di Aurora Servadio e Leonardo Servadio
“Hai visto come hanno innalzato quell’edificio grandioso? Un mattone, poi un altro. Ma uno a uno… A forza di cose piccole!” José Maria Escrivá de Balaguer (Cammino, n. 823)
Volti accigliati, espressioni angeliche, occhi pieni di fiducia, mani che anelano al cielo. Tante, piene di vigore espressivo: sono statue. Sofferenti nelle crepe che si aprono sulla pelle, nei veli che si sfaldano, in nasi e zigomi rabberciati, colli solcati da profonde fenditure, superfici brunite da strati di polvere e grassi corrosivi.
Provengono dal Duomo di Milano e sono allineate sotto lunghe tettoie. Vicini, a cielo aperto, svariati elementi ornamentali, cuspidi, gugliotti, doccioni e lastre di marmo variamente conformate da tagli netti, fenditure o squarci.
L’ampio terreno su cui sorge il laboratorio del Cantiere Marmisti della Veneranda Fabbrica del Duomo, nella Milano ovest, dispone di capannoni, spiazzi e di un carroponte. Qui si tocca con mano il lavoro grazie al quale da secoli l’architettura più bella, importante e significativa della città persiste, sempre nuova e attuale, nel corso della storia. Il Duomo è il luogo dove si conserva l’imponente dote della tradizione ambrosiana.
Si potrebbe dire che la costruzione della Cattedrale di Santa Maria Nascente, nota semplicemente come Duomo, sia stata completata nel 1965, con la collocazione dell’ultima porta: la quinta, quella realizzata in bronzo da Luciano Minguzzi. In realtà la sua costruzione non si è mai conclusa. Infatti, già nel secolo XVII cominciarono le opere di conservazione, volte a evitare ammaloramenti delle superfici, dei materiali o di singoli elementi. Queste opere hanno preso via via maggiore importanza col crescere delle minacce e degli effetti corrosivi dovuti all’inquinamento atmosferico, alle vibrazioni impresse al suolo dal traffico motorizzato, così come dagli scavi per la realizzazione della vicina metropolitana e poi dal passaggio dei treni. Si considerino poi anche i danni subiti nel corso delle due guerre mondiali. Oggi la Fabbrica, costituitasi nel momento stesso in cui si sono scavate le fondamenta dal Duomo nel secolo XIV, continua a operare per la conservazione e l’aggiornamento dell’imponente edificio.
Una costruzione infinita
La crisi strutturale più importante sofferta dal Duomo è derivata dal fenomeno dell’abbassamento della falda acquifera. Negli anni ‘60 la parte più pesante dell’edificio, cioè il tiburio su cui si eleva la guglia maggiore, ha subito degli aggiustamenti che hanno provocato l’indebolimento dei quattro pilastri che lo sostengono. Tanto che dal 1972 questi pilastri han dovuto essere rifatti ex novo, con una gigantesca opera ingegneristica progettata da Carlo Ferrari da Passano, all’epoca protoarchitetto della Fabbrica. I lavori sono durati tre anni, durante i quali il tiburio è stato sorretto da strutture provvisorie di acciaio mentre i pilastri sono stati completamente sostituiti, pezzo per pezzo, con nuovi elementi realizzati nel laboratorio del Cantiere Marmisti.
Questa è stata la più importante opera ricostruttiva recente. In continuazione però è necessario sostituire pezzi ammalorati o potenzialmente pericolanti. È solo grazie a questo che il Duomo si conserva: col lavoro che porta avanti la Veneranda Fabbrica, senza soluzione di continuità, dal Medio Evo.
I tre luoghi del Cantiere
Ai laboratori milanesi del Cantiere arrivano i blocchi di marmo dalle cave di Candoglia, nel comune di Mergozzo, presso il Lago Maggiore: Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, le concesse alla Fabbrica quando, nel 1387, volle dare avvio alla costruzione della nuova cattedrale. Da allora forniscono il marmo col quale si costruisce e ricostruisce il Duomo: pilastri, colonne, volte, muri, facciate, guglie e le 3400 statue che le sormontano per ogni dove. Un tempo il materiale era trasportato tramite chiatte. Partivano dal fiume Toce, attraversavano il lago e poi scendevano lungo il Ticino sino ai navigli della città. Giungevano così finalmente in prossimità del Duomo (alla piccola darsena il cui ricordo resta nel nome della via che oggi la sostituisce, chiamata “Laghetto”).
