Secondo un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 22 ottobre a firma Milena Gabanelli e Gianni Santucci (“Come si allarga la guerra di Hamas, tra sistemi d’allerta bucati e siti sabotati: il conflitto parallelo“), nelle prime fasi dello scontro scoppiato il 7 ottobre 2023 a Gaza hanno preso parte 178 gruppi di haker che operano online. Di questi 150 parteggiano per Hamas e operano dai Paesi più disparati: dall’Iran al Marocco, dalla Russia all’Indonesia. Gli altri parteggiano per Israele e operano anche dagli Stati Uniti. Le azioni consistono in sabotaggi delle comunicazioni del campo avversario, saturazione e oscuramento dei sistemi informatici di siti sensibili per ottenerne la paralisi, diffusione di notizie false e tendenziose.

Non è una novità che ogni strumento venga usato per fini bellici, e le operazioni informatiche sono in fondo poco costose rispetto ai sistemi d’arma sempre più sofisticati. E se possono avere un effetto diretto sul campo, per esempio inserendosi nel sistema di comando e controllo del nemico, soprattutto riescono a internazionalizzare il conflitto e a mobilitare ondate di opinione pubblica ovunque nel mondo, in modo tale da generare un ambiente controllato di estensione globale che necessariamente si riflette sull’andamento della guerra, poiché l’opinione pubblica incide sull’atteggiamento dei governi dei vari stati e questo a sua volta influisce su quanto e come si discute nelle Nazioni Unite.

Insomma, la guerra informatica è la vera novità di questi anni, più ancora dell’uso dei droni che in fondo non sono che una variazione sul tema dell’aeronautica, ormai da tempo acquisito nella logica degli scontri bellici.

Ma si osserva anche come, al di là dell’evento traumatico dello scontro a fuoco, il diffondersi di tanti diversi strumenti impropriamente chiamati di comunicazione o di socializzazione via Web, ha generato una situazione di continuo, persistente e diffuso incontro-scontro tra opinioni, persone, gruppi: di grande fluidità e di estensione globale.

Su questa tematica indagano Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini nel volume “Polarizzazioni. Informazioni, opinioni e altri demoni nell’infosfera” (FrancoAngeli, pagine 196, euro 26,00). Nello studiare come le nuove vie attraverso le quali passano informazioni e opinioni gli Autori notano come, lo evidenzia il titolo, si generino gruppi di persone che magari non si conoscono e vivono in parti disparate, ma che si uniscono nella condivisione di un punto di vista che viene rafforzato dalla continua risonanza attivata nei messaggi recepiti e diffusi secondo canali selezionati in funzione dei pregiudizi e delle propensioni dei singoli.

Il fatto è noto: ciascuno sceglie di seguire e di farsi promotore dei canali web e del tipo di informazione che più gli aggrada. Come si spiega nel volume, “la tendenza alla conformazione e alla conformità sociale fa sì che gli utenti della rete predisposti a una certa narrativa si riuniscano tra loro, soprattutto se le notizie aderiscono o nutrono il loro sistema di credenze”.

In altri termini non siamo più di fronte a criteri per distinguere il vero dal falso o il giusto dall’ingiusto, ma all’enorme e variegato universo dove il concetto stesso di autorità viene assunto come proprio e non più esterno alla persona: io, in quello che penso dico e faccio in rete, non rispondo più a qualcun altro ma solo a quel che mi garba. E quel che mi garba è quanto risuona nei gruppi di trasmissione delle opinioni-informazioni-propaganda (chiamate “echo chamber”) che mi son scelto o che mi sono creato.

Siamo insomma alla democrazia all’ennesima potenza. Goebbles, il ministro della propaganda nazista, incarnava il regime che rappresentava e ne agitava le parole d’ordine che provenivano da una specifica visione del mondo ed erano funzionali a un obiettivo definito: la gloria del III Reich.

Con i molteplici canali diffusi nel web e le molteplici opinioni che in esso trascorrono abbiamo potenzialmente milioni di piccoli Goebbels ciascuno dei quali agisce convinto di essere migliore degli altri, desideroso di imporsi con le proprie opinioni e di trovare conforto per esse nell’echo chamber che s’è scelto. Ognuno può stilare giudizi e farli circolare: questo basta per sentirsi appagati, a prescindere dalla reale competenza che ha la persona che li formula, o dal grado di verità in essi contenuta.

