Ci sono varie evidenti differenze tra le dittature che si sono conosciute nella prima parte del XX secolo e quelle che si conoscono nella prima parte di questo XXI secolo. Le prime sono state esplosive nel loro sorgere e negli obiettivi che hanno cercato di perseguire. Le seconde, quelle attuali, sono striscianti, subdole, all’apparenza meno violente verso i loro sudditi, e sono forse più ambiziose.
Poiché la Russia è stato l’epicentro dei sistemi dittatoriali emersi nel XX secolo e, almeno sul piano teorico, ha voluto porsi, secondo le teorie esposte dal nazibolscevico Alexandr Dugin, quale epicentro dei sistemi dittatoriali del XXI secolo e centro promotore di un nuovo ordine mondiale, ha senso chiedersi quali siano le differenze o le similitudini tra le conseguenze più estreme delle dittature del XX secolo (Hitler, Stalin) e quelli che si cominciano a ravvisare come i contorni caratteristici delle dittature odierne che Putin con tanta eleganza e convinzione esemplifica.
Potere e propaganda
Sull’onda degli imperialismi sviluppatisi nei secoli precedenti, le dittature del XX secolo hanno cercato di conquistare terre e popoli, vicini o lontani. Rivendicavano per i loro Paesi un posto eguale o superiore a quello che la Gran Bretagna e la Francia avevano occupato nel secolo XIX.
Grazie all’irrompere sulla scena dell’ideologia socialcomunista veicolata dalla rivoluzione russa, si consolidò la nuova forma di organizzare il consenso delle masse tramite la propaganda ideologica: Hitler ne fu maestro ma Mao Zedong non fu da meno seppure non ebbe modo di estrinsecare la sua verve dittatoriale in avventure extraterritoriali.
Non che la Rivoluzione francese non avesse compiuto passi simili sul piano degli inganni propagandistici sventolando la bandiera di libertà eguaglianza fraternità, ma nel ‘700 non esisteva ancora un corpo dottrinale pienamente sviluppato come quello che nel corso dell’800 si costituì con l’Internazionale socialista e con le elucubrazioni posthegeliane in campo filosofico.
E la diffusione dei primi mezzi di comunicazione di massa, ancora non esistenti nella Francia del ‘700, consentì alle notizie della Rivoluzione russa di diffondersi in tutta Europa con rapidità accelerata dalle condizioni di crisi dovute alla guerra, innestandosi sulla novità marxiana posta dalla Terza internazionale con la teoria del materialismo storico “scientifico”: aggettivo che entrò in uso con tutto l’appeal della fattura da pozione magica per proporre la dittatura del proletariato come via verso la salvezza.
Il veicolo, nella forma dei movimenti anarchici e socialisti, grazie alle falle insite nel mare magnum del liberalismo dovute allo strabordante egoismo del potere capitalistico, già era pronto da oltre un secolo per recepire il messaggio. E la proposta della dottrina sociale della Chiesa lanciata dal Leone XIII con la Rerum Novarum (1891), non fu in grado di ricondurre il discorso su una strada di ragionevolezza, poiché a sua volta la capacità di incidere sulle masse da parte della Chiesa era stata minata dal liberalismo stesso che, insinuatosi nelle pieghe degli errori compiuti in ambito ecclesiastico nel corso della storia, si riconosceva come compagno di strada dell’Illuminismo.
Quella cominciata nel 1917 che con maggiore precisione analitica Curzio Malaparte definì un colpo di stato, non rivoluzione, accese le speranze di riscatto sociale delle masse in cui per la prima volta nella storia fu inculcata l’idea di potersi sentire protagoniste e attrici: sul piano ideologico il socialcomunismo e i mass media offrirono il destro ai primi dittatori del XX secolo, Lenin e Stalin, per presentarsi come liberatori e fautori di una nuova era.
Per la prima volta nell’età contemporanea comparve il termine dittatura come qualcosa di positivo. Beninteso, già nell’antica Roma il dittatore era una figura positiva. Ma il dittatore romano era tutt’altra cosa: un reggente pro tempore nominato ad hoc per risolvere situazioni di crisi, perfettamente inquadrato nel sistema giuridico e di governo vigente e dedito con la sua opera a tutelarlo.
L’eletto e profeta
La figura di dittatore emerso con Lenin era invece quella del chiamato a rivoltare il corso della storia, a sovvertire il potere esistente soppiantandolo con un sistema totalmente nuovo e, nella propaganda vigente, mai esistito prima: era espressione della “scienza” del materialismo storico, votato a fare della politica un sistema perfetto, prevedibile, programmabile e riproducibile come prevedibili programmabili e ripetibili sono gli esperimenti scientifici.
Il dittatore Lenin assurgeva all’empireo delle divinità storiche ben più di quanto lo erano stati i faraoni egizi o gli imperatori romani, perché non si limitava a offrire ai sudditi il miglior governo possibile e a difenderli dalle invasioni barbariche, ma assurgeva al rango di profeta di una nuova era che proiettava sullo scenario universale l’aura del territorio governato: ben al di là dei confini fisici del proprio impero, il terreno sul quale esercitava il potere del proprio campo magnetico era tutto l’orbe terraqueo.
