Di Leonardo Servadio
Segnaliamo due eventi di questi ultimi giorni che indicano il possibile maturare di una nuova cultura, sotto il manto superficiale che il vasto universo massmediale stende sulla politica internazionale. I due eventi sono: 1) l’incontro dei Brics di Johannesburg (25-27 luglio 2018) in cui si manifesta una certa concretezza di un nuovo assetto multipolare nei rapporti internazionali, soprattutto nel riconoscimento del superamento del monopolio del dollaro nei commerci internazionali; 2) l’improvvisa, forse momentanea, scomparsa del nome di Xi Jinping dalle pagine del “Quotidiano del Popolo” (organo ufficiale del Partito Comunista Cinese) e la parallela attenzione data alla possibilità di nuovi rapporti tra Cina e Vaticano.
Riguardo al punto 1): l’incontro BRICS, di cui abbiamo dato notizia con l’articolo di Lettieri e Raimondi pubblicato su queste pagine( https://www.frontiere.eu/dopo-il-dollaro-dai-brics-lavvio-di-un-nuovo-ordine-monetario/ ), notiamo che da tempo molti paesi, a partire da Cina e Russia, stanno progressivamente abbandonando il dollaro e diversificano gli investimenti in valuta estera.
La moneta statunitense è stata il perno dell’ordine internazionale emerso dal secondo dopoguerra, prima grazie al cambio fisso con l’oro, quindi, dopo il depegging avvenuto nell’agosto 1971, grazie agli accordi negoziati dall’allora segretario di stato Henry Kissinger coi paesi produttori di petrolio (OPEC) che hanno attivato il riciclaggio dei petrodollari e il mercato dell’eurodollaro. Recentemente la Cina ha preso ad acquistare petrolio ( di cui è divenuta il maggiore importatore al mondo) non più in dollari ma in renmimbi: è solo uno degli eventi che indicano come il dollaro stia perdendo il ruolo di perno dei commerci internazionali. Questo a sua volta indica come gli Stati Uniti, che fondano la propria centralità nel mondo sulla forza del dollaro a livello finanziario, sulle proprie esportazioni a livello commerciale e sulle proprie forze militari a livello strategico, stiano ormai perdendo i primi due di questi elementi. Infatti non solo si riduce il ruolo del dollaro per i motivi suddetti, ma il peso commerciale degli USA, già da molto tempo compromesso dalle sue politiche di deindustrializzazione, potrebbe subire un ulteriore forte colpo a seguito della tendenza alla guerra commerciale generata dall’Amministrazione statunitense attuale.
Resta agli USA la loro straordinaria forza militare, espressa nel cosiddetto “complesso militare industriale” che ne fa il maggiore esportatore di armi al mondo – ma anche il maggiore promotore di conflitti locali. Dal tempo della guerra del Vietnam in poi infatti negli USA è emersa una corrente di pensiero che guarda al fenomeno bellico non come condizione momentanea per stabilire condizioni di pace, ma come strumento per il controllo della politica estera tramite la continua destabilizzazione di regioni del mondo. È la strategia nota come “Arco di Crisi” e collegata al nome di Zbigiew Brzesinsky (segretario di Stato col Presidente Carter nella seconda metà degli anni Settanta). La questione oggi è, in che misura tale strategia, che un tempo fu promossa quale contenimento verso l’URSS, possa essere rivolta contro la Cina, quale estremo tentativo del “complesso militare industriale” di mantenere il ruolo egemonico statunitense che si va pian piano dissolvendo soprattutto a seguito dell’emergere della potenza economica cinese.
Il problema ovviamente è che il presidente Donald Trump sembra essere molto affezionato al rapporto col complesso militare industriale: si ricordi come nel corso di uno dei dibattiti televisivi pre-elettorali, alla domanda su che cosa pensasse della Costituzione statunitense, invece di rievocare il ruolo di primazia che questa ha avuto nello stabilire nel mondo il concetto di stato fondato su principi di giustizia (v. al riguardo “Lo Stato Nazione. Evoluzione e globalizzazioni”, https://www.frontiere.eu/lostatonazione/ ), egli si sia limitato a segnalare il suo legame con la lobby armamentista elogiando il Secondo Emendamento (adottato il 15 dicembre 1791) che garantisce il diritto di ogni cittadino americano a possedere armi.
