Personaggio controverso, come tutti coloro che sono destinati a lasciare un segno, Vladimir Putin è indubbiamente un protagonista del nostro tempo.
Anzi, le ultime vicende di politica internazionale ne hanno rilanciato il ruolo nello scacchiere geopolitico globale. Eppure, della sua vita, come delle sue più intime convinzioni, di quei dettagli capaci di tratteggiare compiutamente una personalità, si sa poco. La convinzione comune è quella che la sua vita sia avvolta da un alone di mistero, alimentato soprattutto dal suo passato di ufficiale del temibile KGB, il servizio segreto dell’era sovietica e, probabilmente, l’unico apparato veramente efficiente nella lunga era comunista.
Ricostruirne la biografia, oltre i luoghi comuni e le tante leggende mai verificate, significa non solo raccontare un protagonista del nostro tempo ma penetrarne idee, convinzioni e magari prospettarne le mosse future. Questo partendo da un punto chiave: la vicenda individuale di Vladimir Vladimirovič Putin deve essere narrata nel contesto della storia russa con cui si intreccia e di cui è un figlio a tutto tondo.
Quando nel 1952 Vladimir Putin nasce a Leningrado, l’odierna San Pietroburgo è ancora un cumulo di macerie. È la città che ha subito il più orrendo assedio della Seconda guerra mondiale, novecento giorni di morte in cui hanno perso la vita un milione di cittadini. I genitori di Putin erano due sopravvissuti all’assedio. Il padre era stato gravemente ferito in battaglia, la madre aveva rischiato di morire per denutrizione. Entrambe riportano danni fisici permanenti ma la ferita più grave è la morte di Viktor, il loro figlio di nove anni, fratello che Vladimir non ha mai conosciuto.
Volodja – così lo chiama affettuosamente la madre – è un personaggio enigmatico e complesso, criticabile per manifestazioni di autocrazia, la cui vita reale appare degna di un romanzo di John le Carrè, dove fitti misteri si fondono con elementi d’introspezione psicologica.
Piccolo di statura, gracile, biondiccio ma dotato di grande determinazione nel carattere, oltre che di intelligenza, a dodici anni Vladimir legge Lo scudo e la spada, best seller che racconta le avventure di una spia sovietica, diventato poi una popolare serie televisiva. Da queste suggestioni adolescenziali sarebbe scaturita la convinzione di arruolarsi nel KGB, l’onnipotente servizio segreto sovietico. L’aspirazione di un ragazzo diventerà realtà anni dopo, successivamente a una brillante laurea in giurisprudenza. Come lui stesso ammetterà da adolescente è un «teppista», un indisciplinato che non partecipa alle ordinate attività della gioventù comunista. È spesso in strada dove picchia duro nelle risse tra ragazzi, pratica le arti marziali. Ma è anche uno studioso che apprende subito il tedesco e l’inglese, che ottiene a scuola risultati eccellenti, che divora libri. Non è un figlio della nomenklatura ma riesce lo stesso per meriti ad accedere all’ambita facoltà di legge dell’Università di Leningrado.
Entrare nel KGB significa accedere a uno Stato all’interno dello Stato sovietico, l’apparato più organizzato e coeso, una élite. Tuttavia, proprio il servizio segreto, in maniera solo apparentemente inspiegabile, ci sono anche le maggiori consapevolezze del fallimento del sistema socialista sovietico e una fronda che afferma la necessità di aprirsi alle riforme e alla democrazia.
Vladimir Putin è forgiato da questa esperienza, ne resterà impregnato per tutta la vita ma è anche l’ambito in cui matura una diversa sensibilità, aperture e conoscenze del mondo esterno, a cominciare dalla superiorità dell’economia di mercato.
La narrazione giornalistica del leader russo ha spesso risentito di stereotipi, di valutazioni superficiali, prive di riscontri sul piano storiografico. Il personaggio Putin, invece, non può essere disgiunto dalla storia passata e recente della Russia, dai settant’anni di comunismo sovietico, dalla caotica fase di dissoluzione dell’impero, dai gravi pericoli che lo sfaldamento dello Stato genererà con il riemergere di antichi nazionalismi etnici.
