Tutte le famiglie hanno ricordi comuni, vecchie foto ingiallite, storie buffe su zie o cugini, aneddoti improbabili o travolgenti, abiti antiquati riemersi miracolosamente da bauli polverosi. Sono ricordi privati, che stringono o rallegrano il cuore dei parenti che quegli eventi li hanno vissuti insieme, ma dicono poco o nulla a tutti gli altri. Questo però non avviene se ti chiami Kohn, tuo padre è un ebreo ungherese che si laurea in Medicina a Modena nel 1935 e tua madre è una dottoressa cinese che ha studiato nelle università fondate dalle missioni protestanti americane. Le vite di entrambi i genitori sono collocate su una faglia pericolosa che si incrocia costantemente con i grandi eventi del mondo, fino a trascendere i loro destini individuali.
Anna Kohn ha trascorso i suoi primi anni di vita in Liguria, per poi trasferirsi a Roma, dove si è laureata in Medicina e ha fatto la gastroenterologa per quarant’anni. Durante la reclusione forzata dovuta all’epidemia di Covid-19, con i figli ormai grandi e gli impegni lavorativi alle spalle, ha trovato l’equilibrio interiore necessario per approfondire la complicata storia della sua famiglia e ha svolto un’accurata ricerca sulla rete. Qui è infatti reperibile un’imponente massa di dati sulle deportazioni e gli internamenti degli ebrei nei campi di concentramento, come pure un immenso materiale di documenti, fotografie e diari personali che testimoniano l’attività dei missionari protestanti in Cina nella seconda metà dell’Ottocento.
Studentessa nelle università cinesi
La famiglia materna è originaria di Tengchow, nella provincia dello Shandong e, sia nel suo ramo paterno che materno, è entrata in contatto con i missionari protestanti americani che, oltre a diffondere i loro princìpi religiosi, avevano creato scuole e università aperte sia a ragazze che ragazzi. La madre dell’autrice, Luan Jü Lien, nata nel 1910, proviene da una famiglia colta, ed è animata dalla forte volontà di studiare, nonostante le difficoltà (sua madre era morta giovane, il padre si era risposato e i rapporti con la matrigna non erano idilliaci). Dopo aver terminato il liceo, si iscrive al Cheloo Medical College a Jinan, la capitale dello Shandong, dove su trenta-trentacinque iscritti all’anno, soltanto cinque o sei erano ragazze. Riesce a superare gli esami del primo anno, si presenta al padre col libretto universitario e chiede il suo appoggio economico per continuare gli studi. Il padre era favorevole alla rivoluzione sociale che vedeva l’emergere delle donne anche nel mondo delle professioni, ma preferiva che fossero le figlie degli altri a fare da battistrada. Convinto però dai buoni risultati della figlia, accetta di pagarle vitto, alloggio e iscrizione ai corsi, ma libri, abiti e piccole spese rimangono a carico della ragazza.
Lien non deve affrontare soltanto le difficoltà economiche perché nel 1937 il Giappone invade la Cina che già si trovava in una situazione di guerra civile in cui si confrontavano i comunisti di Mao con i nazionalisti di Chiang Kai-shek. Visto il rischio di una conquista giapponese di Jinan, gli studenti di medicina si devono trasferire nell’interno del Paese, alla West Union China University di Chengdu che dista 1.600 chilometri. Il viaggio, durato molti mesi, si svolge in varie tappe su treni, corriere, camion, sulle strade bianche e sulle carrozzabili lastricate di pietra. Raggiunta Hangkow, Lien riesce a imbarcarsi sul grande fiume Yantze e, finalmente, raggiunge Chengdu, sotto le catene montuose dell’estremità orientale dell’altopiano tibetano. La massa dei rifugiati che cercavano scampo è enorme e le donne sono terrorizzate dalla fama di violenza e stupri di cui si erano resi responsabili i militari giapponesi. L’autrice nota che “partivano barconi, come quelli che traversano ora il Mediterraneo carichi di rifugiati dal Nord Africa, ottocento persone stipate in una barca con solo centocinquanta posti, ferme in piedi per tre giorni e tre notti senza possibilità di sedersi per mancanza di spazio”. Nonostante le difficoltà della guerra, Lien continua i suoi studi, si specializza in Medicina Interna e, nel 1942, viene nominata professore associato.
