Dall’indipendenza all’interdipendenza
di Aldo Ferrara*
Prendendo spunto dall’articolo Europa: la minaccia del localismo (www.frontiere.eu – 31 ottobre 2017), e per rispondere alle domande ivi implicate, desideriamo avanzare una proposta.
Dato che la politica europea fondata e poggiata solo sulla moneta mostra tutti i suoi limiti e dal Fiscal Compact alla politica della BCE, salutare per alcuni Stati e manchevole per altri, ogni Stato membro ha motivo di lamentarsi.
Dato che manca un substrato politico-culturale che, al di fuori dell’ambito economico, si mostri collante dell’intero Continente Europeo, mentre si sente la necesità di una nuova Europa, idonea ad andare oltre il manifesto di Ventotene, la cui principale motivazione era la ricerca della pace e un nuovo assetto politico-istituzionale post-bellico.
Dato che è mancata la piena realizzazione del visionario piano dei trasporti su ferro ideato da Karel Van Miert (l’allora Commissario Europeo, Jacques Delors, aveva previsto Corridoi di trasferimento delle merci materiali e immateriali lungo gli assi longitudinali – Corridoi 5 e 8 – e meridiani del vecchio continente: ciò avrebbe agevolato scambi commerciali, dirottato su ferro le merci che viaggiano su gomma e infine unito in una tela infrastrutturale i Paesi Membri)…
Quale assetto istituzionale, politico e culturale si potrebbe dare all’Europa ?
IL LOCALISMO CIVICO
Il modello politico più semplice, da reiterare e diffondere a mo’ di frattale su tutto il territorio europeo, può essere quello del Governo Civico, fondato su Liste Civiche, intese come raggruppamenti di cittadini, di comitati di quartiere o quant’altro che trovi spunti per un’aggregazione politica, talora transitoria, talora permanente. La Lista Civica colma il gap nato dalla dissoluzione dei partiti di massa, dalla transitorietà delle Liste Monocratiche, espediente che servì negli anni novanta a dare rappresentatività politica, e corrisponde a precise caratteristiche delle condizioni attuali:
– una naturale ritrosia a sviluppare tematiche ideologiche, per le quali era nata l’aggregazione, nell’ambito dei partiti c.d. tradizionali che connotavano l’identità partitica. Va notato che di partiti tradizionali o di massa non ve ne sono più e quelli che sono considerati i loro successori, hanno conservato parte dell’apparato e perso quasi completamento il sostegno di massa. Vi sono aree del Paese ove la occupazione del potere è talmente forte da indurre lo sviluppo di Liste Autonome ma è anche vero che l’egemonica presenza dell’apparato spesso impedisce un loro naturale sviluppo. Nella mappa delle Liste Civiche, Toscana, Umbria e Marche, tradizionali roccaforti di sinistra (-centro) sono poco o nulla rappresentate.
– la necessità di arginare situazioni locali-regionali di assoluta gravità o di emergenza, come le questioni ambientali, occupazionali o questioni locali sentite come prioritarie. Ovviamente queste sono così poco sentite dai c.d. partiti che non resta altro che l’aggregazione spontanea che diventa trasversale e coglie strati della società locale.
– la trasversalità è dunque una componente essenziale perché una Lista si presenti come Civica ossia al servizio di tutti i cittadini che sentono quella comune esigenza che è peraltro prioritaria e che fa mettere da parte ogni riferimento ideale ancorché ideologico. Era uno dei concetti cari al primo Togliatti, quello dello sbarco di Salerno che identificò nella Lista Garibaldi un reassemblement di sinistra capace di intercettare la comune esigenza di quell’epoca, cioè la ricostruzione e la ripresa dal fascismo. Salvo poi utilizzare quella stessa Lista per egemonizzare le componenti diverse dal PCI. Nei fatti, i voti che il PSI ed il PCI presero nel 1946, per l’Assemblea Costituente, furono poi ribaltati nelle successive elezioni con il PSI relativamente soccombente.