La Russia non è stata solo il comunismo e non è oggi solo una terra di autocrati. È la patria di immensi romanzieri, di una delle più importanti letterature, di matematici, di fisici, di economisti, di una profonda spiritualità religiosa. Capire il personaggio Putin, penetrarne la vicenda umana e politica, raccontarne dettagli poco noti, significa fare i conti con una delle dimensioni fondamentali del nostro tempo.
Putin è stato agente operativo del KGB a Dresda, nella Germania di Erich Honecker e della Stasi, assistente del rettore dell’Università di Leningrado, vicesindaco dell’antica capitale, capo dell’amministrazione presidenziale a Cremlino, capo dell’FSB (il servizio segreto post KGB), primo ministro di Eltsin, dunque presidente.
Col tempo è diventato lo zar della nuova Russia. In quindici anni di potere gli sono stati ascritti alcuni significativi successi: la crescita economica, la nascita di un ceto medio diffuso, la lotta alla povertà e all’alcolismo, la sconfitta della mafia, la modernizzazione dello Stato, la riappropriazione delle risorse energetiche e la liquidazione di voraci oligarchi. Egon Bahr, ex ministro tedesco socialdemocratico, artefice della «Ostpolitik» di Willy Brandt, ha affermato: «Putin e popolare per il fatto di aver restituito alla Russia la fiducia in sé stessa dopo l’epoca Eltsin».
Più volte nel corso dell’ormai lungo regno politico lo zar Putin è stato messo nell’angolo e puntualmente ha saputo uscirne più forte di prima. È stato così all’epoca della guerra alla Cecenia, dell’incidente del sommergibile Kursk, della strage del teatro di Dubrovka e di quella di Beslan, lo è stato tra il 2011 e il 2012, quando a Mosca e nelle altre grandi città subì manifestazioni di aspra contestazione.
Ora dopo la dura reprimenda occidentale per l’annessione della Crimea ancora una volta lo zar ne può uscire perché si offre di fare il lavoro sporco in Siria contro l’Isis, quello che un occidente non sembra in grado di fare.
Solo la prospettiva distante della storia ci dirà chi è stato davvero Putin. Per lo scrittore e filosofo Aleksandr Zinov’ev rappresenta il «primo serio tentativo della Russia di resistere all’americanizzazione e alla globalizzazione», per il liberale Sergej Kovalëv «un’alternativa alla restaurazione comunista e all’incompetenza dei democratici».
Aleksandr Isaevič Solženicyn, gigante della letteratura mondiale che con la sua vita ha testimoniato il valore della libertà, ebbe ad affermare: «Quando dicono che da noi è minacciata la libertà di stampa, io manifesto tutto il mio dissenso».
L’intellettualità occidentale appare sospettosa verso la prassi e la sostanza politica del leader russo ma molti giudizi affrettati non tengono conto del contesto storico: la Russia una nazione dove, fino ad un secolo e mezzo fa, c’è stata una forma di vera e propria schiavitù legale di donne e uomini, la famigerata servitù della gleba, abolita solo nel 1861 dallo zar riformatore Alessandro II. Una nazione passata dall’autoritarismo zarista a quello bolscevico, che ha fatto milioni di morti in nome del comunismo, che ha devastato l’economia ed eletto la miseria a prassi.
Putin è riuscito a riplasmare un’identità in cui molti possono ritrovarsi: essa tiene insieme lo stemma e il nastrino zarista, l’inno sovietico con la vecchia musica e nuove parole, la bandiera che fu quella di un breve periodo democratico. Pezzi di storia, una volta antitetici, messi insieme. Un’operazione alla quale i politologi russi hanno dato il nome di «rinascimento nazionale e tradizionale».
La storia politica e personale di Vladimir Putin è tutta da raccontare perché intensa. Il personaggio è lontano dall’essere storicizzato, la sua attualità è viva, pronta a riservare sorprese. È un fatto che la Russia sia ridiventata un grande protagonista della geopolitica globale recuperando il ruolo perso dopo il crollo dell’URSS.
*Putin, vita di uno zar di Gennaro Sangiuliano (Mondadori, pp. 284, € 20)
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