Aldo Ferrara (*)

I provvedimenti sulla Sanità nelle leggi finanziarie susseguitesi in questi ultimi anni seguono l’onda della cattiva conoscenza dei problemi del comparto. Continuare a tagliare, per poi immettere finanziamenti non abbrevia il declino e l’agonia del Sistema Sanitario Nazionale.

Per anni i media ci hanno rifilato notizie sulla malasanità, gambe tagliate dal lato sbagliato, interventi fasulli, ferri dimenticanti nell’addome dei pazienti, diagnosi sbagliate, ecc. Nessuno si è mai soffermato sulle cause di questo dissesto.

Esso appare come il cubetto di ghiaccio della punta dell’iceberg. Molti fenomeni sono attribuibili all’incompetenza, data la pochezza di nozioni che noi docenti impartiamo per forza di cose agli studenti.

Giocano i numerosi fattori alla base dell’insussistenza scientifica della Classe medica.

1-Mortificazione dell’Insegnamento Medico

Il vero problema di difficile soluzione è il rapporto Università-Regione, non risolto neanche con lo sviluppo degli Istituti di Ricerca. Ancora vi è da dirimere in qual modo possano svilupparsi i Dipartimenti ad Attività Integrata (DAI) ed interagire con quelli universitari di cui sono spesso doppioni. E ancora resta da chiarire se il criterio di istituzione dell’Azienda debba essere in relazione al rapporto popolazione/posti letto o se invece non si debba soddisfare un progetto di qualità sanitaria che individui prima le necessità socio-sanitarie del territorio e la sua domanda di Salute e successivamente si adoperi per adeguare la richiesta sanitaria con strutture di pubblico intervento.

Un altro problema deriva dalla spesa per le Convenzioni con strutture private ai fini diagnostici (uso di TAC e attrezzature radiologiche) o terapeutici come spesso succede nel caso della cardio-chirurgia. Indipendentemente da necessità locali, il malcostume trae vantaggio soprattutto con perdite che si aggirano tra i 2 ed i 3.5 miliardi annui.

Ed ancora la scarsa prevenzione delle malattie ai vertici della mortalità, tumori e malattie respiratorie, obbligano ad una prevenzione che, se non attuata, comporta perdite in termini di circa 20 milioni di giornate lavorative, con una spesa complessiva che si aggira attorno ai 5-10 miliardi annui.

Come si vede da questa rapida summa, il “buco” sanitario può dipendere da cause legislative, da conflitti Stato-Regioni, da incongruenze che evocano la necessità di fissare un piano di sviluppo regione per regione e di tracciare una politica regionale della sanità.

