di Galliano Maria Speri
Smentendo le previsioni di coloro che avevano ipotizzato un Trump Presidente diverso dal candidato Trump, il miliardario americano ha emesso diversi ordini esecutivi che confermano in pieno le scelte politiche enunciate durante la campagna elettorale. Il 27 gennaio, il Presidente americano ha firmato un ordine esecutivo che sospende per 120 giorni l’entrata di tutti i rifugiati negli Stati Uniti, bando che vale a tempo indeterminato per i siriani.
I cittadini di sette Stati islamici non potranno entrare negli USA per 90 giorni. I Paesi banditi sono: Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Il bando indefinito dei rifugiati siriani è difficile da comprendere se pensiamo al fatto che, secondo le cifre fornite dall’ONU, nel 2016 gli Stati Uniti hanno accolto 12.486 rifugiati siriani, rispetto agli oltre 300.000 accolti dalla Germania. Dall’inizio della guerra civile in Siria, la Turchia ha ospitato circa 2,7 milioni di profughi, il piccolo Libano un milione circa e la Giordania intorno ai 650.000. Inoltre, nessun siriano è mai stato coinvolto in atti di terrorismo sul suolo americano. Le motivazioni addotte dal Presidente sono basate sulla lotta al terrorismo e sulla necessità di impedire l’ingresso a estremisti che potrebbero condurre attentati contro cittadini statunitensi. L’ordine esecutivo afferma infatti che “per proteggere gli americani, gli Stati Uniti devono assicurarsi che coloro che vengono ammessi nel Paese non abbiano intenzioni ostili”. Oltre agli estremisti islamici, gli USA “non dovrebbero ammettere quegli individui che sono coinvolti in atti di fanatismo o di odio (inclusi i cosiddetti delitti di ‘onore’, altre forme di violenza contro le donne, o la persecuzione di coloro che praticano religioni diverse dalla propria) o anche coloro che opprimerebbero americani di ogni razza, genere o orientamento sessuale”. Il documento spiega inoltre che una politica troppo liberale del Dipartimento di Stato sui visti impedì controlli accurati sulle richieste di accesso di estremisti che parteciparono al drammatico attentato dell’11 settembre 2001.
Rivolgendosi alla stampa, Trump ha dichiarato che queste misure andavano prese molti anni fa ma nessuno ne aveva mai avuto il coraggio. Considerando però che la lotta al terrorismo è la vera motivazione del provvedimento, dovremmo ricordare come su 19 dirottatori dell’11 settembre, ben 15 erano cittadini sauditi, mentre il resto proveniva da Egitto, Libano ed Emirati Arabi Uniti. La cosa strana è che nessuno di questi Paesi è stato bandito e, soprattutto, non si fa nessuna menzione del regno saudita, patria di Osama bin Laden, grande finanziatore dello Stato Islamico e, soprattutto, propugnatore del wahabismo, una concezione fanatica ed estremista dell’islam che considera miscredenti non solo cristiani ed ebrei ma anche quegli islamici che rifiutano di abbracciare la visione fondamentalista propugnata da Riad. Due dirottatori dell’11 settembre, Najaf al Hazmi e Khalid al Mihdahr, frequentavano regolarmente la moschea Re Fahd di Los Angeles, nata con fondi sauditi, dove ascoltavano le prediche infuocate di Farad al Thumairy, ben noto estremista wahabita, nonché diplomatico saudita, espulso dagli Stati Uniti nel 2003 per sospetto terrorismo. Come è possibile che un Paese come l’Arabia Saudita, che professa ufficialmente e finanzia a livello internazionale una dottrina estremistica dell’islam, non sia stato menzionato? Questa disattenzione è forse legata al fatto che l’Arabia Saudita è il più grande importatore di armi (soprattutto americane) nel mondo oppure, come ha suggerito il New York Times, Trump non ha incluso nel bando i Paesi con cui le sue imprese fanno affari?
Ignorare il ruolo saudita nel patrocinio del terrorismo internazionale è un errore politico gravissimo, anche alla luce di una serie di studi americani che hanno documentato come il wahabismo indottrina i giovani sauditi esattamente con gli stessi testi usati nelle scuole coraniche dell’Isis. Già nel 2003, il senatore Jon Kyl, presidente del sottocomitato giudiziario sul terrorismo, che teneva udienze sul wahabismo, affermava che “una quantità crescente di prove e di ricerche di esperti dimostra che l’ideologia wahabita che domina, finanzia e anima molti gruppi qui negli Stati Uniti, è oggettivamente antitetica ai valori di tolleranza, individualismo e libertà come noi li concepiamo”. Un rapporto redatto dall’autorevole Freedom House nel 2005 ha analizzato centinaia di pubblicazioni ufficiali saudite, distribuite all’interno delle moschee americane, dalle quali si evince in modo esplicito che la religione ufficiale considera un obbligo religioso odiare cristiani, ebrei, gli appartenenti ad altre religioni, come pure i musulmani non wahabiti. Un testo visionato nella moschea di Oakland in California, e usato in Arabia Saudita per gli studenti del terzo anno delle superiori, chiede ai musulmani di diventare autosufficienti per quanto riguarda l’addestramento militare: “Per essere veri musulmani – dice il testo – dobbiamo prepararci ed essere pronti per la jihad secondo la volontà di Allah. Questo è il dovere del cittadino e del governo. L’educazione militare è un tutt’uno con la fede e il suo significato”. Come è possibile considerare “moderato” un governo il cui Ministero dell’Istruzione dirama testi di questo genere? Da allora, di fronte a moltissimi elementi concreti, i sauditi hanno affermato di aver iniziato a emendare i testi più fanatici usati ufficialmente nelle scuole e inviati alle varie moschee nel mondo. Non ci sono però indicazioni che questo sia stato fatto, anzi emergono sempre più elementi che confermano che i sauditi hanno finanziato in modo strumentale l’Isis in funzione anti iraniana, contribuendo così a creare un mostro che oggi è fuori controllo.
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