“I candidati non potranno continuare a ignorare il più grande e diversificato Stato mentre cercano di conquistare la carica più alta del Paese”. Parla Alex Padilla, Segretario di Stato della California, incaricato delle elezioni nel Golden State, mentre commenta la nuova legge firmata dal governatore Jerry Brown che anticiperà le primarie presidenziali del 2020 di tre mesi. La modifica metterebbe la California al quinto posto per le elezioni primarie presidenziali del 2020 incluse quelle per i parlamentari e senatori, che eventualmente rappresenterebbero lo Stato a Washington.

L’anticipo delle primarie è dovuto principalmente al fatto che, aspettando fino a giugno, le decisioni sui candidati alla presidenza avvengono senza nessuna determinante influenza degli elettori californiani. Nel 2016, per esempio, Hillary Clinton e Donald Trump avevano già in tasca abbastanza delegati per ottenere la nomination dei loro partiti prima che i cittadini del Golden State si recassero alle urne.

In sintesi, i legislatori californiani credono che le primarie nel mese di giugno rendono il loro Stato quasi irrilevante nella scelta dei candidati che si scontreranno per conquistare la Casa Bianca. Trovandosi quasi alla fine delle primarie anche i temi di interessi politici dei californiani vengono messi in secondo piano a vantaggio di quelli dei piccoli Stati ed altre regioni del Paese.

Con quasi  40 milioni di abitanti e un Pil che piazzerebbe la California al sesto posto al mondo se fosse una nazione, poco dopo la Gran Bretagna e un po’ superiore alla Francia e Brasile, i legislatori californiani vorrebbero la loro dovuta influenza negli Stati Uniti. Si crede che l’agenda del Golden State verte più a sinistra di quella nazionale dal punto di vista economico ma anche sociale. Questo apporterebbe anche vantaggi a possibili candidati democratici californiani come Gil Garcetti, sindaco di Los Angeles, e Kamala Harris, senatrice della California a Washington, i quali si menzionano come possibili avversari di Trump nel 2020.

La decisione del governo californiano di primarie anticipate non farà felici né la leadership del Partito Democratico né quella del Partito Repubblicano in parte per i costi. La campagna politica nelle primarie dei piccoli Stati come l’Iowa e il New Hampshire consiste di “retail politics” (politica al dettaglio), con strette di mano e contatti più o meno diretti fra candidati ed elettori. In California invece, data la grande superficie (423.970 chilometri quadrati, 100.000 più dell’Italia) i candidati sarebbero costretti a effettuare una campagna principalmente in televisione aumentando i costi in maniera stratosferica. Le alte spese ovviamente danneggerebbero i candidati poco noti le cui idee potrebbero perdersi nella cacofonia di annunci televisivi anche se i social come Facebook, Twitter e YouTube offrono alternative poco costose per comunicare con gli elettori. Gli aumenti dei costi però agevolerebbero i deputati e senatori ed altri legislatori già in carica perché meglio conosciuti e in generale meglio posizionati finanziariamente dei loro eventuali avversari.

Difficile prevedere anche le reazioni di altri Stati i quali potrebbero anche loro anticipare le primarie per mettere attenzione sulla loro agenda, specialmente “Red States” dominati da legislature repubblicane. Altri piccoli “Blue States” potrebbero reagire anticipando anche loro le primarie come risposta al Golden State creando un nuovo mix le cui ramificazioni sono difficili da anticipare.

Il cambiamento della data delle primarie californiane però avrebbe un impatto sulla possibile rielezione di Donald Trump specialmente se si considera l’altro disegno di legge sulla scrivania di Jerry Brown. Si tratta di un nuovo requisito che tutti i candidati presidenziali nelle schede elettorali della California debbano fare la dichiarazione dei loro redditi. Come si ricorda nell’ultima elezione l’attuale inquilino alla Casa Bianca è stato l’unico dei candidati presidenziali a mantenere segreto il suo reddito usando la scusa che l’IRS, il fisco americano, stava completando alcune verifiche. Il nuovo disegno di legge californiano costringerebbe Trump a farci vedere quanto è ricco veramente oppure perdere in partenza i 55 voti californiani dell’Electoral College. È vero che la California è un affidabile “Blue State” dato che l’ultima volta che un candidato repubblicano ha vinto nel Golden State risale al 1988 (quando George Bush padre sconfisse il candidato democratico Michael Dukakis). Ciononostante l’assenza del candidato presidenziale repubblicano dalle schede elettorali avrebbe anche un impatto negativo su tutti gli altri candidati del Gop nelle lista elettorale.

Un altro disegno di legge che aspetta la firma di Brown dichiarerebbe la California “Sanctuary State” (Stato santuario) che ridurrebbe la cooperazione delle forze dell’ordine del Golden State con quelle federali nella deportazione di clandestini. Il termine  “Sanctuary” è già usato da parecchie città californiane ma una designazione statale spingerebbe anche le città nella parte centrale della California, tipicamente conservatrici, a limitare la deportazione di immigrati solo e quando esistono prove di reati. L’amministrazione di Trump ha già minacciato di togliere fondi federali a queste città santuario ma un giudice ha già bloccato l’ordine esecutivo del 45esimo presidente.

Le leggi californiane per arginare Trump avranno un effetto anche se in un certo senso potrebbero considerarsi non necessarie dato il “talento” dei repubblicani di auto ostruirsi. L’incapacità di revocare Obamacare, la riforma sulla sanità dell’ex presidente, ce lo conferma.  Adesso, con le ferite ancora aperte, i repubblicani hanno già abbandonato la sanità per concentrarsi sulla riforma fiscale. Tutti i dettagli non sono ancora noti ma le informazioni iniziali ci dicono che si tratta di sgravi fiscali che beneficeranno in grande misura le classi abbienti come vedremo in un futuro articolo.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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