Criticità nei rapporti gestionali tra Università, Facoltà di Medicina e Azienda Ospedaliera, nella gestione dei centri di costo e nei trattamenti economici sono i punti dolenti come in quella sede ha sintetizzato il Prof. Roberto Corrocher (Università di Verona): “…Saltuaria partecipazione della Facoltà di Medicina e dell’Ateneo all’elaborazione dei piani sanitari regionali. 2. Mancata partecipazione dell’ Ateneo all’elaborazione dei programmi di ricerca finalizzati della Regione. 3. Mancato esame da parte del Rettore dei curricula degli aspiranti alla dirigenza aziendale. Il Rettore non propone suoi candidati per la posizione di Direttore Generale, ma si limita, generalmente, ad esprimere un parere su persone proposte dal Presidente della Regione. 4. Il Direttore Generale (D.G.) non ha generalmente una formazione scientifica e un’esperienza formativa adeguata a garantire, in modo paritario la nuova triplice mission dell’ AOUI. Il peso “politico” della nomina del D.G. appare inoltre evidente e invadente. 5. Il Comitato d’Indirizzo (C d’I.), cioè l’organo deputato ad elaborare le linee di sviluppo coerenti con la triplice funzione dell’AOUI e a cui il D.G. dovrebbe attenersi nell’elaborare il piano sanitario, di fatto non elabora alcuna linea di indirizzo per l’AOUI. Il Comitato d’indirizzo non ha, al suo interno, nella formulazione normativa corrente, una specifica competenza di ricerca. Solo i protocolli del Friuli-Venezia Giulia e del Veneto prevedono una specifica competenza per la ricerca. Il ruolo del C. d’Indirizzo è in molte sedi del tutto trascurabile ed è stato previsto all’interno dell’Atto Aziendale quasi fosse un organo del D.G. e la sua composizione è assai eterogenea (vedi Tabelle COLMED/09 e CRUI. In altre sedi non esiste affatto. 6. I DAI non sono stati avviati sulla base di attività di ricerca e di formazione coordinate e condivise (Legge n. 282, 1980), ma solo sull’organizzazione assistenziale. Sono, per lo più, un assemblaggio di U.O. indipendenti e che tali rimangono. La coesistenza di DAI, D.U. e di Dipartimenti esclusivamente assistenziali (D.A.) nella stessa AOUI, rende difficile, quando non conflittuale, l’armonizzazione dei sistemi. Praticamente i DAI sono strutture in cui tutte le unità operative afferenti svolgono la loro specifica attività senza “disturbare le altre”. Non c’è una governance efficace dei DAI.: il Collega universitario è “servitore di due padroni”, di cui uno “tiene la borsa”. 7. Nelle AOUI manca un effettivo peso della governance clinica ed un possibilità di reale dibattito costruttivo. 8. Non vi sono nelle AOUI gli essenziali strumenti per “misurare” e incentivare la produzione scientifica (manca spesso l’anagrafe della ricerca e gli strumenti per “pesare” la ricerca scientifica). Non vi sono criteri per quantificare l’impegno didattico accanto agli indici di efficienza ed efficacia assistenziale questi ultimi invece ben presenti e sperimentati. I risultati della ricerca scientifica e l’impegno formativo non sono tenuti presenti nel formulare gli obiettivi delle singole unità operative dell’AOUI. 9. Di conseguenza, gli incentivi economici dei DAI, delle singole U.O. e dei singoli operatori si basano esclusivamente su criteri assistenziali! La performance scientifica e la bontà didattica non hanno adeguata considerazione. 10.Vi è una sperequazione salariale fra Colleghi ospedalieri e Universitari a parità di mansioni: frequentemente il personale universitario non partecipa alla suddivisione dei fondi per il raggiungimento degli obbiettivi delle rispettive unità operative.”1

In sintesi,

quando un docente universitario svolge tre mansioni: didattica, ricerca e assistenza ed è costretto a fare produttività assistenziale è chiaro che penalizza didattica e ricerca, a scapito della formazione. Quando, per volere politico, si decurtano i posti nelle Scuole di Specializzazione, si favorisce l’emigrazione degli specializzandi verso altre Nazioni. Detto mix è alla base di un impoverimento culturale e scientifico.

2- Responsabilità collettiva nei casi di malasanità

Oggi, nelle strutture private e pubbliche, il lavoro sanitario viene svolto in appositi team. È solo il medico di base e lo specialista privato che è solitario nella scelta clinica diagnostica e nell’indirizzo terapeutico. Ebbene i casi di errore o di vera e propria malasanità, intesa come cumulo di grossolani errori, è confinata al lumicino.

Non così dicasi per gli errori che talora avvengono in sala operatoria o nelle strutture di cura. Esse dipendono da cumuli di errori a cascata dei tema, dalla mala organizzazione, alla pessima attenzione nel rapporto con il paziente. I medici di oggi raccolgono le anamnesi, ossia le informazioni sensibili del paziente in poco più di 5’. Una buona anamnesi richiede almeno 90 di questi minuti che non si trovano. Anamnesi e visita richiedono oggi in strutture ospedaliere non più di 20’. Una buona visita completa ne richiede 120. Ma è roba del passato.

Ma è nella Corruption il crinale scivoloso ed inquietante che comporta non solo addebiti arricchimenti, acquisti incauti di attrezzature, quindi impoverimento delle strutture e suo peggiore funzionamento.