Ebreo in Ungheria
Il padre, Kalman Kohn, nasce nel 1910 a Erdőbénye, un paesino dell’Ungheria settentrionale, vicino al confine con la Slovacchia. La situazione degli ebrei che vivevano nell’Impero austro-ungarico era radicalmente cambiata sotto il regno di Giuseppe I che aveva abolito la tassa sulla residenza e aveva permesso la libera circolazione e il libero commercio, concedendo anche il diritto di affittare fattorie e terreni. Nel 1867 il Parlamento magiaro aveva poi riconosciuto agli ebrei gli stessi diritti dei cattolici e dei protestanti. Si erano quindi create le condizioni per cui molte famiglie ebree si erano dedicate all’agricoltura e, in modo particolare, alla produzione di vini pregiati, come era il Tokaji atzu. Questa era stata infatti l’attività del nonno di Kalman, che aveva lo stesso nome e aveva dato inizio alla tradizione famigliare della viticoltura. Essendo il primogenito di sette figli, tra maschi e femmine, Kalman viene indirizzato agli studi e, con qualche difficoltà, riesce a completare il percorso scolastico al liceo dei Padri Scolopi nel 1924, a 19 anni, il primo Kohn a diplomarsi in tre generazioni.
Prosegue poi iscrivendosi a medicina, prima a Vienna e, successivamente, a Modena, dove aveva sentito che gli studenti stranieri venivano trattati con particolare generosità. Si laurea nel 1935 e, per motivi non chiari, si trasferisce a Genova dove fa l’assistente di un dentista ebreo per tre anni. In quello studio conosce Luigi Amoretti, un farmacista residente a Camogli che sarà un’amicizia fondamentale nella sua vita e lo convince a trasferirsi nello splendido borgo ligure. Kalman è molto socievole e fa amicizie con grande facilità. È inoltre un ottimo ballerino, non solo nella polca e nel valzer, ma anche nelle danze più moderne come il foxtrot e la rumba. Questa vita spensierata finisce il 7 settembre 1938, quando Vittorio Emanuele III firma il decreto di espulsione degli ebrei stranieri da tutte le terre dell’impero. Il dott. Kohn ha sei mesi di tempo per trovare un Paese che lo accolga; tenta di ottenere, senza riuscirci, un visto per un Paese dell’Europa occidentale o per gli Stati Uniti. Come avviene anche oggi, non ci sono Paesi che aprono le braccia ai disperati che fuggono da guerre e disastri naturali. La Svizzera autorizza solo visti di transito, la Gran Bretagna limita drammaticamente gli accessi soltanto a figure con alta qualifica professionale. Inoltre, come potenza mandataria della Palestina, aveva approvato misure che limitavano rigidamente l’ingresso degli ebrei nella regione dove, negli anni precedenti, erano emigrati oltre sessantamila ebrei tedeschi.
Alla fine del 1939 l’Unione delle Comunità Ebraiche aveva creato una struttura per favorire la fuga degli ebrei stranieri con sede centrale a Genova e, dopo l’arresto e la fuga dei dirigenti ebrei, il lavoro dell’associazione viene portato avanti da Massimo Teglio, un imprenditore e aviatore ebreo. A rischio della propria vita, il vicecommissario Carmelo Bezzi, in servizio presso l’Ufficio politico della Questura del capoluogo ligure, si adopera per favorire il sostegno agli ebrei che volevano fuggire. Bezzi mette Kalman in contatto con un magnate ebreo di nome Burger che gli trova un posto a bordo della nave Conte Biancamano, in partenza dal porto di Genova con destinazione Shanghai. Fermatosi circa un mese a Hong Kong, Kalman raggiunge poi Pechino dove lavora al Peking Union Medical College fino all’entrata in guerra degli Stati Uniti contro il Giappone. Pechino, presto occupata dai giapponesi, non è più una città sicura e per questa ragione Kalman decide di raggiungere una zona controllata dal Kuomintang, il partito guidato da Chiang Kai-shek che si batteva contro i giapponesi e i comunisti. Arriva così fortunosamente al College di Stomatologia della West China Union University, con sede a Chengdu, dove si specializza in Odontoiatria e conosce Lien.