Lenin fu posto al suo posto anche grazie ai denari contribuiti dalla Germania annaspante nelle strette dei tanti fronti sui quali si era impegnata a combattere la guerra con la quale aspirava a scalzare l’Impero britannico dalla sua posizione di preminenza talassocratica.
Regime change in Russia
La rivolta del proletariato russo contro il flagello della guerra fu trasformata nella rivolta contro una forma di governo che era intesa come superata dalla storia, per sostituirla con una forma di governo che avrebbe portato con sé quanto di più nuovo e giusto e bello la politica potesse immaginare.
Fu così che la Germania contribuì a una prima forma di “regime change” a proprio vantaggio, e si ritrovò invece con una dittatura russa che negli anni successivi avrebbe minacciato la sua propria stabilità, già minata dagli esiti disastrosi della guerra e delle sanzioni che vi fecero seguito con la conferenza di Parigi del 1919, riguardo alla quale resta testimonio di ineguagliabile precisione analitica quanto scritto da John Maynard Keynes (com’è noto, Keynes avvertiva che le sanzioni ingiuste ed eccessive si sarebbero nel tempo rivolte contro gli interessi dei vincitori).
Così la prima dittatura del XX secolo emerse col botto del colpo di stato chiamato rivoluzione russa: la guerra esterna divenne guerra civile, le armate rosse contro quelle bianche. E ne sortirono eccidi e strascichi di violenza che sarebbero continuati con Stalin negli anni successivi: i gulag, le torture compiute dalla polizia interna, il sistema di controllo esercitato sotto forma di dominio ideologico ma che in essenza consisteva nell’imporre che ciascun singolo cittadino accettasse di sottoporsi alla volontà del dittatore.
Il sistema di controllo ideologico ha rappresentato il grande balzo in avanti del vetusto sistema demagogico: la sostituzione della religione quale sistema che collega il singolo alla divinità, con l’apparato dell’ideologia che sottomette il singolo alla volontà di chi definisce il complesso ideologico stesso. Non c’erano mai stati prima sistemi dittatoriali così perfetti come quelli ingegnerizzati da Hitler in Germania e dal Lenin e raffinato da Stalin sulla scorta delle teorie marxiste in Russia.
Ma non avrebbero potuto nascere senza l’esplosione di violenza della prima guerra mondiale.
Socialismo nazionale
La rivoluzione fascista, più propriamente accettata quale colpo di stato visto che la marcia su Roma da cui ebbe origine mai avrebbe potuto avere successo senza il tacito consenso della monarchia sabauda e dell’apparato militare, non fu che la versione italiana della rivoluzione russa per quanto nata per stornare i potenziali effetti di questa sul territorio nazionale. Socialismo “nazionale”, anche in quanto finanziato dal capitalismo italiano, a differenza del leninismo russo che all’origine fu finanziato dal capitale tedesco, ovvero straniero. Il fascismo sorse dai movimenti socialisti autoctoni, ma trasformati ad hoc per stornare i rischi della soppressione della proprietà privata come era avvenuto in Russia per via del fatto che Lenin volle applicare alla lettera le linee guida proposte dal Marx e Engels.
Ma anche il colpo di stato fascista avvenne col botto: non rapido e violento come in Russia, tuttavia dotato del suo corredo di marce militariste, divise, bandiere, promesse di recupero dell’impero romano perduto svariati secoli prima, ricalcolo del tempo non più a partire dalla data presunta della nascita di Gesù Cristo ma da quella della Marcia su Roma, parole altisonanti, promesse di una nuova era, profusione di parole d’ordine, cambio di stile nel parlare e nel vestirsi.
Lo stesso avvenne poi con la rivoluzione del socialismo nazionale tedesco. Fondato sul più puro e becero nazionalismo e revanscismo, esplicito quanto mai nell’idea di recuperare il perduto impero, nella prospettiva di prepararsi a muovere una nuova guerra per far giustizia dei torti subiti a Parigi nel ‘19, nel programma (esplicitato in Mein Kampf) di ampliare il proprio territorio così da divenire l’ineguagliabile potenze terrestre. E con un’economia totalmente indirizzata alla produzione di armi: “kein Butter, Kannonen”.
Sull’onda delle mafie
Anche Putin emerge come salvatore della patria dopo la defaillance dell’introduzione della democrazia e del libero mercato in un Paese tradizionalmente retto in modo monarchico prima dagli zar, poi dai dittatori comunisti. Ma i regimi russi sono sempre accompagnati da quel sistema di economia sommersa di stampo mafioso che prima si associava ai boiardi e poi ai siloviki e alle diverse organizzazioni criminali di tipo militare attive nel commercio di armi e nella manovra di eserciti “privati” quali il noto gruppo Wagner. Evidentemente Putin è riuscito a imboccare una via adatta da un lato a rivolgersi con successo ai desideri di riscatto delle ambizioni imperiali insite nella cultura russa e dall’altro a mantenere un equilibrio tra i vari gruppi della criminalità organizzata e militarizzata che necessariamente hanno bisogno del supporto dello stato russo, mentre anche contribuiscono a mantenerne il potere all’interno e a diffonderlo all’estero (in particolare in Africa). La modalità con la quale Putin è riuscito a liberarsi di Prigozin, il fondatore del gruppo Wagner, sono un’evidente dimostrazione della sua abilità nel mantenere l’equilibrio tra tutte le diverse sfaccettature del sistema di potere russo.
