlay, “sarebbe sbagliato mettere un violentatore con il corpo da uomo in una prigione femminile”.

Anche se i casi della premier neozelandese e di quella scozzese sono diversi, entrambe hanno mostrato una sensibilità che, normalmente, non caratterizza la concezione del potere dei politici maschi. Probabilmente, una donna non avrebbe mai espresso un concetto come “il potere logora chi non ce l’ha”, la celebre battuta che sintetizza molto bene la visione cinica di Giulio Andreotti, uno che di permanenza pluridecennale nelle stanze di governo se ne intendeva davvero. Rivendicando la sua umanità, Jacinta Ardern ha sottolineato che l’esercizio della politica è cosa molto diversa dall’esercizio del potere e che la finalità della politica è il perseguimento del bene comune, non l’accumulazione di influenza e denaro. Sarebbe importante che le donne impegnate in politica raccogliessero questo messaggio per riportare all’interno del feroce scontro tra i partiti dei concetti etici. È possibile che il drammatico assenteismo verificatosi alle ultime elezioni regionali sia una richiesta di cambiamento da parte degli elettori che, non votando, hanno espresso il loro disaccordo per una politica che ha ormai perso di vista il perseguimento del desueto concetto di “bene comune”.

(La foto di copertina è tratta dal profilo Twitter di Clarke Gayford)

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