Di Paolo L. Bernardini

In tempi di Brexit, o post-Brexit, inevitabilmente la “curiositas”, scientifica, ma certamente non solo tale nei confronti della Gran Bretagna è cresciuta, in ogni ambito, nel contesto continentale. La questione, di per sé vaga e mal posta, della sua “appartenenza” o meno all’Europa in toto, della sua identità, inevitabilmente insulare, ma anche, inevitabilmente, latina, e cristiana, solleva discussioni e interesse. Anche e soprattutto tra gli storici, che cercano di capire le relazioni reciproche tra Gran Bretagna e Italia (ma per l’antico regime si deve parlare di antichi stati italiani, al plurale) i quali si avventurano nell’affascinante percorso dei viaggiatori italiani oltre Manica, ma anche dei viaggiatori inglesi in Italia, in un contesto in cui il Grand Tour, o il Petit Tour (per citare uno dei libri fontamentali di Attilio Brilli, tra i massimi esperti del tema) diviene sempre più universale, liberandosi dal vincolo tradizionale, che lo vedeva come viaggio di inglesi, o nordici in generali, compreso svizzeri e tedeschi, nell’Europa mediterranea, e ovviamente, soprattutto, in Italia. Su alcuni personaggi si è scritto più che abbastanza, non solo ovviamente Byron o Keats o Shelley o Goethe (per uscire da Albione), ma anche, di recente, suo figlio, che compì un viaggio ad imitazione, e suggerimento del padre, per morire proprio in Italia ed essere sepolto nel cimitero degli a-cattolici a Roma ove avrebbe sognato di riposare per sempre proprio il celebre, ed opprimente genitore.

Ecco dunque, per citare solo alcuni esempi tra i numerosi possibili, l’interesse rinnovato per i viaggiatori inglesi in Liguria, culminato nel bel libro pubblicato in questo 2023 di Alessandro Bartoli e Francesca Centurione Scotto Boschieri, Inglesi in Liguria: Castelli, Ville, Giardini, Storie (Sagep, Genova); poi l’edizione prossima a compimento dell’inedito di Mario Manlio Rossi, Anglomania e amicizia tradizionale, testo dei primi anni Cinquanta curato da Marianna Iannaccone e dallo scrivente, e anche l’edizione dello Iter in Britanniam di Francesco Bianchini, (Viaggio in Inghilterra, Città del Silenzio, Genova 2020, a cura di Mara Musante), uno dei primi testi del Settecento dedicato all’Inghilterra, essendo del 1713, mentre proprio in quegli anni era in Inghilterra un’altra figura notevolissima del panorama erudito e religioso settecentesco, Angelo Maria Querini, il cui splendido e curioso viaggio inglese, cui accenna qui Davide Arecco, è stato oggetto di una tesi purtroppo ancora inedita di Davide Busi, “Erudizione e religione. Angelo Maria Querini e il respiro dell’Europa”, a dimostrazione del fatto che l’Inghilterra attirava certamente l’esprit fort, il libertino, il materialista, come un Alberto Radicati di Passerano, ma anche religiosi e conservatori, magari alla ricerca di un dialogo impossibile col mondo protestante, nella tradizione maurina (ad esempio) del “voyage littéraire”, la cui importanza in ambito religioso sottolinea, come segnala Busi nel suo scritto inedito, Daniel-Odon Hurel, per una molteplicità di rispetti, innanzi tutto quello spirituale, ma anche quello erudito, nel segno di un’antiquaria non riposata, ma ben radicata nel contesto intellettuale del tempo. Da segnalare in ultimio, nel ritorno di interesse per la tematica, l’ottima ri-edizione del classico L’Anglomania e l’influsso inglese nell’Italia del Settecento di Graf, da parte di Francesco Rognoni e Pierangelo Goffi (La Scuola di Pitagora, Napoli 2020).