Il materiale veniva lavorato ai piedi del Duomo e infine collocato al suo posto nell’edificio. Nel 1886 il cantiere dove vengono sagomanti i pezzi è stato spostato altrove, così da lasciare libero lo spazio attorno alla cattedrale. In prima battuta venne trasferito nell’attuale via Carducci e solo successivamente, mentre l’espansione urbana rendeva centrali e pregiate zone in precedenza periferiche, si è stabilito nel luogo dove si trova ora: presso i margini occidentali della città, vicino all’autostrada sulla quale oggi vengono trasportati i blocchi di marmo, dopo che i navigli in città sono stati in gran parte chiusi.
Il Cantiere della Fabbrica del Duomo, diretto dell’ingegnere Francesco Casali, oggi si articola in tre luoghi distinti: le cave di Candoglia dove si estrae il materiale necessario alla conservazione dell’edificio; il laboratorio dove i blocchi di marmo vengono scolpiti e conformati negli elementi che devono sostituire; il Duomo stesso.
Il marmo e l’architettura
Il marmo di Candoglia è assai pregiato. Il suo colore varia dal bianco al grigio chiaro al rosa pallido. Ma le sue superfici screziate da venature, sotto le piogge acide e sottoposte all’aggressione dei tanti agenti inquinanti diffusi nell’aria, alla lunga si scuriscono e si logorano.
Addirittura, a seguito degli effetti nella porosità del materiale del ciclo umidità-gelo, si creano in certi casi sfaldature che mettono a rischio la stabilità delle guglie e delle tante sculture che le compongono, nonché di altri elementi ornamentali quali i doccioni, che si trovano a decine di metri di altezza (la guglia maggiore regge la Madonnina a quota 108 metri).
La continua opera di manutenzione è pertanto volta a garantire che l’usura non si traduca mai in rovinose cadute di brani di edificio o di intere statue.
E non solo gli elementi esterni! Anche quelli interni subiscono l’usura del tempo, a conseguenza degli sbalzi di temperatura e dell’umidità dell’aria, dovuti soprattutto all’afflusso dei tanti visitatori. Non da ultimo, va considerato anche l’effetto dei fumi delle candele che col passare dei secoli anneriscono e intaccano le superfici.
Marco Scolari, il geologo che si occupa delle cave di Candoglia e che segue i lavori dei marmisti, riferisce: “Ogni sei mesi l’intera struttura architettonica del Duomo viene esaminata in ogni sua parte per controllarne lo stato di conservazione. Sulla base di quanto rilevato nel corso di queste indagini si programmano i lavori da compiere nel corso dei mesi e anni successivi”. Gli specialisti della Fabbrica provvedono a prelevare gli elementi potenzialmente pericolanti o che appaiono troppo rovinati. Tali elementi vengono trasferiti al laboratorio marmisti e qui la loro forma e le loro misure vengono accuratamente rilevate tramite appositi macchinari e metodologie (come il riporto dei punti) in modo tale da poter essere riprodotti con la massima precisione: con lo stesso materiale e le stesse dimensioni.
Dalle cave per ogni elemento che bisogna sostituire si ricavano blocchi di marmo già tagliati nelle dimensioni opportune, così al laboratorio dei marmisti arrivano pezzi che possono essere sagomati con maggiore facilità.
Si tratta comunque di blocchi di marmo che hanno un peso cospicuo: non a caso nel Cantiere marmisti per muoverli si usa un carroponte.
Dai blocchi si ricavano pezzi la cui conformazione si approssima a quella degli elementi da sostituire. Vengono poi dirozzati con l’uso di percussori, scolpiti con trapani che in fondo non sono dissimili da quelli che usano i dentisti, se non fosse che sono di dimensioni assai maggiori.
