di Mario Lettieri* Paolo Raimondi** *Sottosegretario all’Economia del governo Prodi ** Economista

Il summit dei Paesi BRICS a Fortaleza in Brasile segna un ulteriore passo nella direzione della costruzione di una nuova architettura monetaria internazionale. Si pensa di superare il dominio unipolare del dollaro e le vecchie e usurate istituzioni di Bretton Woods.

I capi di stato di Brasile, Cina, India, Russia e Sud Africa hanno ufficializzato la realizzazione della Nuova Banca di Sviluppo e del Contingent Reserve Arrangement (CRA), cioè la creazione di uno specifico fondo di riserva monetaria. Così le proposte avanzate nei passati summit diventano operative. Ciò consente ai BRICS di “essere meno dipendenti dal dollaro e più attrezzati per parare i colpi delle eventuali turbolenze dei mercati valutari”.

La Nuova Banca di Sviluppo ha un capitale iniziale di 100 miliardi di dollari. La sua mission sarà finanziare investimenti non solo nei Paesi BRICS, ma soprattutto promuovere progetti e infrastrutture nei Paesi in via di sviluppo, particolarmente in Africa.

Di fatto si vuole un’alternativa alla Banca Mondiale che nei decenni passati è diventata, purtroppo, la “sorellastra” del Fondo Monetario Internazionale, il cui ruolo, al di là dell’abusata retorica occidentale, è stato negativo per lo sviluppo dei Paesi poveri.

E’ una innegabile importante mossa politica sul nuovo scacchiere multipolare e un segnale significativo di grande attenzione per i Paesi poveri e per quelli emergenti. Naturalmente i BRICS intendono anche diventare i principali fornitori di macchinari e di altri beni, dando così un impulso ai propri settori industriali e tecnologici.

Si consideri che l’ultimo Rapporto sugli Investimenti Mondiali dell’UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo), ci dice che gli investimenti esteri diretti verso i paesi emergenti sono stati di 1,45 trilioni di dollari nel 2013 e dovrebbero raggiungere 1,6 trilioni quest’anno, a fronte però di un fabbisogno di investimenti in infrastrutture di base dei Paesi poveri che oscilla tra i 3,3 e i 4,5 trilioni di dollari all’anno.

Il Contingent Reserve Arrangement anch’esso parte con un fondo di 100 miliardi di dollari: 41 della Cina, 18 stanziati da India, Brasile e Russia ciascuno e 5 dal Sud Africa. Ci sembra una scelta strategica per fronteggiare eventuali crisi di liquidità, pesanti svalutazioni valutarie, fughe “pilotate“ di capitali, destabilizzanti deficit di bilancio e gravi crisi finanziarie.

Si ricordi che anche recentemente le economie emergenti hanno subito destabilizzazioni economiche e valutarie provocate dalle politiche “yo-yo” dei vari Quantitative Easing della Federal Reserve.

A Fortaleza si è preso atto che il FMI sta intervenendo nei Paesi industrializzati ed in particolare in quelli dell’Euro a causa delle loro persistenti crisi del debito pubblico. E i BRICS perciò hanno avviato delle istituzioni alternative. Forse era inevitabile che ciò accadesse. Nei vari meeting del G20, inascoltati, i rappresentanti dei BRICS da tempo hanno posto la questione di nuove regole e di una nuova architettura monetaria.

Perciò il CRA, con la sua “capacità di fuoco” di 100 miliardi di dollari, prevedibilmente aumentabili in futuro, entra in evidente collisione con il FMI sebbene questo disponga dell’equivalente di 370 miliardi di dollari provenienti dalle riserve composte dai Diritti Speciali di Prelievo. Per i BRICS è intollerabile l’attuale loro ruolo marginale all’interno del FMI. Ecco perché la vera sfida per il G20 diventa la riforma dell’attuale sistema monetario internazionale.

Come già evidenziato in passato molti accordi economici e commerciali tra i Paesi BRICS sono stipulati nelle loro monete nazionali. Le due istituzioni “partorite” a Fortaleza dovrebbero invece operare in dollari. Sembra una contraddizione ma è un diplomatico prender tempo. Del resto si ricordi che la crisi finanziaria asiatica del 1997-98 portò alla creazione da parte dei Paesi dell’ASEAN della Cina, del Giappone e della Corea del Sud della cosiddetta “Chiang Mai Initiative”, un fondo di riserva cresciuto fino a 240 miliardi di dollari. Ma non riuscì del tutto a proteggere le valute e le economie coinvolte

Secondo noi il passo decisivo verso la riforma globale del sistema finanziario e monetario , con la creazione di un paniere di monete, può essere fatto solo se l’Unione Europea interverrà in maniera decisa per convincere gli Stati Uniti e i sostenitori del “sistema del dollaro” a prendere atto della nuova realtà geo economica internazionale e dell’ineludibilità di un cambiamento profondo.

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