Il matrimonio e il rientro in Italia
Non è un amore a prima vista, i caratteri sono molto diversi e Kalman è costretto a una corte serrata che dura quattro anni. Dopo questo periodo, con la fine della guerra, Lien si pone il problema se tornare nella città dove era cresciuta oppure rimanere a Chengdu per continuare la sua carriera all’università. Sceglie di rimanere e, nel 1946, accetta anche di sposare Kalman, nonostante l’ostilità di suo padre al matrimonio con uno straniero. Ma la Storia irrompe un’altra volta nelle loro vite quando nel 1948 il quadro politico cinese cambia ancora con la nascita dell’Esercito popolare di Liberazione, formato da tre milioni di uomini addestrati che, ben presto, riescono a battere le forze nazionaliste. Dopo la sconfitta, Chiang Kai-shek si ritira con due milioni di uomini nell’isola di Taiwan e Kalman e Lien devono decidere dove andare dopo la vittoria comunista. La scelta cade sull’Italia, dove Kalman era stato felice e dove aveva ancora molti amici, anche se non aveva un visto per il Bel Paese.
La coppia, a cui nel 1947 era nata una figlia, Gisella, è fortunata e riesce a imbarcarsi per le Filippine e da lì, in un viaggio durato sei settimane, passando per i porti di Singapore, Città del Capo, Las Palmas, Gibilterra giunge, infine, a Napoli. I due sono molto ansiosi perché non sanno se riusciranno a ottenere un permesso per stabilirsi in Italia. “Molti profughi ebrei -scrive l’autrice- dopo un lungo viaggio dalla Cina e un breve assaggio di vita americana furono respinti e trasportati sul ‘treno della libertà’ per oltre cinquemila chilometri, dal Pacifico alla costa atlantica, sorvegliati da guardie armate fino alla loro partenza per l’Italia con destinazione finale Israele dove, nei campi di raccolta, qualcuno li avrebbe spruzzati di DDT come viatico alla nuova vita”.
Appena sbarcati a terra, un altoparlante chiama il nome di Kalman, annunciando che è atteso da un signore nelle sale della dogana. È Luigi Amoretti, l’amico farmacista a cui aveva scritto raccontando tutte le sue difficoltà nell’ottenere i documenti e i visti necessari per tornare in Europa. Tramite un fratello che lavorava al porto di Genova, Amoretti aveva avuto accesso all’elenco dei passeggeri in arrivo dalla Cina e, una volta certo della presenza dell’amico, aveva preso l’unico taxi di Camogli ed era partito immediatamente per Napoli. Qui era riuscito ad ottenere l’affidamento della famigliola e quindi il giorno di Natale del 1949 i Kohn festeggiano nella casa del farmacista a Camogli l’inizio di una nuova vita.
Destini privati e grandi tragedie
Tutti gli ebrei che vivevano in Europa tra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso non riuscirono a sfuggire alla tragedia della Shoah, direttamente o indirettamente, e questo avvenne anche per la famiglia Kohn. Il padre e la madre di Kalman muoiono nei loro letti nel 1942 e nel 1944, senza incappare nell’orrore che sta per arrivare. Vengono invece deportati e assassinati nei campi di concentramento nazisti la sorella Anna, suo marito e i due figli, la cognata con i due figli. Suo fratello Lajos muore in Russia mentre è arruolato negli infami “battaglioni del lavoro”, composti da ebrei che, senza quasi strumenti di lavoro, operavano in sostegno delle truppe e venivano falcidiati da fame, freddo e fatica. Il fratello minore Miklos, deportato insieme agli altri, perde la moglie e il figlioletto ma, dopo un’agghiacciante odissea, riesce a sopravvivere, torna e si fa una nuova famiglia che emigrerà negli Stati Uniti nel 1949.