Dobbiamo a Davide Arecco un agile e denso volume, Genova, Firenze, Londra. Viaggiatori italiani in Inghilterra tra Seicento e Settecento (Città del Silenzio, Genova, 2023), che ci offre una rassegna, ricca e ragionata, dei viaggiatori italiani in Albione, delle loro motivazioni, dei loro rapporti con il mondo intellettuale ed erudito di oltre Manica, delle loro riserve e pregiudizi, ma anche dei loro slanci di ammirazione verso quel mondo così differente, separato dall’Italia radicalmente per confessione, per lingua, per geografia, eppure fervido di rapporti con il mondo italiano, politici e non solo, almeno dall’età dei Tudor, se non prima, in un intreccio di relazioni intellettuali, letterarie, scientifiche, e naturalmente politiche estremamente complesse, che vanno ricostruite nel modo esemplare, periodo per periodo, momento per momento, personaggio per personaggio, che connotò, per il mondo Tudor, l’opera di Michael Wyatt, il suo ancora insuperato lavoro del 2005 The Italian Encounter with Tudor England: A Cultural Politics of Translation (Cambridge Studies in Renaissance Literature and Culture): scritto dedicato soprattutto a quella figura fondamentale che fu John Florio, il quale forse ebbe parte fondamentale nella stesura delle opere dello stesso Shakespeare, come una nutrita schiera di storici della letteratura, in primis Lamberto Tassinari, poi Laura Orsi e Marianna Iannaccone e diversi altri, stanno lavorando da tempo a dimostrare.

Arecco ci conduce in un Grand Tour storiografico molto intenso. Dà risalto a figure generalmente molto criticate, come Cosimo III, rivalutando l’esperienza del penultimo granduca mediceo in Inghilterra, momento fondamentale nella formazione di un personaggio estremamente affascinante, di cui ricorre quest’anno, il 31 ottobre, il terzo centenario della morte. Mostra bene come la “Beozia d’Europa”, ovvero la Repubblica di Genova secondo le sempre ripetute parole dello storico Salvatore Rotta, ogni tanto si mostrasse interessata al mondo esterno e lo facesse magari con figure di illuministi straordinarie, come Pietro Paolo Celesia, che fu a lungo residente della Repubblica a Londra, e i cui dispacci diplomatici, centinaia, gettano una luce importante sia sulla politica inglese di metà Settecento, con particolare attenzione alla questione della Corsica, e Mediterranea in generale, sia sulla vita londinese, assai intensa in anni cruciali per il consolidamento della potenza inglese, tra l’altro gli anni dell’inizio della Rivoluzione industriale e del boom di Londra, la Londra di Canaletto e Casanova, che vi passerà peraltro un periodo infelice. Peraltro, da segnalare che i dispacci diplomatici celesiani dall’Inghilterra vennero tutti trascritti da Stefano Giannini, ora alla Syracuse University, per la sua tesi di laurea discussa con Rotta a Genova nel 1992, purtroppo anch’essa inedita.

Politici, naturalmente, ma anche scienziati, da Bianchini a Volta, attirati dalla stella di Newton e della Royal Society, e poi figure di mediatori culturali eccellenti come Baretti, o autori di scritti davvero illuminanti sulle contraddizioni e la ricchezza del mondo inglese, come Luigi Angiolini, con cui inizia il volume di Arecco, autore di lettere davvero illuminanti su una società in accelerazione singolare, pronta a passare dai margini dell’Europa a una posizione egemonica mondiale. Peraltro, anche in questo caso l’ultima e unica edizione italiana recente (i volumi sono del 1790, un terzo sui Paesi Bassi rimase incompiuto), non è più in circolazione (Modena, Mucchi, 1990, a cura di Michèle e Antonio Stäuble, coppia svizzera molto attiva nello studiare l’odeporica settecentesca; Antonio, nato nel 1933, scomparve nel 2011). Poi esuli, perché perseguitati in patria, “illuministi radicali” come Radicati di Passerano, musicisti, artisti, letterati in cerca di sussistenza magari come insegnanti di italiano.

Un libro fitto di nozioni e indicazioni, insomma, che delinea la complessa negoziazione culturale in atto tra Italia (ma soprattutto la Toscana del granducato, e la Liguria piccola repubblica indipendente) attraverso figure varie, ognuna diversa dall’altra, in un contesto ove saggiamente il testo scritto e pubblicato viene considerato fonte (da approcciarsi tanto quanto la lettera privata, il dispaccio o la relazione diplomatica, insomma tutto quanto potesse dare conto scritto di questo difficile incontro, in tempi in cui ad esempio per conoscere e tradurre i classici inglesi (si pensi al solo Shakespeare, come ha brillantemente dimostrato Francesca Bianco nel volume Shakespeare in Italia «au tournant des Lumières». Le traduzioni di Le Tourneur in Alfieri, Monti e Foscolo pubblicato nel 2020 dalla Padova University Press) in letteratura come in politica (per tradurre in italiano Adam Ferguson occorre di nuovo basarsi sulla traduzione francese dell’Essay, come ha mostrato nelle sue preziose ricerche Alessia Castagnino). Arecco mette in evidenza l’importanza di moltissimi autori ritenuti secondari, e conclude con una “Appendice francese” proprio nel segno dell’importanza della Francia, in ogni senso, come elemento di mediazione per l’importazione del mondo inglese, spesso così ostico e particolare, nel contesto italiano, e non solo italiano. Tante anche le fonti inedite, molte delle quali degne di pubblicazione, magari anche solo elettronica, in un contesto di emergenza dell’editoria digitale, peraltro fondamentale anche se ai misoneisti e tradizionalisti troppo spesso purtroppo inviso.

