La guerra scatenata dalla Russia contro Kyiv ha avuto un impatto drammatico sulla popolazione e sul territorio dell’Ucraina, ma ha anche devastato le sue infrastrutture che dovranno essere ricostruite con ingenti risorse economiche e grandi emissioni di anidride carbonica. Oltre ai terribili costi umani, l’imperialismo putiniano ha inflitto un grave colpo alla transizione energetica in tutto il mondo e ha messo la sordina all’urgente politica di decarbonizzazione necessaria per contrastare il riscaldamento climatico.

Gli effetti dell’invasione si sono fatti sentire molto oltre i confini ucraini, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza energetica e la produzione di cibo. Il blocco con alti e bassi delle esportazioni attraverso il Mar Nero ha avuto un impatto diretto sull’approvvigionamento alimentare per il continente africano, aumentando ancora di più le tensioni e le difficoltà. I problemi legati alle sanzioni imposte alla Russia, uno dei principali produttori mondiali di fertilizzanti, hanno inoltre contribuito alla grande volatilità dei prezzi globali del cibo e questo ha ulteriormente inasprito una situazione già molto difficile. La guerra ha poi modificato la politica globale, spingendo molti Paesi verso la ricerca dell’autosufficienza energetica, diventata una priorità per i politici in tutto il mondo. Di fronte alla necessità di emanciparsi dalle forniture di gas russe, l’Europa ha fatto ampiamente ricorso al Gas Naturale Liquefatto (GNL) prodotto negli Stati Uniti e nei Paesi del Golfo, con un impatto drammatico sull’aumento delle emissioni. Il vero rischio è che le preoccupazioni per la guerra in Ucraina (a cui si sommano quelle per la brutale repressione israeliana a Gaza) rinviino sine die le politiche per la transizione energetica.

La devastazione dell’Ucraina

È vero che siamo entrati nel terzo anno di guerra e che è quasi fisiologico che si cominci a percepire una vera e propria combat fatigue, ma ci sono dei dati di fronte ai quali non possiamo chiudere gli occhi. La guerra non solo ha causato centinaia di migliaia di morti e feriti, 11 milioni di profughi e sfollati interni, oltre a una drammatica crisi economica, ma ha anche inflitto un gravissimo danno all’ambiente. Sono stati identificati migliaia di casi di danni all’aria, all’acqua, al suolo, con effetti che si sono ripercossi anche sui Paesi confinanti. Il conflitto ha anche avuto un effetto negativo sulla ricca biodiversità dell’Ucraina. Incendi nei boschi, operazioni di deforestazione, esplosioni, la costruzione di fortificazioni, l’avvelenamento del suolo e dell’acqua hanno avuto un impatto devastante sull’habitat naturale e sulla biosfera locale, incluse le riserve naturali e i parchi nazionali. Si calcola che circa il 30 per cento del territorio ucraino sia stato contaminato da mine e proiettili inesplosi. Per avere un’idea di cosa significhi, ricordiamo che alcune aree del Belgio sono ancora inquinate dal rame, dovuto ai bombardamenti della Prima guerra mondiale, mentre in Francia una zona molto vasta chiamata Zone Rouge è tutt’ora vietata alle coltivazioni agricole per la presenza di ordigni, proiettili inesplosi, munizioni.

Secondo un rapporto del Journal of Occupational Medicine and Toxicology, pubblicato il 5 gennaio 2024, fino al mese di ottobre 2023 nel conflitto c’erano stati 500.000 morti e feriti, tra militari russi e ucraini, mentre i civili uccisi o feriti erano 30.000. Ma a questo dato dobbiamo aggiungere un numero ancora maggiore di decessi tra i civili ucraini a causa di malnutrizione, malattie infettive, aumento della mortalità infantile, malattie mentali e del comportamento. L’occupazione russa della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande centrale nucleare attiva in Europa, è una spada di Damocle che incombe sul capo dei cittadini del nostro continente. La distruzione della diga Nova Khakovk, fatta saltare dai russi il 6 giugno 2023 per contrastare l’avanzata militare ucraina, ha allagato una vasta area collegata al fiume Dnipro e ha avuto un impatto drammatico sull’ecosistema locale. L’Ucraina, che già aveva di fronte notevoli difficoltà per adattarsi al cambiamento climatico, è stata fortemente indebolita dall’invasione e ha visto un numero crescente di cittadini cadere in povertà.

Terra di nessuno dopo la battaglia di Bakhmut, 26 novembre 2022. Foto di Viktor Borinets, Mil.gov.ua

Oltre al tragico costo umano, la guerra ha devastato l’economia ucraina che si è contratta del 30,3 per cento nel solo 2022, mentre l’inflazione è arrivata al 26,6 per cento in termini reali. Questa situazione ha portato a una delle più veloci discese nella povertà dei tempi moderni: tra il 2021 e il 2022 il numero delle persone in povertà è aumentato di cinque volte, passando dal 5,5 per cento al 24,5 per cento della popolazione, mentre altri 7,1 milioni di ucraini sono scesi sotto quella che viene definita soglia di povertà a livello mondiale. Inoltre, i danni subiti, insieme alle ricorrenti siccità, hanno creato le precondizioni per lo scoppio di incendi incontrollati. Si è calcolato che le aree forestali distrutte da incendi nel 2022 abbiano superato di 25 volte i dati del 2021. Secondo un rapporto del Royal Institute of International Affairs (RIIA) di Londra «i modelli matematici per il cambiamento climatico prevedono che l’Ucraina dovrà affrontare temperature crescenti, mutevolezza nella tipologia delle precipitazioni atmosferiche, inondazioni più frequenti, cambiamenti negli inizi delle stagioni, aumento dei livelli dell’acqua lungo la costa del Mar Nero. La sicurezza legata all’acqua suscita notevoli preoccupazioni poiché l’Ucraina è uno dei Paesi europei meno autosufficienti per quanto riguarda le risorse idriche».

