La crisi cominciata nel 2007-2008 è stata da alcuni paragonata a una guerra, per le conseguenze che porta con sé: impoverimento, disoccupazione, perdita di capitali, mancanza di speranza nel futuro, inasprimento dei rapporti tra cittadini e Stati, convulsioni politiche testimoniate, emergere di nuovi estremismi, tensioni tra gli Stati, tendenze all’arroccamento a difesa di interessi propri visti come contrapposti a quelli di altri… Ma nella guerra si sa che c’è un nemico. E in queste circostanze chi è?
Il volume di Anat Admati e Martin Hellwig, “I vestiti nuovi dei banchieri. Che cosa c’è di sbagliato nel sistema bancario e che cosa fare per cambiarlo” (Franco Angeli 2016, 38 euro) contribuisce a dare una risposta.
Non che le banche in quanto tali siano il nemico, ma questo, ovvero l’elemento che mette a rischio tutto il sistema economico, risiede in un certo modo di gestire e usarle. Per dirla in parole povere: in particolare dagli anni ’70 il sistema bancario ha trovato il modo non solo di manovrare soldi non suoi, ma anche di manovrare soldi che non esistono, salvo poi, quando finisce per perderli, farli ripagare dagli apparati statali, ovvero a tutti i cittadini.
In estrema sintesi questo è quanto si spiega nel libro, dettagliandone i meccanismi e i successivi passi che hanno portato a tale situazione.
“Basterebbero piccoli accorgimenti atti a ridurre l’eccesso di rischio e il sistema finanziario potrebbe diventare più sicuro” in tal modo evitando crisi quali quella in cui continuiamo ad agitarci, spiegano gli Autori nell’introduzione. Il loro scopo dichiarato è contribuire a formare un gruppo di pressione che “costringa la politica a prendere in considerazione una riforma complessiva del sistema finanziario”.
Beninteso, gli Autori si riferiscono in particolare al sistema americano, ma questo non solo è abbastanza simile a quel che si trova in Europa e in altre parti del mondo, ma è comunque inestricabilmente collegato a tutti gli altri gangli degli apparati finanziari. Tanto che, com’è noto, la miccia della crisi attuale è stata accesa dal collasso della statunitense Lehman Brothers.
Va subito evidenziato che il rivolgersi degli Autori agli elettori, ai cittadini e di riflesso ai governi e agli Stati, mette in evidenza un fatto che nell’ubriacatura del libero mercato succeduta al crollo del Muro, è andato totalmente sottotraccia: che quella bancaria è sempre e comunque una “politica”, ovvero non è frutto di meccanismi astratti e dotati di una logica esclusivamente propria. Il funzionamento degli apparati bancari è regolato ovunque da leggi e spetta agli Stati definirle in modo tale da, o favorire la totale indipendenza di tali istituti (con le conseguenze che si sono viste), o di controllarne l’operato, in modo tale che questa favorisca la circolazione di merci e non il semplice accumulo di debito.
Perché questo, l’accumulo di debito nelle “casse “ bancarie, è quel che genera la crisi. Come spiegano gli Autori: “prendere denaro a prestito e intraprendere attività rischiose può produrre una forma di dipendenza ed essere particolarmente rischioso… nel 2006 la maggior parte degli istituti finanziari aveva fatto registrate incredibili profitti, salvo poi fallire…”. Per il semplice fatto che quel che era computato come asset, era in realtà debito.
E per giunta debito in gran parte endogeno, non fondato sul prestito di capitali veri e propri, bensì solo sul prestito sui mercati interbancari di promesse di pagamento che, una volta recepite da un istituto, sono da questo considerate a sua volta come solida base sulla quale poter emettere nuovi crediti. In tal modo generando denaro puramente contabile (“nominale”) dal nulla, in un circuito a retroazione positiva che cresce a dismisura col passare del tempo (tale sistema si è attivato col cosiddetto mercato dell’eurodollaro esploso nei primi anni Settanta a seguito del depegging del dollaro dall’oro e del grande indebitamento dell’erario statunitense causato dalla guerra in Vietnam).