Certo, dal punto di vista della costruzione di una identità europea nel contesto di una “république des lettres” che cercava di armonizzarsi con la “bilancia dei poteri” in una Europa perpetuamente minacciata da squilibri esiziali, da Luigi XIV a Napoleone, è motivo di riflessioni che molti dei viaggiatori giungano in Albione come ultima tappa, in percorsi esperienziali complessi ma in qualche modo regolati, la Svizzera, la Francia, i Paesi Bassi, in un movimento di allontamento, verso l’estremo, dalle roccaforti continentali: il Cattolicesimo, innanzi tutto. Quasi come se superando la Manica si cercasse insieme la differenza e la somiglianza, si volesse rendere “europea” una realtà insulare che col mondo continentale, già dai tempi dell’Impero Romano, ha sempre mantenuto rapporti complessi, tali anche nel contesto irenistico del Settecento, ove la divergenza confessionale pare superata da identità condivise più forti, ad esempio il trionfo della scienza, e della letteratura scientifica in generale (in nomi di principi universali), e la nascita di un pubblico vasto e avido di nuovo sapere, che giungeva proprio, sia per le scienze esatte, sia per quelle che ora definiremmo scienze umane, e sociali, dall’Inghilterra; anche se poi spesso gli inglesi elaboravano modelli francesi, come un Ferguson con Montesquieu.

Arecco poi si spinge anche nell’America di Mazzei e Fabbroni, appendice (perduta politicamernte, ma non culturalmente) dell’Inghilterra georgiana. Forte la presenza, nel tessuto del volume, dei Maestri, su cui l’autore direttamente o indirettamente si è formato, da Salvatore Rotta, in primis, ad Enzo Ferrone, e naturalmente quel Franco Venturi la cui lezione rimane insuperata, il massimo studioso del Settecento che il mondo del XX secolo ci abbia dato.

Vedere il dispiegarsi complesso, attraverso figure spesso fuggenti, del rapporto tra Italia e Inghilterra tra Sei e Settecento, ci porta finalmente ad interrogarci sul rapporto nuovo che si è venuto ad instaurare dopo la Brexit, in cui i contatti con Albione sembrano essersi allentati, e per certi aspetti  l’isola sembra tornata ad essere un mondo distante, non facilmente raggiungibile, in qualche modo più legato, come peraltro da sempre, all’asse atlantico e del Commonwealth che non a quello europeo. L’isola è tornata, nel bene e nel male, in un modo o nell’altro, a prendere le distanze da quell’Europa nella cui vita si è affacciata solo tardi, molto dopo la Guerra dei cent’anni, la cui conclusione è evento epocale per la storia europea (e cade, con la battaglia di Castillon, in quel 1453 che vide anche la fine di Bisanzio), e naturalmente sia per la Francia sia per l’Inghilterra, che vedranno mutati i loro destini. A tre anni dalla Brexit, non è ancora chiaro se sia stata una scelta positiva per l’economia inglese, e la vita in generale, le voci sono discordanti anche se prevalgono per ora i giudizi negativi. Ma certamente vi è una porzione della Gran Bretagna che si sente ancora legata all’Unione Europea, ed è la Scozia che in parte ancora anela all’indipendenza (l’ultimo sondaggio, del 29-30 ottobre 2023, condotto da Redfield & Winton su di un campione di 1092 individui, ha dato il no al 45%, il sì al 40%, con un 5% di indecisi: sono le stesse percentuali da anni).

Leggere quest’agile volume di Arecco aiuta di certo, grazie alla prospettiva del passato, a ripensare i nostri rapporti con un mondo ad un tempo così vicino, e tanto stranamente lontano, in cui la parola “Europa” ha un significato da sempre diverso, e i cui tratti peculiari sono quelli di ogni grande isola, divisa al proprio interno da una pluralità di condizioni e tradizioni tuttora fortissima, e divisa viepiù dal Continente: da molto di più che i 33,3 km. che separano Dover da Calais, il “fretum gallicum” che Cesare attraversò spavaldamente nel 54 a.C. E che ora da molti anni attraversiamo passando sotto l’acqua.

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