di Domenico Maceri
“Quando si parlerà dello shutdown, si parlerà di chi era il presidente dell’epoca”. Così Donald Trump in un’intervista del 2013 alla Fox News per commentare lo shutdown durante la presidenza di Barack Obama. Sul recente shutdown però il 45esimo presidente ha detto che la colpa è tutta “dei democratici”. La volubilità di Trump è notissima e quindi non sorprende che rifiuti le sue responsabilità.
Lo shutdown di Trump del 2018 è durato solo tre giorni (20-22 gennaio) perché un gruppo bipartisan di senatori moderati è riuscito a stabilire un consenso che alla fine è stato accettato dalla leadership repubblicana e democratica. I voti tempestivi nelle due Camere e la firma di Trump hanno riaperto le porte del governo delle funzioni non essenziali ma un altro shutdown potrebbe ripetersi fra breve.
L’accordo siglato e accettato dai democratici non era molto diverso dalla proposta rifiutata pochi giorni prima eccetto per il fatto che si deve ripetere tutto dopo tre settimane invece di quattro. L’altro punto importante per i democratici è stata la promessa di Mitch McConnell, presidente del Senato, di aprire la strada a una discussione e un successivo voto per risolvere la questione del Daca, che protegge i giovani portati in America clandestinamente dai loro genitori, cresciuti qui ed in effetti cittadini senza documenti.
Il presidente Barack Obama li aveva protetti con un suo ordine esecutivo ma Donald Trump lo ha revocato nel settembre 2017 chiedendo alla legislatura di risolvere il dilemma in modo permanente. Le priorità dei legislatori repubblicani durante il primo anno di presidenza di Trump, come si ricorda, sono state però il tentativo, fallito, di revocare Obamacare e la riforma fiscale firmata dal presidente. La questione dei “Dreamers” era stata messa da parte.
I repubblicani avevano agito in ambedue i casi senza l’aiuto dei democratici. Per aumentare il tetto delle spese ed evitare lo shutdown hanno però inciampato sul filibuster al Senato che richiede almeno 60 dei cento voti presenti. I democratici hanno inizialmente votato contro ma poi hanno cambiato idea. Una buona strategia per Chuck Schumer, leader della minoranza democratica al Senato, per parecchie ragioni. Tre settimane dopo avrà un’altra occasione per mettere pressione sui repubblicani. Schumer ha inoltre considerato la situazione precaria di parecchi candidati democratici che dovranno correre per la rielezione quest’anno in aree del Paese favorevoli a Trump. Spingere troppo sullo shutdown avrebbe potuto fornire munizioni ai candidati repubblicani.
Trump ha cercato di sintetizzare le ragioni dello shutdown attribuendone la responsabilità all’opposizione e contrastando gli immigrati illegali. Questi immigrati sono ovviamente i “dreamers” i quali sono nel Paese illegalmente: ma non per colpa loro. Gli americani hanno capito la loro situazione e quasi l’80 percento crede che il loro status dovrebbe essere regolarizzato. Non sorprende dunque che i primi sondaggi sullo shutdown tendano ad attribuirne la colpa a Trump e al suo partito, visto che i repubblicani hanno la maggioranza delle due Camere e il controllo della Casa Bianca.
Schumer però ha capito che col voto per porre fine allo shutdown guadagna tre settimane di tempo per mettere pressione sui repubblicani, negoziare e raggiugnere un accordo per la sanatoria dei “dreamers”. In teoria dovrebbe essere facile, considerando che Trump ha assunto un atteggiamento più morbido su questi giovani che sono già integrati nella società americana e conoscono poco o niente del Paese di origine dei loro genitori. L’ordine esecutivo di Obama infatti ha permesso loro di lavorare e studiare liberamente, e di integrarsi. Alcuni di loro sono divenuti insegnanti, infermieri, poliziotti e altri si sono persino arruolati nelle forze armate. Alcuni sono divenuti genitori di figli nati in America e dunque cittadini statunitensi a tutti gli effetti. Hanno tutte le carte in regola eccetto per la mancanza di documenti permanenti.
Manterrà McConnell la sua promessa per aprire la strada alla regolarizzazione dello status dei “dreamers”? L’ala sinistra del Partito Democratico crede di no ed ecco perché parecchi senatori hanno votato contro la riapertura del governo. C’è poi da ricordare che anche se il Senato raggiunge un accordo il disegno di legge dovrà passare alla Camera dove le sue sorti sono incerte. Paul Ryan, speaker della Camera, non ha fatto la stessa promessa di McConnell. Bisogna ricordare inoltre che nel 2013 il Senato aveva approvato una legge per regolarizzare lo status dei “dreamers” e fornire un percorso di integrazione agli 11 milioni di immigrati non autorizzati. La Camera però non si pronunciò al riguardo e il disegno di legge fu abbandonato. Si può ripetere questa situazione nel 2018? È possibile, ma Schumer scommette su un esito diverso.
Ovviamente gli rimane la possibilità di causare un altro shutdown dopo tre settimane in caso di mancanza di successo. Il voto bipartisan del 24 gennaio può essere di buon auspicio per una successiva cooperazione fra i due partiti che potrebbero pensare di lavorare insieme per il bene del Paese. Potrebbe anche fornire a Trump un’opportunità per cominciare a governare in modo bipartisan.
I suoi guai però vanno al di là dei rapporti con i democratici. L’ombra della possibile collusione russa sull’elezione del 2016 continua a ingombrare la Casa Bianca.
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