Un’aggregazione naturale su problemi specifici del territorio dovrebbe portare alla costituzione di una Lista Civica in modo tuttavia transitorio fino cioè alla naturale soluzione del problema. Sanate le questioni, ciascuno dovrebbe tornare alla naturale aggregazione di parte. Una Lista civica che persiste per anni è evidentemente deficitaria sul piano della risoluzione politica e della proposta. Sembra paradossale ma essa sopravviva ai problemi che non ha saputo sanare.
Un’altra e non trascurabile componente segnala l’inammissibilità di Liste c.d. Nominalistiche, quelle che recano il nome di un personaggio nel quale molti si identificano. Le tante liste nazionali che recano questa connotazione non sono Liste Civiche, ma Liste nominalistiche, monocratiche con una precisa identità politica e di schieramento.
Di non minore peso è la necessità di apertura delle Liste Civiche a espressioni politiche e territoriali che sorgono spontaneamente. Una conventio ad includendum non identitario incompatibile con un raggruppamento politico di classica accezione.
Quest’ultimo, lo schieramento, è dunque il punto cruciale che può rendere una Lista Civica degna di questo nome. Una Lista Civica è per definizione una Lista non schierata e non soggetta ad identità da schieramento ma solo soggetta e dedita alla risoluzione dei problemi per cui è nata.
Dunque una Lista Civica dovrebbe costituire un Laboratorio Politico per superare l’impasse dello schieramento stesso e creare le premesse per un superamento dei concetti, ormai obsoleti, di “sinistra”, “centro” e “destra”, non più identificabili e comunque non assimilabili con quelli di progressismo e conservatorismo.
Una Lista Civica si caratterizzarebbe per contenuto programmatico territoriale e per proposte a tempo: elementi che ne limitano la sfera d’influenza politica e d’azione, sia nello spazio territoriale, sia nel tempo legislativo fino a soluzione dei problemi che si pone. La sua veste politica non va oltre il territorio di cui è espressione. In pratica non esce dalle Mura.
Il trigger dello sviluppo di Liste Civiche cittadine è stata la legge 81/93 che conferisce al Sindaco poteri indiscriminati e ne fa l’autocrate civico. In questo caso non si vota né un partito e forse neanche una Lista ma un uomo destinato a governare più o meno autonomamente. Sia tale Legge, sia le Liste Civiche avrebbero reso al Paese un grosso servizio, quello cioè di attrezzare per ogni campanile un Laboratorio Politico che sblocchi l’ingessata politica dei due o tre schieramenti contrapposti.
Emblematico a tal proposito è il caso di una Lista Civica di una cittadina toscana (Nuova Piombino) che per anni è stata all’opposizione, intercettando una certa diffidenza antipartitica di quella popolazione e proiettando sul piano delle proposte concrete la sua linea d’azione. Il suo 21% era significativo fino a quando non ha deciso di passare alla concretizzazione delle sue proposte, entrando in maggioranza e portandovi anche due simboli partitici inscritti nel logo della Lista. Gli elettori ovviamente hanno bocciato quest’idea che snaturava la Lista, le toglieva quella spontaneità di elementi e la ri-omologava alla tradizione partitica. Credo anche che l’elettore di quella cittadina abbia preferito riportarsi alla tradizione piuttosto che votare un ibrido politico.
Forse questo ultimo non è un punto trascurabile: l’ibrido politico è quello che più il cittadino italiano aborre, perché indistinto e tutto sommato poco inscritto in un panorama di chiarezza politica.
Identificazione dei problemi e ricerca delle soluzioni, nell’ottica del civismo moderno, è cosa ben diversa dal populismo anarcoide che di tutto di preoccupa fuorché di seguire la logica dei due passi anzi detti.
LO STEP REGIONALE
Non appare così complesso trasferire la metodologia civica in ottica più ampia: quella regionale. Identificando, come passo successivo, le necessità regionali, motivate da numerosi elementi di sofferenza per produrre un nuovo modello di sviluppo interregionale.