Ci riporta sull’argomento il Libro Bianco sulla Corruption 2014, a cura dell’Istituto per la promozione dell’etica in sanità (ISPE) secondo cui il tasso medio stimato di corruzione e frode in sanità potrebbe ascendere al 5,59%, con un intervallo che varia tra il 3,29 e il 10% (Button e Leys, 2013). Dato il bilancio del nostro SSN pari a 114 mld, l’ammontare sottratto al malato raggiungerebbe quota circa 7 mld. (Segato et al., 2014).2

Una più recente ricerca (2015) di Transparency International Italia, Censis, Ispe-Sanità e Rissc punta il dito almeno su un’azienda sanitaria ogni tre (37%) con la documentazione di episodi di corruttela negli ultimi 5 anni, non affrontati in maniera appropriata e confermando i circa 6 mld dissipati in corruzione sanitaria.3.

Ma naturalmente questo è un calcolo presuntivo, allocato sull’intero territorio nazionale il quale, a macchia di leopardo, presenta aree di normale e trasparente amministrazione accanto ad aree critiche come Mezzogiorno e Lombardia.

Che il fenomeno non sia trascurabile e di poco conto lo ha accertato la Guardia di finanza, che in un solo semestre, da gennaio 2014 a giugno 2015, ha fatto emergere frodi e sprechi per un danno erariale di 806 milioni di euro.4

È la pubblica opinione che comunque ha un percepito negativo. All’atto delle visite specialistiche private, che sono l’ultimo stadio della fase diagnostica mancata, 10 milioni di cittadini paganti out of pocket non hanno ricevuto regolare fattura.

Medesima doglianza riguarda la cura odontoiatrica, alla luce di 7 milioni di pazienti che hanno pagato parcelle in black. Senza trascurare che anche per queste motivazioni, 4 milioni di malati hanno dovuto esimersi dalle cure perché esose.

Gli episodi di corruttela o malasanità sono spesso evidenziati dai media con crescente insistenza. Anche perché verosimilmente il fenomeno assume la connotazione di iceberg con un sommerso affatto sconosciuto.

Quando emergono alcuni fatti eclatanti (arresti, incriminazioni etc.) la pubblica opinione ne viene fortemente condizionata, tanto da far legittimamente presupporre che per ogni episodio sommerso ve ne siano altri che restano nell’ombra della mancata conoscenza o sepolti sotto uno strato di involontaria omertà.

Il secondo assioma è che esiste una gamma di sfumature del crimine, che va dalla corruzione eclatante, che potremmo definire evasione dai limiti di legge, a fatti che sono in un crinale border line quasi da elusione della legge vigente.

Ciò consentirebbe di assumere che i 6/7 mld sottratti ai giusti interessi del paziente possano anche raggiungere cifre ben superiori.

Il percepito o immaginario collettivo richiamerà alla mente appalti truccati, tangenti, e quanto possa configurare un reato, ma la gamma cromatica di sfumature del crimine va dal noir al grigio pallido. In appresso alcuni esempi di condizioni ad altro rischio di evasione della legge:

  • Le convenzioni con privati (ambulatori, laboratori), che dovrebbero essere l’esempio più evidente di necessaria sussidiarietà, si concretizzano invece in uno scambio o mercimonio di favori quantizzati o meno;

  • I conflitti d’interesse tra pubblico e privato si materializzano in soggetti che dovrebbero istituzionalmente essere portatori di interessi pubblici ed invece si comportano in modo opposto. Un esempio è dato dal facile “spostamento” da una lunga lista d’attesa in struttura pubblica ad una più rapida nel privato.

  • Il comparto farmaceutico offre particolari tentazioni quali rimborsi fasulli, viaggi gratuiti in cambio di ricette, prescrizioni inutili;

  • Il comparto delle forniture di derrate, materiale sanitario non inventariabile etc.

  • Il comparto delle grandi attrezzature risente ovviamente di tutte le storture degli acquisti in commessa diretta, licitazione privata, appalti truccati e regalie surrettizie.

  • Documentata manipolazione dei DRG.

Per ciascuna di queste condizioni ora descritte, la tracciabilità del misfatto dovrebbe essere sempre possibile ,quantunque molti episodi restino sommersi.

Ma poi vi sono elusioni non facilmente dimostrabili quali:

  • Nomine per chiamata diretta da parte delle Amministrazioni (ASL e AO);

  • Nomine pilotate da un livello politico superiore;

  • Condizionamenti anch’essi di natura politica, con esercizio di pressione, che può andare dalla semplice induzione alla coercizione.

