Mario Lettieri e Paolo Raimondi

È sorprendente costatare che papa Francesco sembra essere l’unico statista ed economista con una visione globale e con delle idee concrete per le sfide future relative all’economia e agli assetti socioeconomici. Ne siamo ovviamente contenti, anche se la sua missione sarebbe di essere una guida spirituale e morale. Evidentemente la gravità dei problemi e la “pochezza progettuale” di coloro che sono preposti al governo della cosa pubblica sono tali da esigere forti prese di posizioni anche al Papa.

Recentemente, in piena pandemia, nel corso di un seminario della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, ha evidenziato la necessità di trovare le giuste “modalità di alleggerimento, di dilazione o anche di estinzione del debito dei paesi poveri”.

Circa la povertà e l’emarginazione ha affermato: “Si tratta di problemi risolvibili e non di mancanza di risorse. Non esiste un determinismo che ci condanni all’iniquità universale. Se esiste la povertà estrema in mezzo alla ricchezza — a sua volta estrema — è perché abbiamo permesso che il divario si ampliasse fino a diventare il più grande della storia”. I dati gli danno ragione: le cinquanta persone più ricche del mondo hanno un patrimonio equivalente a 2.200 miliardi di dollari!

Ha denunciato la “globalizzazione dell’indifferenza”, che si manifesta come inazione e come vere e proprie “strutture del peccato”. Tra queste include il taglio delle tasse per i più abbienti, la corruzione e i paradisi fiscali. Infatti ricorda che oltre cento miliardi di dollari si accumulano ogni anno in conti nei paradisi fiscali “impedendo così la possibilità dello sviluppo degno e sostenuto di tutti gli attori sociali.”.

I suoi giudizi si collocano nel solco del documento “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones”, “Questioni economiche e finanziarie” della Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicato nel maggio 2018. Il tema riguarda la finanza e i suoi giochi che ignorano non solo l’etica ma, soprattutto, le regole e il bene comune.

Potrebbero sembrare i normali appelli morali destinati a cadere nel vuoto, come spesso è successo. Oggi, però, lo choc sociale, esistenziale ed economico provocato dalla pandemia impone risposte concrete, non solo dal punto di vista tecnico ma anche di quello valoriale.

A livello globale gli Stati si trovano tutti nella straordinaria situazione di aver messo migliaia di miliardi nel ciclo economico, che potrebbero consentire loro di determinare non solo le condizioni rigorose per i salvataggi di talune attività economiche ma anche di incidere sugli investimenti e sullo sviluppo socioeconomico.

Riteniamo perciò che la lettura del succitato documento potrebbe essere molto istruttiva per tutti gli operatori pubblici e privati. Si chiede finanche che le autorità pubbliche forniscano una certificazione per i prodotti generati dall’innovazione finanziaria, al fine di prevenire effetti negativi. E si richiede con urgenza “un coordinamento sovranazionale tra le diverse strutture dei sistemi finanziari locali”. In altre parole, fa sua l’idea di creare una nuova architettura finanziaria globale con regole condivise.

Nelle “Questioni”, tra l’altro, si evidenzia che “la crisi finanziaria degli anni scorsi poteva essere l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria”. Ma, nonostante “sforzi positivi a vari livelli”, non c’è stata “una reazione che abbia portato a ripensare quei criteri obsoleti che continuano a governare il mondo”.

Il documento, infine, declina in modo chiaro quali comportamenti non dovrebbero essere più permessi. Inaccettabile dovrebbe essere “lucrare sfruttando la propria posizione dominante con ingiusto svantaggio altrui o arricchirsi generando nocumento o turbative al benessere collettivo”. Ancora di più “quando il mero intento di guadagno da parte di pochi – magari di importanti fondi di investimento – mediante l’azzardo di una speculazione volta a provocare artificiosi ribassi dei prezzi di titoli del debito pubblico, non si cura di influenzare negativamente o di aggravare la situazione economica di interi Paesi”.

Il succitato testo, quindi, si avventura a fornire proposte concrete relative alla tassazione di certe operazioni finanziarie. “È stato calcolato – si scrive – che basterebbe una minima tassa sulle transazioni compiute offshore per risolvere buona parte del problema della fame nel mondo.”

Profitto e solidarietà non sono più antagonisti”, ma al centro dell’economia deve esserci l’uomo e il suo lavoro. In questo senso l’azione imprenditoriale assume una grande importanza per contrastare quello che il Papa chiama “la cultura dello scarto”.

Francesco invita a tendere la mano ai poveri del mondo denunciando, però, “quelle mani tese per sfiorare velocemente la tastiera di un computer e spostare somme di denaro da una parte all’altra del mondo, decretando la ricchezza di ristrette oligarchie e la miseria di moltitudini o il fallimento di intere nazioni.”

 

Questo il link al citato documento della Congregazione per la Dottrina della Fede https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/05/17/0360/00773.html#ita

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