di Mario Lettieri e Paolo Raimondi

Chi ancora pensa che i Brics siano un club di paesi con idee interessanti ma poche chance di successo, dovrebbe prendere in considerazione il summit del G77 + la Cina tenutosi a Cuba il 15 e 16 di settembre 2023. Realisticamente si dovrebbe prendere atto che è in corso un inarrestabile e incontenibile processo per ridefinire la governance globale.

Il Gruppo dei 77 fu creato nel 1964 dai paesi in via di sviluppo del Sud del mondo, i cosiddetti non allineati, che volevano mantenersi indipendenti, fuori dall’orbita degli Usa e di Mosca. Fin dal suo inizio ha lottato per realizzare un nuovo ordine economico internazionale più giusto, senza nuovi colonialismi e vincoli che generino sottosviluppo.

Oggi il G77, organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, insieme con la Cina conta ben 134 paesi membri e rappresenta l’80% della popolazione mondiale e 2/3 degli Stati membri dell’Onu. Non ne fanno parte i paesi occidentali dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), quelli della Comunità degli stati indipendenti guidata dalla Russia, e quelli del Commonwealth britannico. La Cina, pur non essendo membro del gruppo, lo sostiene fortemente da decenni. Per questa ragione il summit di Cuba s’è intitolato “G77 + Cina. Current development challenges: the role of science, technology and innovation”.

Sono ben consapevoli della continua e irrisolta crisi economica e finanziaria internazionale. Essi notano con profonda preoccupazione che “le principali sfide generate dall’attuale ingiusto ordine economico internazionale per i paesi in via di sviluppo hanno raggiunto la loro espressione più acuta”. Nella dichiarazione finale avanzano la proposta di “una riforma dell’architettura finanziaria globale e la richiesta di un approccio più inclusivo e coordinato alla governance finanziaria globale con maggiore enfasi sulla cooperazione tra i paesi”.

Evidenziano che “le sanzioni unilaterali contro i paesi in via di sviluppo non solo minano i principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale, ma costituiscono un ostacolo serio al progresso della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, e alla piena realizzazione dello sviluppo economico e sociale”. Ne chiedono l’immediata eliminazione. Evidenziano anche “le ripercussioni negative e devastanti delle misure coercitive sul godimento dei diritti umani, compreso il diritto allo sviluppo e al cibo”.

Il fatto che abbiano posto al centro i temi della scienza, della tecnologia e dell’innovazione dice molto sulle strategie future delle economie dei paesi in via di sviluppo. Le emergenze continue provocate dal debito, dall’inflazione, dalla mancanza di cibo e dai disastri climatici restano in prima fila, ma il cosiddetto Sud globale ormai consapevolmente si pone con forza di fronte alle nuove sfide tecnologiche epocali.

La scienza, la tecnologia, l’innovazione e la collaborazione scientifica aperta ed equa, affermano, sono gli strumenti imprescindibili per superare la subalternità rispetto al vecchio mondo e ai monopoli tecnologici.

Il summit si è soffermato molto sui grandi danni prodotti dall’illusione dell’unipolarismo, contrapponendo con vigore l’approccio multilaterale per uno sviluppo più equo e pacifico.

Al riguardo è molto significativo l’intervento del segretario dell’Onu Antonio Guterres che ha riconosciuto come il “G77 + la Cina” sia “da sempre sostenitore del multilateralismo”.

Rispetto al tema della conferenza egli ha aggiunto che “le regole per le nuove tecnologie non possono essere scritte solo dai ricchi e dai privilegiati”. Con i prezzi degli alimenti alle stelle, con il debito che aumenta, con i disastri climatici, la situazione si presenta sempre più insostenibile e serve un cambiamento per creare un nuovo mondo che non può seguire ancora i dettami delle strutture globali degli organismi internazionali, che a detta di Guterres stesso, sono stati deludenti.

Anche nell’Assemblea generale dell’Onu, Guterres ha ripetuto, un mondo fondato sulla contrapposizione rischia lo scontro. “Ci stiamo avvicinando sempre più a una grande frattura – ha detto – è tempo di rinnovare le istituzioni multilaterali. Ciò significa riformare anche il Consiglio di sicurezza in linea con il mondo di oggi”.

Su questo l’Unione europea, purtroppo, si mostra vassalla degli USA, poco indipendente, silente e sempre assente.

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