Dopo la breve  “sterzata” a sinistra in politica interna con i leader democratici sull’innalzamento del tetto al debito e la questione dei “dreamers” Donald Trump è ritornato alle sue radici. Il recentissimo discorso del 45esimo presidente alle Nazioni Unite ha ripreso la politica di “America First” (Prima di tutto l’America) espressa in campagna elettorale e sottolineata nel suo discorso di insediamento nel mese di gennaio. Un discorso poco rassicurante per il mondo ma tranquillizzante per i suoi sostenitori politici.

Ci si sarebbe aspettato che in sede internazionale l’attuale inquilino della Casa Bianca avesse ricalcato la necessità per la diplomazia e la cooperazione internazionale. Trump ha infuocato invece l’egoismo e soprattutto la miopia che hanno caratterizzato la sua ascesa al potere. A cominciare dal concetto di isolazionismo che vede un ruolo americano nel mondo caratterizzato da interessi nazionalisti. Trump ha infatti cercato di esportare il concetto di isolazionismo dicendo che ogni Paese dovrebbe concentrarsi sulla propria sovranità come se questo non fosse già applicato dai diversi interessi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite.

Se c’è un problema fondamentale nell’organizzazione è proprio quello degli interessi dei singoli Paesi e i conflitti inerenti nei rapporti internazionali. Trump ha stressato l’importanza degli interessi egoisti senza esitare di cadere nelle sue minacce per ottenere i propri scopi di sicurezza. Il 45esimo presidente ha detto che gli Stati Uniti hanno “grande forza e pazienza” ma che per difendere il Paese o gli alleati non avrà “scelta eccetto di distruggere completamente la Corea del Nord”.

Una minaccia scioccante che non rassicura nessuno considerando il pericolo rappresentato da Kim Jong Un, leader della Corea del Nord, il quale continua con i suoi esperimenti di missili balistici che potrebbero anche colpire il territorio statunitense.  Difficile interpretare le vere motivazioni di Trump ma forse i leader mondiali sono già abituati alle sue sparate vedendole come messaggi alla sua base politica. Il pericolo però rimane non solo per i Paesi vicini alla Corea del Nord ma per il resto del mondo.

Le reazioni al discorso di Trump hanno variato dall’entusiasmo  allo choc. Alcuni analisti hanno anche rilevato che l’idea di fare scomparire 25 milioni di persone equivale a un crimine di guerra facendoci dubitare su chi fra Trump e Kim Jong Un sia il vero matto. Benjamin Netanyahu, Primo Ministro israeliano, però ha classificato il discorso di Trump di “coraggioso”.  Il presidente iraniano Hassan Rouhani, invece, più sobriamente, ha detto che le parole di Trump sono poco più che “odio ignorante” che appartiene ai “tempi medievali”. Rouhani ha continuato spiegando che la minaccia di Trump di abbandonare l’accordo fra il suo Paese e Barack Obama confermerebbe che nessuno potrà “fidarsi” degli Stati Uniti e che l’Iran potrebbe riprendere il suo programma nucleare bloccato dal trattato del 2015.

Trump ha cercato di fare un’ideologia della sovranità dichiarando ai leader presenti che loro devono “sempre servire gli interessi dei loro Paesi” ricevendo gli applausi come per suggerire che già si sapeva. L’attuale inquilino della Casa Bianca però non capisce o non sembra capire che il leader del Paese più potente al mondo dovrebbe fare del suo meglio per creare pace e stabilità che rafforzano anche la prosperità globale. Le minacce servono poco ai progressi e rapporti internazionali. Per raggiungere accordi di pace bisogna trattare gli avversari con rispetto e offrire incentivi. Caratterizzare Kim Jong Un con l’epiteto derisivo di “Rocket Man” (uomo razzo) ci ricorda ovviamente il modo in cui il 45esimo ha trattato i suoi avversari nelle primarie repubblicane e Hillary Clinton nell’elezione del 2016. La differenza però è Kim Jong Un possiede missili pericolosi.

In mancanza di parole rassicuranti di Trump il mondo si è dovuto accontentare della parole concilianti del primo ministro italiano Paolo Gentiloni e di quelle del presidente francese Emmanuel Macron. Ambedue hanno sottolineato l’importanza del “multilaterismo” per affrontare il cambiamento climatico, il terrorismo ed altre sfide che nessuno, nemmeno un Paese potente come gli Stati Uniti, può risolvere da solo. Sentimenti reiterati anche da Diane Feinstein, senatrice democratica della California. La Feinstein ha dichiarato che la meta delle “Nazioni Unite è di fomentare e promuovere la cooperazione globale”. Trump però avrà compiuto il suo obiettivo. I suoi sostenitori potranno sentirsi sicuri riconoscendo il loro candidato che lotta per loro non solo contro i nemici interni ma anche con quelli fuori del Paese.

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Domenico Maceri, PhD, University of California, scrive su politica americana. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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