Anche se la guerra dovesse finire in questo momento, il conflitto ha già limitato notevolmente la capacità di adattarsi al cambiamento climatico, visto che la preoccupazione principale è ora quella della sopravvivenza giorno per giorno. I tecnici che si sarebbero dovuti occupare dell’ambiente sono impegnati nella guerra o sono fuggiti dal Paese. Inoltre, nel 2023 il governo ucraino ha dovuto stanziare il 50 per cento delle proprie risorse finanziarie per lo sforzo bellico e visto che i costi per la ricostruzione sono valutati tra i 411 e i 750 miliardi di dollari (dati RIIA), la situazione non migliorerà nel futuro.

Guerra e risorse energetiche

L’impatto dell’invasione dell’Ucraina sul resto del mondo riguarda soprattutto il settore dell’energia, visto che la Russia copre il 12 per cento della produzione energetica mondiale. Finora, il Cremlino ha fatto fronte alle sanzioni occidentali dirottando verso oriente gas e petrolio, trovando acquirenti ben disposti come Cina e India. Il trasporto è avvenuto principalmente via mare, con un drastico aumento delle emissioni di CO2 perché oleodotti e gasdotti necessitano di anni per esser progettati e costruiti. La stessa cosa si è verificata per gli acquirenti europei dopo la chiusura quasi totale dei gasdotti che portavano il gas di Mosca nel nostro continente. Le forniture russe sono state prontamente sostituite da quelle statunitensi e del Golfo (a un prezzo notevolmente superiore) ma con un’impennata nelle emissioni di CO2, visto che il GNL va ora trasportato su nave.

Dopo una prima, forte impennata dei prezzi, si è arrivati a un equilibrio a livelli accettabili ma con costi notevoli per le casse statali perché nel 2022 e all’inizio del 2023 molti Paesi hanno introdotto contributi statali per ridurre la bolletta energetica. Secondo i calcoli dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), i Paesi avanzati hanno speso in questa operazione circa 500 miliardi di dollari che, in un primo momento ha portato benefici per i consumatori, ma sul lungo termine hanno fatto crescere il debito e distolto fondi dagli investimenti sull’ambiente. Nonostante questi massicci interventi, nel primo anno di guerra la bolletta energetica è quasi raddoppiata per i consumatori.

La nave metaniera Flanders Loyalty Seatrials nel 2007. Il GNL ha risolto molti problemi energetici ma ha fatto schizzare in alto prezzi e inquinamento.

A causa dell’invasione, l’obiettivo della decarbonizzazione dei sistemi produttivi è stato sostituito da quello della “sicurezza energetica” o della “sostenibilità energetica”. Lo scopo è quello di garantirsi una “indipendenza energetica” che riduca o elimini le importazioni dall’estero, anche a costo di contare su fonti gravemente inquinanti come il carbone. Nel 2023 la Cina ha approvato un massiccio aumento del ricorso al carbone (nuovi impianti per 37 gigawatts, 52 GW autorizzati e progetti per altri 41 GW). Lo scorso ottobre, il governo tedesco ha approvato l’uso di centrali alimentate a lignite (un carbon fossile di bassa qualità e altamente inquinante) fino all’aprile 2024, adottando considerazioni politiche senza nessun riguardo per l’ambiente. Queste decisioni riflettono perfettamente la tendenza attuale e mostrano il rischio di una grave marcia indietro rispetto alle scelte sul contrasto al riscaldamento globale degli scorsi anni. La mobilitazione bellica è stata vista come una benedizione da tutte le industrie legate all’estrazione dei combustibili fossili che, in nome della già citata “indipendenza energetica”, hanno ammantato di patriottismo il loro sostanziale rifiuto di passare a tecnologie meno inquinanti.

Prima dell’invasione la UE aveva messo a punto un progetto per trasformare l’Ucraina in esportatore di idrogeno verde che, secondo gli auspici del Green New Deal (il progetto europeo per la transizione energetica), dovrebbe diventare l’elemento centrale del nuovo sistema energetico UE entro il 2030. Secondo fonti del governo ucraino, la guerra ha pesantemente danneggiato le infrastrutture per le energie rinnovabili, eliminando il 90 per cento degli impianti eolici e il 50 per cento di quelli a energia solare. Il già citato rapporto del RIIA si conclude con queste considerazioni:

Il corso della guerra avrà significative implicazioni strategiche per la prospettiva della transizione energetica, sia in Ucraina che a livello internazionale. Ma molti degli effetti a lungo termine dipendono dalle azioni che vengono prese oggi. Se verranno fatte le scelte giuste, l’Ucraina sarà in grado di ricostruire le sue infrastrutture danneggiate e fare un salto in avanti verso un futuro più pulito e a basse emissioni. Nel frattempo, è più importante che mai promuovere la necessaria cooperazione multilaterale, in modo da aiutare il mondo a evitare pericolosi cambiamenti climatici e adattarsi ai suoi effetti.

Il problema è che delle “scelte giuste” non c’è traccia nei programmi e nel dibattito per le prossime elezioni europee di giugno. Ci si accapiglia, anche con toni violenti, su questioni totalmente marginali mentre i temi strategici rimangono tristemente fuori. Qualche politico riuscirà a svegliarsi e introdurre le questioni reali all’interno del dibattito?

(L’immagine di copertina ritrae delle ciminiere di una fabbrica di carbon cocke negli USA nel 1942. Autore Alfred T. Palmer).

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