di Galliano Maria Speri
Chiara Frugoni, già docente di Storia Medievale nelle università di Pisa, Roma e Parigi, è una delle più note specialiste del settore e il suo ultimo lavoro (“Uomini e animali nel Medioevo. Storie fantastiche e feroci”) analizza il complesso rapporto che legava uomini e animali nel Medioevo. Oltre al rigore ineccepibile della trattazione e l’abbondanza delle note esplicative (nelle note tutti i brani citati sono riportati rigorosamente anche nell’originale latino), la narrazione è resa più accattivante da un certo garbo femminile, che non sovrasta mai il lettore e lo accompagna, in modo pacato e colto, nei meandri di un mondo molto diverso da quello contemporaneo. Il ricchissimo corredo iconografico rende agevole e interessante la lettura, che può avvenire su più livelli, ma che si rivolge principalmente ai lettori intellettualmente curiosi.
L’uomo medievale, che ragionava soprattutto in termine di simboli, percepiva gli animali come una parte importante del creato e si relazionava con loro in modo molto più naturale di quanto facciamo noi oggi, con le nostre scatolette appetitose per gattini inappetenti o i cappottini di lusso per cani freddolosi. Gli animali sono massicciamente presenti nell’arte e nell’architettura del periodo perché facevano parte della vita quotidiana, per i lavori dei campi e per il trasporto di merci e persone, ma rappresentavano anche un pericolo per la vita degli uomini, visti i poveri mezzi con cui i contadini potevano affrontare un lupo o un orso incontrato nella selva. Questa paura fa nascere simboli, miti e leggende che aiutano a ingegnarsi per combattere gli animali pericolosi ma dà anche vita a creature fantastiche, pericolosissime e mortali, ma che possono essere rese inoffensive con procedure particolari.
Il mitico unicorno
Uno di questi animali è l’unicorno, ferocissimo e imprendibile, ma percepito sempre in modo duplice e complesso. L’unicorno è citato quattro volte dal profeta Elia che nel salmo 21,22 dice: “Salvami, Signore, dalle fauci del leone e la mia umile persona dai corni degli unicorni”. Un salterio tedesco del IX secolo riporta l’immagine di un Cristo crocefisso minacciato da un leone e da un unicorno, mentre una scritta in basso riporta il versetto di Elia. Secondo Isidoro di Siviglia, però, anche un animale così terribile può essere contrastato perché “se davanti a lui si pone una giovane vergine pronta ad offrirgli il petto scoperto, l’unicorno, deposta ogni ferocia, appoggia su quello il capo e si assopisce, lasciandosi così prendere quasi fosse indifeso”. È stupefacente che la fervidissima fantasia medievale sia riuscita a trasformare anche il temibile unicorno in un simbolo positivo, poiché in molti Bestiari del periodo questo animale viene addirittura presentato come un’allegoria dell’incarnazione di Cristo. In un’Annunciazione dello Schlossmuseum di Weimar, datata 1430-1440, la vergine Maria riceve l’annuncio dell’angelo con un unicorno in grembo, simbolo dell’incarnazione in corso.
Ma oltre al pericolo rappresentato da draghi e unicorni, anche il comune maiale poteva comportare una minaccia mortale. Il libro riporta il caso del “quindicenne re Filippo, non ancora salito al trono, figlio di Luigi VI il Grosso di Francia che, nel 1131, morì a Parigi perché un maiale girovago infilatosi fra le gambe del cavallo fece precipitare a terra il giovane cavaliere: una morte sentita come abietta per la monarchia, per tutti i vizi che venivano attribuiti al maiale: sporcizia, ingordigia, abitudine di nutrirsi di alimenti disgustosi”. Gli animali che avevano procurato gravi danni o ucciso bambini venivano processati, condannati per il loro crimine e messi a morte, spesso dopo averli torturati. “Un caso ben documentato –scrive l’autrice- è quello di una scrofa che a Falaise nel 1386 divorò un lattante. Fu portata al supplizio vestita in abito da uomo, per sottolineare la consapevolezza della sua colpa”.
Un animale visto sempre sotto una luce positiva è, invece, il pellicano. Secondo i Bestiari medievali, la femmina di questo volatile di fronte ai suoi piccoli morti si lacerava il petto per farne sprizzare il sangue che li faceva rinascere, in una chiara analogia con la Passione. Molti dipinti che rappresentano la Crocefissione, raffigurano sopra la croce il pellicano con i suoi piccoli, allo scopo di suscitare nell’osservatore una maggiore compassione per l’amore illimitato di Cristo verso l’umanità. Nel Canto XXV del Paradiso, “Dante definisce Cristo ‘il nostro pellicano’, nei densi versi in cui ricorda Giovanni reclinato sul petto di Cristo nell’Ultima Cena e poi prescelto come nuovo figlio di Maria sotto la croce”.
La minaccia del lupo cattivo
Un discorso a parte merita il lupo, animale quanto mai simbolico che, a differenza di basilischi e grifoni, rappresentava un pericolo reale non soltanto per le greggi ma anche per gli uomini, soprattutto quando i rigori dell’inverno lo costringevano a cercare il cibo anche all’interno dei centri abitati. Le cronache riferiscono di un’invasione di lupi a Parigi nel 1420. “Non è un caso che la paura del lupo che mangia i bambini si possa leggere già nell’XI secolo in una versione assai prossima alla fiaba di Cappuccetto Rosso”. San Francesco d’Assisi rappresentò un cambiamento di paradigma nell’atteggiamento verso gli animali, con la sua capacità di entrare in relazione e dialogo con tutte le creature viventi. Numerose testimonianze pittoriche testimoniano le sue prediche agli animali, assorti nell’ascolto della parola del Signore. La storia del lupo di Gubbio, con cui Francesco strinse un patto affinché non molestasse più gli abitanti del borgo umbro, è troppo nota per essere riferita nei dettagli. Il suo è un messaggio che rimane d’attualità anche dopo tanti secoli.
Chiara Frugoni Uomini e animali nel Medioevo. Storie fantastiche e feroci – Il Mulino, pagine 386, euro 40,00
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