C’è polvere di marmo ovunque nei capannoni in cui si svolge il lavoro, anche se grossi aspiratori cercano di eliminarla mentre viene sollevata dall’opera di incisione delle superfici. Adoperando punte sempre più piccole e precise, il marmo viene modellato dagli abili artigiani sino a ottenere elementi identici agli originali sin nei minimi dettagli. Le superfici vengono infine levigate. Il pezzo finito verrà posto là dove stava quello che è stato asportato. Così, ecco come il Duomo rimane sempre nuovo pur senza mai essere “finito”.
Quel che si vede nel Duomo, quel che sorprende i turisti e, nonostante l’abitudine, anche i milanesi, quel che i fedeli abitano nelle celebrazioni è il frutto del continuo lavoro di decine di specialisti: la Fabbrica del Duomo conta oltre 120 dipendenti.
Un’opera collettiva
Il Duomo è il più chiaro esempio di stile gotico in Italia, efficace sintesi tra le architetture nordiche e quelle mediterranee. La solidità e la compattezza del romanico vengono trasfigurate dall’ardita agilità delle lunghe guglie e dal vigoroso splendore delle vaste vetrate istoriate. Pure in quest’epoca desacralizzata il Duomo rimane il luogo più visitato di Milano, divenuta la seconda città italiana per afflusso turistico.
È praticamente impossibile osservare da vicino le migliaia di statue che posano sulle guglie, come peraltro è assai difficile godere appieno delle icnografie raffigurate nelle alte vetrate, ma tutte sono opere d’arte. Tutte realizzate quando l’autorialità non era così in voga come oggi, quando l’opera era intesa come un dono, come una preghiera. Possono essere considerate il risultato di una grande opera collettiva che esprime lo spirito della città: quelle statue, quegli ornamenti, quelle modanature le cui forme a stento si apprezzano dal basso vibrano nell’aria e nella luce, e questo è quanto più importa. Chi le ha realizzate secoli addietro l’ha fatto non per la propria gloria ma per alzare un inno di fede che rappresentava, e continua a rappresentare, tutta la comunità che si riconosce nella tradizione ambrosiana. E un occhio attento se ne accorge.
Con simile spirito lavorano oggi gli addetti della Fabbrica, sia che salgano sulle impalcature che avvolgono a turno porzioni del Duomo o che operino nella cave di Candoglia e nei laboratori dei marmisti, o che si dedichino a scavare negli archivi per comprendere con sempre maggiore esattezza come si è evoluto il Duomo nel tempo, o, ancora, che siano impegnati nel farlo conoscere oggi alla città e a chi la visita.
Quando si osservano le file di statue allineate sotto le tettoie del Cantiere marmisti, nell’intensità delle loro espressioni e nella perfezione delle loro forme, si scopre la grandiosità di un’opera in cui tutta la comunità della città e della diocesi si identifica e si riconosce.
Adotta una statua
Anni addietro è stato lanciato il programma “Adotta una guglia” grazie al quale un singolo donatore (solitamente grandi aziende) può legare il proprio nome a una guglia finanziandone il restauro. Più recentemente la Fabbrica del Duomo ha lanciato una nuova iniziativa , “Adotta una statua”: una delle tante statue portate via dal Duomo e conservate nel deposito del Cantiere marmisti può essere concessa per un periodo di tre anni a un privato come riconoscimento per il contributo da questo elargito alla Fabbrica. L’unica condizione che si pone è che la statua venga esposta in un luogo visibile al pubblico. In questo modo, non solo le realtà più vigorose che operano nel territorio della diocesi possono partecipare alla vita della Veneranda Fabbrica, ma il cuore pulsante della città, il Duomo, può avvicinarsi alle tante realtà che costituiscono il tessuto vivo della società.
E chissà che un giorno anche le oltre mille parrocchie o, almeno, gli oltre settanta decanati della diocesi, possano avere, se non una statua, almeno una piccola guglia o uno qualsiasi degli elementi scultorei provenienti dal Duomo, per rafforzare i legami e ricordare la continuità di una tradizione intessuta tanto di fede quanto di opere.
NB Dove non altrimenti indicato le foto sono tutte di Aurora Servadio
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