Nei social son tutti opinionisti di valore. Foto di SMaocSdqs/Unsplash

E tale fenomeno s’è dispiegato con particolare virulenza sul piano politico attorno alla campagna elettorale sostenuta da Trump nel 2020, in cui s’è visto come la presunta verità, cucinata a suo uso e consumo, della presunta frode elettorale a suo danno, sia stata assunta come bandiera dal variegato mondo “anti establishment” dando luogo a una vera e propria minaccia per l’assetto istituzionale statunitense.

Ma oltre al piano politico, ci si trova di fronte al più subdolo quanto onnipresente livello commerciale: i social gratuiti, vissuti e assunti come fossero un servizio pubblico sono tutti in realtà strumenti attivati da privati per i propri interessi. I personaggi che nel giro di pochi anni, da Mark Zuckerberg a Elon Musk, hanno creato veri e propri imperi economici con i quali sono in grado di influenzare politiche ad ampio spettro. Il tutto basato sulla capacità di vendere pubblicità mirata secondo i gusti del consumatore acquisiti mediante opportune campagne di profilamento degli utenti.

E così l’esacerbazione del mercato fa il paio con l’esacerbazione dell’opinione in un universo in cui la politica cessa di essere agone in cui si dibattono proposte di interesse pubblico. Siamo di fronte alla globale privatizzazione dell’opinione e degli strumenti di giudizio. Riuscire a individuare quel che è vero e quel che è falso nel mare magnum della propaganda è sempre più difficile.

Non è un caso se, nel nostro piccolo Paese, ormai il ruolo dei partiti politici sia ridotto in angoli asfittici. Se un tempo, in quella che si chiamava prima repubblica, c’erano i partiti e ciascuno aveva un proprio organo di stampa mentre invece i giornali esercitavano un ruolo di critica esterna, per quanto variamente legata a interessi di altro genere, oggi abbiamo un terreno di scontro massmediale in cui i diversi giornali hanno assunto il ruolo dei partiti politici nel propagandare questa o quella opinione in continua e spesso sguaiata polemica verso altri mezzi di trasporto opinioni (comunemente detti mass-media).

In un bailamme dovuto al fatto che i giornali hanno subito l’influsso dei “social” e del “web” con cui sono entrati in competizione, completamente immersi nel vocio opinionale fondato sul grido, sull’allarme, sulla denuncia secondo una retorica sempre più frenetica. E la politica tende a inseguire questo vociare alla ricerca di voti e sotto la costante minaccia di sondaggi d’opinione che altro non sono se non strumenti di manipolazione, o automanipolazione, dell’opinione medesima.

Quanto s’è visto nel dibattito pubblico in Italia nel corso degli ultimi anni dà con chiarezza la misura in cui il dilagare dell’opinionismo da social ha sortito un effetto straniante. Se il mezzo è il messaggio, col diffondersi dei social nel web abbiamo l’atomizzazione dei mezzi e dei messaggi in un universo anarchico sul quale trionfano solo coloro che da questo riescono ad estrarre valore monetario.

In un mondo dove chiunque riesca a piazzare i propri gridi, lamenti o facili giudizi in qualche ambito del web può sentirsi soddisfatto illudendosi di aver raggiunto una propria fetta di visibilità, il trionfatore ultimo è sempre qualcun altro. “Nelle piattaforme social crediamo di informarci… mentre non facciamo che muoverci in una grande giostra nata per vendere, non per informare” scrivono gli Autori del volume (pag 150).

Ma, alla fine, questo è il mondo in cui viviamo. Si tratta di imparare a muoversi in esso nel modo migliore, cercando di recuperare ove possibile quella pacatezza e quella misura che per loro natura i social, che in fondo sono quanto di più asociale vi sia, tendono a sopprimere.

 

Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini, Polarizzazioni. Informazioni, opinioni e altri demoni nell’infosfera

(FrancoAngeli, pagine 196, euro 26,00)

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