In vista del Giubileo del 2025 la Santa Sede sta sollecitando la vasta rete delle organizzazioni internazionali, politiche, sociali e culturali, a formulare e promuovere politiche per condonare o almeno ridurre il fardello dei debiti dei paesi poveri.
Il 5 giugno, parlando al simposio “Affrontare la crisi del debito nel Sud del mondo”, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze, papa Francesco ha rinnovato la richiesta di una moratoria sui debiti. Naturalmente non si è limitato a questo appello ma ha prospettato la necessità di “una nuova architettura finanziaria internazionale audace e creativa”, cioè “la creazione di un meccanismo multinazionale, basato sulla solidarietà e sull’armonia tra i popoli, che tenga conto del significato globale del problema e delle sue implicazioni economiche, finanziarie e sociali”, al fine di spezzare il circolo vizioso del finanziamento che diventa indebitamento.
D’altra parte è risaputo che la sola moratoria sui debiti crea un momentaneo sollievo alle economie dei paesi più poveri ma non affronta alla radice le vere cause, quali gli annosi problemi del sottoviluppo, della dipendenza e della sottomissione economica ai vecchi e nuovi colonialismi pubblici e privati.
La moratoria sui debiti nei confronti dei paesi poveri era stata sollecitata anche da papa Giovanni Paolo II per il Giubileo dell’Anno 2000. Il risultato dell’iniziativa fu la cancellazione del debito per 52 fra i paesi più poveri del mondo. Nel 2005, il G8, anche con una forte azione dell’Italia, condonò debiti per 40 miliardi di dollari e varie istituzioni finanziarie lo fecero per 130 miliardi.
Anche la cancellazione non basta. Infatti, passati meno di due decenni, la crisi del debito si presenta più minacciosa, soprattutto in Africa. Tra il 2013 e il 2022 la percentuale media del debito pubblico in Africa è raddoppiata, passando dal 30% al 60% del pil. Se paragonata con la media di oltre il 100% dei paesi cosiddetti avanzati o con il 138% dell’Italia, il livello africano potrebbe sembrare “virtuoso”. Per i paesi poveri, però, ripagare i prestiti è sempre più difficile e gli interessi crescono. Il debito di fatto diventa un sistema di colonizzazione che può considerarsi una vera e propria schiavitù.
Il pagamento degli interessi su un debito anche di dimensioni limitate può mandare in tilt il bilancio di uno Stato. Per esempio, l’Angola deve usare il 60% del suo pil per il servizio del debito. Ogni due mesi la Guinea Bissau chiede un prestito alla Banca dell’Africa occidentale non per nuovi investimenti bensì per pagare i salari dei dipendenti pubblici. Le spese correnti vengono coperte con i debiti, creando così un meccanismo perverso.
Il Papa è entrato nel merito del tipo di finanziamento finora concesso ai paesi poveri, rilevando che “ai popoli non serve un finanziamento qualsiasi, ma quello che implica una responsabilità condivisa tra chi lo riceve e chi lo concede.” Dipende dalle condizioni poste, da come viene usato e dalle specifiche situazioni in cui si trovano i singoli paesi indebitati. Infatti, troppo spesso i finanziamenti nascondono delle “trappole” mortali: condizioni di austerità insostenibili, il land grabbing, con il quale chi concede il credito si garantisce lo sfruttamento di grandi territori e delle materie prime. I finanziatori sono sempre più fondi finanziari anonimi che applicano le più ferree e dure leggi di mercato. A ciò vanno aggiunte altre perniciose tendenze interne ai paesi che chiedono e ricevono i finanziamenti, tra cui sicuramente la corruzione pervasiva, una gestione incompetente e la corsa all’acquisto di armamenti.
Come ha spesso fatto nei suoi interventi, il Pontefice afferma che “il debito ecologico e il debito estero sono le due facce di una stessa medaglia.” Al di la delle controversie circa gli studi sull’ambiente e sul cambiamento climatico è indubbio che i paesi occidentali abbiano un grande debito ecologico nei confronti dei paesi poveri, dovuto a molti decenni di sfruttamento incondizionato delle risorse. Esempi tangibili sono le miniere scavate senza alcun rispetto per l’ambiente. Per non dire della manodopera locale sfruttata e senza neanche i minimi diritti.
Che il Papa parli di questi argomenti è molto importante. Ci auguriamo che i governi del G7 e le grandi istituzioni internazionali, che hanno proprio la responsabilità politica di affrontare queste sfide, lo ascoltino. Purtroppo, temiamo che anche il G7 di Borgo Egnazia in Puglia possa restare muto di fronte a queste emergenze. Il problema però c’è ed è di prima grandezza!
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