Le conclusioni sono ovvie. Quanto sopra dimostra che il coacervo dei fattori che spinge per una Sanità di sempre più basso livello sono più attribuibili alla Mala Gestio della struttura più che al negligente comportamento, solo raramente doloso, del singolo sanitario.

Per anni abbiamo invocato l’introduzione dei Team, scimmiottando gli americani, nella sanità, dalla ricerca all’assistenza. Ma se si minano le basi culturali della prima, inevitabilmente la seconda ne risente ripercuotendosi sulla pessima gestione del malato.

3- Legislazione Incerta

L’esaustiva Relazione del Presidente della Corte dei Conti Pasquale Squitieri, all’Inaugurazione dell’anno giudiziario 2016 (18.02.16) così recitava:

(Pag.8).”La sostenibilità delle prestazioni pubbliche, siano esse quelle sanitarie o assistenziali e, quindi, le condizioni di accesso a questi servizi, è, oggi, soggetta a rilevanti incertezze e differenze territoriali. A ciò si aggiunga il timore che da tagli ripetuti di risorse derivino peggioramenti nella qualità dei servizi o aumenti delle imposte destinate al loro finanziamento, con un conseguente peggioramento delle aspettative di famiglie e imprese”.

(pag.10)…”L’ampiezza dei dati raccolti – sulla numerosità degli Enti, sulle risorse statali assorbite, sulla consistenza e sui costi del personale – ha permesso di analizzare un fenomeno crescente di deriva verso una nuova forma di organizzazione “periferica” dello Stato centrale che, in una prospettiva segnata dall’imperativo della spending review, richiede un attento ripensamento. L’esternalizzazione di funzioni, da parte dei Ministeri ad Enti e Società, talvolta coerente con il perseguimento di maggiore efficienza organizzativa, si è tradotta, in altri casi, nell’elusione dei vincoli rigidi imposti alla spesa pubblica e alla gestione del personale, con il rischio anche di generare duplicazioni di compiti, aggravio dei costi e riduzione del grado di efficienza nella prestazione dei servizi pubblici..”

Come si legge, una valutazione critica dell’applicazione della riforma del Titolo V, che coinvolge i servizi essenziali (assistenza e sanità, quelli poi che assorbono dal 70 all’80% del PIL regionale) ed un dito sulla piaga dell’esternalizzazione delle funzioni, che comporta aggravi non sempre giustificabili.

Le attribuzioni regionali sulla sanità hanno finito di comportare spese gestionali eccessive, condotte irregolari nelle assunzioni clientelari, sicchè si è passati da un rapporto di 3 sanitari e parasanitari contro 1 amministrativo a ben 6 amministrativi versus 1 sanitario.

Da qui la carenza del personale specializzato di cui trattano impropriamente i giornali. E perché questo? Perche il Titolo V della Costituzione, malamente riformato, affida alla politica le scelte finali e determinanti del reclutamento.

Ben vengano dunque rimedi semplici come l’istallazione di una sorta di “scatola nera” che registri infedeltà terapeutiche o una Dash Cam che verifichi “ a posteriori” il comportamento dei sanitari.

Ma è l’organizzazione sanitaria nel suo ampio complesso, focalizzando le cause anzi dette, che dovrebbe essere oggetto di profonda revisione.

(*) Professore f.r. di Malattie Respiratorie nelle Università di Milano e Siena

Note:

1 Prof. Roberto Corrocher, Past-Presidente del COLMED 09. Rapporti tra scuole di medicina e sistema sanitario nazionale: necessità di una nuova legge per le AOUI. Criticità e proposte. Atti del convegno “I Rapporti tra Università e Servizi Regionali Sanitari. Il ruolo fondamentale dei protocolli d’intesa” Roma, 9 dicembre 2015, pagg. 31-36

2 Segato Lorenzo RISSC, Del Monte Davide Transparency International, Brassiolo Maria Teresa Transparency International. La Corruzione nella Sanità Italiana ISPE Libro bianco sulla corruption in sanità, 2014

3 CENSIS 1ª Giornata Nazionale contro la Corruzione in Sanità e per la salvaguardia del Servizio Sanitario Nazionale, Roma 6 marzo 2016

4 http://www.dire.it/newsletter/odm/anno/2016/febbraio/19/?news=04#sthash.HzPHcS2b.dpuf

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