Tutto questo oggi va pian piano cambiando e si va concretando un assetto internazionale fondato su rapporti economici che si sviluppano tramite la collaborazione pacifica. L’iniziativa cinese One Belt One Road è uno degli elementi cardine di tale evoluzione.
Riguardo al punto 2): notiamo a mo’ di esempio come il 4 agosto 2018, il “Quotidiano del Popolo” abbia messo in primo piano l’articolo pubblicato il primo agosto 2018 sul giornale cinese “Global Times” a firma di Zhang Yu ( http://www.globaltimes.cn/content/1113365.shtml ) in cui si sostiene che il momento attuale costituisca “un’occasione d’oro” per “rimettere a posto” i rapporti tra Cina e il Vaticano (ovvero con la Chiesa Cattolica). Tra l’altro l’articolo nota l’importanza dei missionari cattolici in Cina, da Matteo Ricci a diversi sacerdoti che oggi operano: sia nel diffondere scambi culturali e nel trasmettere cognizioni tecnologiche (nel caso di Ricci), sia nel promuovere opere di carattere medico ed educativo (in questi anni). Invero da diversi mesi ormai la stampa cinese indica che sta crescendo il desiderio di corrispondere positivamente alla tendenza dimostrata da papa Francesco di dialogare con la Cina comunista.
Oltre al citato articolo del “Global Times”, pare significativo che il nome di Xi Jinping sia in questi giorni praticamente scomparso dalla prima pagina del “Quotidiano del Popolo” online. Questo fatto è interpretato da alcuni (v. The Guadian) come il segno dell’emergere di una lotta interna al Partito comunista cinese.
Per parte nostra, non avendo alcuna notizia certa al riguardo e ricordando l’unanimità di sostegno ottenuta dalla rielezione di Xi Jinping nel corso delle sessioni del Parlamento cinese quattro mesi fa (marzo 2018), ci limitiamo a supporre che il senso di questo possa consistere nell’indicare il desiderio della leadership collettiva cinese di non fare di Xi un nuovo Mao.
Com’è noto, la figura di Mao è assai complessa. Egli è collegato all’affermazione della Repubblica Popolare nel 1949 e a diversi tentativi falliti di trasformare la Cina in paese industriale. Il suo “Libretto Rosso” è stato per decenni un riferimento ideologico centrale non solo in Cina ma per molti nel mondo. Mao è divenuto anche una specie di riproposizione dell’assetto imperiale cinese che la rivoluzione del 1911 aveva cercato di cancellare, e la Rivoluzione Culturale da lui promossa a metà degli anni Sessanta ha costituito uno dei momenti di autodistruzione peggiori mai subiti nella storia della Cina. Dopo la morte di Mao, da Deng Xiaoping in poi la Cina ha conosciuto una nuova epoca di sviluppo economico e culturale che, pur tempestoso e contrastato, l’ha portata oggi a vivere un rinascimento senza precedenti.
Sulla base di quanto su detto, sembra logico supporre che la leadership collettiva cinese oggi cerchi di evitare l’emergere di un nuovo maoismo (a prescindere dal fatto che Xi mantenga o no le sue posizioni di leadership). Ma cerchi invece di tornare ai fondamenti della Cina contemporanea, gettati non da Mao, ma da Sun Yat-sen con la rivoluzione del 1911.
In un discorso tenuto il 2 marzo 1924 Sun disse: “Se vogliamo ridare alla nostra nazione il posto che le compete, dobbiamo risalire alle origini, dobbiamo unirci in una grande associazione nazionale e far rivivere l’antica morale. I Cinesi non hanno mai dimenticato i valori morali caratteristici della Cina. Innanzitutto la lealtà e la pietà filiale, poi l’umanità e la carità, la fedeltà e la giustizia e, infine la pace”. Sun notava come di queste virtù i filosofi cinesi parlassero dal V secolo a. C.. E come queste siano coerenti tanto col messaggio cristiano, quanto con le tradizioni taoista e confuciana.
Nella misura in cui la Cina vorrà proporsi al mondo come uno dei poli fondanti di un nuovo assetto internazionale, dovrà ritrovare quella antica tradizione rievocata da Sun Yat-sen e da lui collegata alla tradizione cristiana che informa il mondo occidentale. Al di là delle tante degenerazioni che hanno afflitto e affliggono entrambi questi mondi, si chiamino militarismo o maoismo, dittatura o finanziarizzazione dell’economia, ideologia del “libero mercato” o ideologia dell’assolutismo statale.
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