Cambi striscianti
Ma non c’è stato il botto: il potere di Putin comincia a prendere forma all’inizio degli anni Novanta del XX secolo e pian piano si estende, sino a manifestarsi apertamente nella sua più recente forma dal carattere insieme neo stalinsta e neo zarista (lui stesso nei suoi discorsi si richiama con chiarezza a questa duplice tradizione) solo nel corso della prima decade del XXI secolo, quando si sente sufficientemente forte per ritornare a sfidare l’impero liberista americano, cosa che trova nell’Ucraina il suo terreno di scontro privilegiato: la linea che la Russia non accetta sia oltrepassata dopo l’espansione della NATO a tanti altri paesi dell’ex impero russo (Paesi Baltici, Polonia, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Cechia, Ungheria). Di qui il conflitto che ha avuto la sua manifestazione più violenta con l’invasione russa del febbraio 2022. Ma che potrebbe benissimo risolversi con una spartizione di quel Paese.
Lo stesso in Cina. Qui la trasformazione post maoista ha avuto luogo senza rinunciare, a differenza di quanto avvenuto in Russia con Eltsin, all’ideologia comunista, ma al contempo abbracciando con oculatezza il libero mercato seppure in modo mitigato dal pervasivo controllo centrale statale. Questo mix di dirigismo e capitalismo ha ottenuto i sorprendenti risultati del maggiore e più rapido sviluppo economico mai conosciuto da alcun paese in precedenza. Sinché non è arrivato Xi Jinping nel 2012 accentrando in sé tutte le cariche apicali dello stato cinese e perpetuando il proprio potere tramite una riforma costituzionale simile a quella operata da Putin in Russia per permettere la propria permanenza al governo, al di là dei limiti stabiliti in precedenza.
Ma anche nel caso di Xi si è trattata di una progressiva trasformazione, non di un rivolgimento violento. Perché in Cina questo sia potuto avvenire è più difficile da spiegarsi: le condizioni sociali non sono andate che migliorando da quando Deng prese il potere nel 1978. Le motivazioni addotte nell’attribuzione del nuovo potere dittatoriale a Xi riguardavano la lotta alla corruzione che si andava diffondendo nel paese. Ma è difficile credervi, la corruzione essendo diffusa ovunque. Si constata tuttavia che con Xi la Cina tende ad assumere atteggiamenti relativamente più aggressivi in politica estera: in particolare nel contendere il controllo delle acque del Mar Cinese Meridionale alle Filippine e al Vietnam, per quanto il caso che maggiore attenzione attira sui mass media sia quello della contesa con Taiwan.
In conclusione: le principali dittature del XXI secolo sono emerse in modo strisciante. E si rivolgono all’estensione del proprio potere geopolitico con finalità non molto diverse da quanto sempre avvenuto nella storia. E tuttavia con modalità diverse e mantenendo una certa capacità di dialogo a livello internazionale.
Anche perché si tratta di cercare di sostituire l’impero statunitense: un impero le cui caratteristiche sono piuttosto diverse da quella dei grandi imperi precedenti, poiché si fonda in primis sul controllo della moneta, sul controllo delle rotte commerciali e poi anche su dialogo impostato sull’accettazione della democrazia come forma di governo imperfetto ma migliore possibile. Non tanto sul controllo diretto di territori, per i quali peraltro esercita anche una certa capacità di controllo militare con una proiezione globale e puntuale, che però si traduce più o meno sempre in fallimenti clamorosi che non fanno che aumentare il numero di paesi ostili.
I dittatori del XXI secolo non sono stati forgiati nel crogiolo della guerra, come lo furono Mussolini, Stalin e Hitler, sono stati forgiati nella prospettiva di voler sostituire un impero statunitense in decadenza, proprio per aver appreso a usare alcuni degli strumenti da questo imposti al mondo come efficaci vie di esercizio del potere: il controllo della moneta e del sistema di scambi; l’esercizio della democrazia come forma di potere interno alle nazioni e di intesa tra le nazioni (l’ONU); non ultimo, la formazione culturale personale come via di ascesa sociale (Xi è un ingegnere, Putin un giuista, entrambi in vario modo educati nella cultura occidentale) e come strumento necessario per lo sviluppo economico del proprio paese (sia la Russia sia la Cina sono impegnate a competere per ottenere performance economiche migliori di quelle occidentali).
Insomma, i tempi sono cambiati e di molto e così i dittatori: quelli di oggi hanno qualcosa che li unisce a quelli del passato. Ma sono aggiornati, sono diversi quanto diversa è la temperie dominante del XXI secolo, rispetto a quella che definiva i modi di relazioni tra persone e tra popoli nella prima metà dal ‘900.
Si può auspicare gli che esiti delle dittature attuali non ricalchino le vie percorse da quelle del XX secolo.
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