Il destino della famiglia di Lien è meno tragico, anche se il suicidio di uno zio, a causa delle umiliazioni subite dalle Guardie Rosse durante la Rivoluzione Culturale, ci ricorda i tanti orrori del “secolo breve”. La sorella maggiore della nonna aveva fatto un ottimo matrimonio, sposando Chen Jintao, un illustre economista che, in seguito, ricoprì più volte la carica di Ministro delle Finanze e viene considerato il fondatore della Bank of China. Si era laureato alla Beyang University Hall a Hong Kong dove aveva conosciuto Sun Yat-sen, il futuro padre della Repubblica cinese, allora un giovane studente di medicina, convertito da poco al cristianesimo. Sun Yat-sen aveva fondato il Kuomintang che, alla sua morte, nel 1925, era passato nelle mani di Chiang Kai-shek. Il libro contiene uno spaccato della guerra civile cinese e, indirettamente, ci informa dei tentativi statunitensi di sostenere, senza successo, organizzazioni come il Kuomintang che si rivelò incapace di fronteggiare i combattenti comunisti.
Anche la vita di Kalman incrocia la grande politica internazionale, visto che era stato nominato “consulente chirurgo” e dentista per le forze aeree britanniche e americane che avevano una base proprio a Chengdu. Dopo l’entrata in guerra, gli Stati Uniti si erano massicciamente impegnati nel sostegno alle forze che affrontavano i giapponesi, fornendo aiuti militari che giungevano in Birmania per essere poi trasportati in Cina su camion. L’aviazione militare cinese possedeva una flotta eterogenea e folkloristica di aerei di varia provenienza per cui era fondamentale l’appoggio occidentale. Facciamo così la conoscenza di Claire Lee Chennault, un pilota dell’aviazione militare americana che, dopo le sue dimissioni per incompatibilità con i suoi superiori, era stato assunto dal Kuomintang per riorganizzare l’aviazione militare cinese. Chennault crea il Gruppo di volontari Americani, formato da piloti della marina e dell’esercito americano, composto da circa trecento persone tra piloti e tecnici, e li porta in Cina a combattere i giapponesi con brillanti risultati.
Ci furono però anche quaccheri americani che si prodigarono fornendo medicinali, attrezzature mediche e materiali sanitari che raggiungevano la Cina su ambulanze attraverso la Birmania. Nei primi anni di guerra, la situazione medica sul fronte orientale era terrificante. ”I soldati feriti gravemente -scrive l’autrice- venivano abbandonati sui campi di battaglia e la maggior parte delle unità militari dell’esercito cinese di Chiang Kai-shek non avevano reparti medici e anche quando c’erano non esisteva un’etica professionale che costringesse i medici a rischiare la vita per portare soccorso a un soldato”. I volontari americani fecero uno splendido lavoro organizzando una formazione infermieristica di base e assistendo i combattenti comunisti in lotta contro i giapponesi. Quando, dopo la guerra, i volontari “lasciarono il territorio controllato dai comunisti e tornarono a casa, furono a mala pena ringraziati dai primi e furono accolti con sospetto negli Stati Uniti che era in quel momento alle prese con il maccartismo e la paura dell’infiltrazione comunista”. Come potrà verificare direttamente il lettore, nel libro c’è molto di più del racconto di storie di famiglia.
Anna Kohn
Verso un altrove
Dai Carpazi al Fiume Giallo
a un porto amico
Armando Editore, 276 pag., 18 euro
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