La prima necessità è quella economica. La mancanza di sviluppo ubiquitaria nei Paesi Europei trova in alcune aree picchi manifesti dalla disoccupazione, specie giovanile. Il 21% di disoccupazione italiana a fronte del 41% di quella giovanile, se rende ragione della sofferenza globale massimizzata non esprime del tutto quanto questa possa mortificare, e non solo sul piano economico, l’intera regione interessata. Livelli di sicurezza che si abbassano drammaticamente, incapacità degli anziani di avviarsi alle cure, impossibilità di frenare l’esodo dei giovani verso altri lidi produttivi. La cartina (del 2013) identifica bene le aree dell’Europa Meridionale afflitte dalla disoccupazione, che non risparmia neanche i Paesi Europei a “prima velocità” Euro.
Un’altra motivazione è quella dell’Autonomia Legislativa. Essa si basa sostanzialmente sulla possibilità di recupero fiscale interamente devoluto alla Regione, senza tributi allo Stato di appartenenza. Tuttavia spesso altre motivazioni sostengono la richiesta di appartenenza. Il comune sentire linguistico e culturale fa sì che un popolo si ritrovi attorno a una tradizione comune, come avviene in Scozia. In effetti uno dei motivi più sostanzianti l’aggregazione regionale è la lingua comune. Questa ha in molti casi tali radici culturali da esser una lingua autonoma, derivata da altro ceppo linguistico, come avviene in Sardegna, la cui lingua gode di un’autonomia lessicale e grammaticale. A questo punto il Civismo territoriale si trasforma e diviene Entità Politica Regionale che può godere, nella maggior parte dei casi, di autonomia culturale, economica e finanziaria. Gli esempi si concretizzano in una lista europea di almeno 40 entità che avrebbero le insite prerogative dell’autonomia.
Come sviluppare un’economia circolare europea che superi il corpo ingessato dello Stato di riferimento?
L’idea è quella di un’economia, più che circolare, di tipo alveolare. Gli esempi nel quotidiano sono tantissimi: dall’arnia delle api alla struttura polmonare, ogni alveolo non solo è circondato da alveoli più o meno eguali ma si sostengono strutturalmente a vicenda. Senza entrare nel merito, scientifico e complesso, la teoria di Jere Mead dell’interdipendenza meccanica rende possibile capire la struttura autoportante alveolare.
L’ECONOMIA ALVEOLARE INTERDIPENDENTE
Essa può considerarsi la forma più evoluta della nuova economia circolare che ha sostituito da tempo, almeno nelle teorie, quella lineare. Il futuro sostenibile 2.0 significa capacità di produzione locale a km 0, utilizzo della merce materiale e immateriale, quindi riuso, riciclo completo, in modo da evitare sprechi e iperconsumismo. Si supera così la fase di protezione ambientale da iperproduzione di anidride carbonica, evitando la catalogazione in Paese User, quello che produce CO2 per attività industriali di sostentamento e Paese Consumer che produce CO2 soltanto in funzione dello stile di vita basato sull’utilizzo eccessivo di fossile per energia elettrica, trasporti e usi voluttuari (Oil Lifestyle).
Lo step dell’Economia circolare appare necessario per passare alla fase successiva: quella dell’Economia Interdipendente. Ogni Regione, Land o MacroRegione deve assumere un rapporto di interscambio commerciale a km 0 con Regioni viciniori in modo da ridurre lo spreco del trasferimento a distanza. I rapporti commerciali devono basarsi su scambi privilegiati non solo per l’opportunità delle vicinanza ma per affinità di produzione, agricola, manifatturiera, meccanica, industriale, etc. Ciò attiverà un circuito virtuoso che poi potrà essere riflesso su altre Regioni viciniori le quali a loro volta potranno instaurare scambi commerciali sulla base di similarità riconosciute.