Nel periodo che ha preceduto la crisi attuale, “i debiti delle grandi banche internazionali – riferiscono gli Autori – finanziavano più del 97 per cento dei loro asset. Lehman Brothers negli Stati Uniti, Hypo Real Estate in Germania, Dexia in Belgio e Francia, UBS in Svizzera avevano debiti per svariate centinaia di miliardi di dollari, euro o franchi”. (Gli Autori non parlano della crisi attuale della Deutsche Bank perché il libro è stato scritto nel 2013).
Il meccanismo è semplice ma, come spiegano gli Autori, viene nascosto sotto un cumulo di descrizioni e spiegazioni incomprensibili ai non iniziati (“il linguaggio tecnico da banchieri ed esperti di finanza risulta deliberatamente impenetrabile..”), tal che, chi non fa parte degli apparati non ne comprende veramente il modo di funzionare e resta ingabbiato nella logica del rispetto per coloro i quali sanno come vanno le cose.
A tutto questo si aggiunge l’attività di lobby svolta dalle banche stesse al fine di evitare che le regole del gioco vengano cambiate, e l’influenza diretta che godono verso i politici di cui finanziano l’elezione (si consideri per esempio che la campagna elettorale di Barak Obama nel 2008 fu la più cara registrata sino a quel momento nella storia americana e fu in ampia misura finanziata da diversi istituti bancari).
“Una chiara direzione che dovrebbe prendere il percorso di riforma è di insistere affinché le banche e le altre istituzioni finanziarie facciano molto meno affidamento sui prestiti per sostenere i loro investimenti…” sostengono gli autori: ma questo non è avvenuto dopo la crisi del 2007-8. Né sono stati frenati i sistemi molto diffusi di svolgere operazioni fuori bilancio, per attività estremamente rischiose quali quelle sui derivati, alla ricerca di profitti alti e a breve.
Il dramma è in pieno svolgimento. I governi di routine usano i soldi pubblici per rimpinguare le vuote case delle banche ed evitare che il loro fallimento si traduca in paralisi dell’economia… e così quando sembra pasata una crisi se ne prepara un’altra, mentre chi manovra quel denaro puramente nominale nel frattempo lo traduce in ricchezza propria.
Quando si nota che l’1 per cento della popolazione del mondo possiede tanto quanto il restante 99 per cento, non si fa che osservare gli effetti di tali dinamiche.
In realtà al momento attuale le normative non fanno che favorire il sistema di trasformazione del debito in ricchezza (asset) computata dalle entità finanziarie. E la possibilità che tutte le banche operino sui mercati finanziari non fa che esporre al rischio speculativo indistintamente tutti gli istituti di credito americani (fino al 1999, quando fu abrogato dalla Presidenza Clinton, il Glass-Steagall Act del 1933 stabiliva che vi fosse una netta separazione tra banche commerciali e banche di investimento).
Oggi, col rilassamento dei controlli sul sistema finanziario s’è creata una situazione che favorisce l’attività speculativa. “Paradossalmente – scrivono gli autori – la normativa fiscale sovvenziona l’indebitamento, poi però la regolamentazione dei capitali cerca di ridurlo. È come se se fornissimo incentivi fiscali che incoraggiassero le persone a inquinare o non avere alcuna prudenza al volante, e al tempo stesso applicassimo una serie di leggi che proibiscono questi comportamenti”.
In conclusione: sta agli Stati trovare il sistema di regolamentare i sistemi finanziari. Opera che necessariamente va svolta a livello internazionale, perché le istituzioni finanziarie agiscono sul piano internazionale, in ogni caso*.
Il volume si conclude con una serie di indicazioni su come svolgere tale opera di controllo. Ma il problema sta nel trovare la volontà politica di farlo, facendosi strada tra le mille lobby attivate da chi non ha interesse a cedere un briciolo della libertà di generare denaro dal nulla e di usarlo a proprio piacimento, di cui godono le istituzioni finanziarie…
I “vestiti nuovi” dei banchieri sono quelli che questi non indossano: come il re che passeggiava nudo, convinto di essere riccamente vestito, sinché nessuno osava rinfacciarglielo. Quel che manca oggi è il bambino che sia capace di uscire dalle regole e che gridi: “Ma guardate: non hanno il becco di un quattrino!” Sarebbe una grossa rivoluzione.
*L’argomento è da noi discusso nel volume “Lo Stato Nazione. Evoluzione e globalizzaioni” (ed. Domus Europa).
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