Assenza di vincoli europei, di dazi o tassazioni che possano limitare la libertà degli scambi, costituiscono elementi essenziali per un nuovo processo non più produttivo ma di libero scambio commerciale, tenuto presente che il riuso del prodotto e la limitazione produttiva sono alla base del ciclo anzi riferito. Così si perpetua all’infinito il supporto che ogni regione offre e che riceve, privo di vincoli o restrizioni provenienti da Stati egemoni.
Naturalmente è questo un terreno da sviluppare, unitamente a Economisti, cercando nuove forme di patti territoriali. Ad esempio la Sardegna e la Catalugna, assai vicine sotto il profilo culturale nonchè linguistico, potrebbero avviare un Patto di territorialità o di contigua cooperazione nel versante turistico. La Baviera e il Lombardo Veneto su quello della meccanica e dell’automobilismo. Il versante adriatico, con le sue 5 Regioni potrebbe avviare scambi culturali e interscambi con la Slovenia e Croazia. In pratica un sistema economico fungibile, idoneo ad avvicinare le economie regionali e potenziarle senza timore di tassazioni, dazi o vincoli europei come avviene attualmente.
Smembramento ? Dissoluzione del concetto d’Europa? Né l’uno né l’altro, perché le identità etniche e culturali non necessitano di confini stabiliti. Se universalmente accettato, il Piano delle Regioni Europee (e non dell’Europa Regionale) dovrebbe passare il vaglio di una ratifica di Patto Costituzionale che renda Federativo detto accordo.
Un’idea non dissimile, le Macroregioni, fu elaborata da Gianfranco Miglio. L’ipotesi era di una Federazione Italiana di otto entità regionali, definite Cantoni, comprendente più Regioni contigue a statuto ordinario. L’entità Cantonale si attribuiva anche a ciascuna Regione a stato speciale. L’entità Federativa sarebbe stata competente, in modo esclusivo, per la politica estera, la difesa, la politica monetaria, l’ordinamento giudiziario e in via concorrente per la previdenza e la sanità.
Miglio si era tuttavia dedicato agli aspetti costituzionali del progetto, con una ben precisa articolazione amministrativa e di governo politico. Poco spazio aveva lasciato alla previsione di un’economia regionale e/o interregionale, che egli stesso identificava come tale ma in stretto riferimento all’Italia Federata, non svincolata né nella fase di programmazione economica né negli aspetti fiscali. In sostanza cambiavano i termini ma l’articolazione strutturale e burocratica restava pressoché identica a quella prevista dai nostri ordinamenti costituzionali.
Tutta da sviluppare la tematica dell’Economia Regionale e quella fiscale che restano in nuce. Se l’entità-Stato diventa virtuale, non è concepibile che possa essere anche esattore di proventi fiscali che resterebbero interamente nella gestione autonoma della Regione-Lander.
In un’ipotesi di Europa Federativa, e qui similmente all’ipotesi Miglio, spetterebbe all’Entità Sovrana la competenza-quadro su Difesa, Giustizia, Controllo della Criminalità, Programmazione Scolastica e Universitaria, Sanità. Una sorta di riproduzione europea di quanto prefissato dall’art.117 della nostra Costituzione sulle competenze legislative, alcune di potestas regionale, ferma restante l’attribuzione legislativa della normativa-quadro o di cornice allo Stato quale Entità Sovrana.
Al momento attuale non si può prefigurare una modello diverso da quello statunitense. L’altro possibile riferimento è quello sovietico nel quale ogni stato-nazione, tuttavia, aveva una giurisdizione assai poco autonoma, specie in tema di politica estera, difesa, etc.
Rispetto al progetto di Miglio, le differenze consistono nell’applicazione del modello all’intero continente, per soddisfare le necessità autonomistiche emergenti e nella ipotesi di un’Economia interdipendente, con piena autonomia di programmazione e livelli di produzione, finora attribuiti all’Entità Sovrana.
Un’ipotesi forse avveniristica e tutta da sviluppare ma non si intravede strada diversa salvo la progressiva dissoluzione del Vecchio Continente.
(*) Aldo Ferrara, medico, è Professore nell’Università di Siena
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