Il 19 giugno 2019 l’investigatrice speciale delle Nazioni Unite Agnes Callamard ha reso pubblico un rapporto secondo il quale ci sono “prove credibili” che il principe ereditario saudita sia collegato al crimine. “La conclusione degli estensori del rapporto è che il signor Khashoggi sia stato vittima di un’esecuzione deliberata e premeditata, un assassinio extragiudiziale per cui lo Stato dell’Arabia Saudita è da ritenersi responsabile secondo la legge internazionale sui diritti umani”. Lo stesso documento, una ricostruzione minuto per minuto della dinamica e del contesto dell’omicidio, chiede all’Ufficio del Segretario generale dell’ONU di aprire un’inchiesta penale internazionale sul caso e caldeggia sanzioni a carico di Mohammed bin Salman.
I fatti, nella loro agghiacciante brutalità, sono ben noti. Il 2 ottobre 2018 Jamal Khashoggi, giornalista saudita dissidente in autoesilio volontario negli Stati Uniti dove collabora al Washington Post, entra nel consolato saudita di Istanbul per ottenere i documenti che gli servono per poter sposare la sua fidanzata turca. Il giornalista non sa di essere caduto in trappola e nel giro di pochi minuti viene ucciso e il suo cadavere smembrato da un gruppo di quindici specialisti fatti venire apposta dall’Arabia Saudita. Per molti giorni Riad negherà qualunque coinvolgimento nella sparizione del giornalista fino a quando, sotto le pressioni internazionali, ammette che Khashoggi è entrato effettivamente nel consolato ed è morto come conseguenza di un interrogatorio finito male, ma nessuno spiega dove sia finito il corpo. I sauditi non sanno che i servizi segreti turchi hanno riempito il consolato di microfoni e che tutto quello che è accaduto all’interno è stato registrato accuratamente.
Una monarchia assoluta spietata e fanatica
Una parte di queste registrazioni, già note parzialmente, viene messa a disposizione dell’investigatrice speciale Agnes Callamard che, seppur con le limitazioni imposte dalle autorità turche, è in grado di ricostruire nei dettagli l’operato della squadra di assassini. Il governo saudita rifiuta ogni forma di collaborazione con la commissione dell’ONU. Le registrazioni documentano che il 2 ottobre 2018 alle 13.02, poco prima dell’arrivo di Khashoggi, due personaggi inviati da Riad discutono su come operare. Un certo sig. Mutreb chiede al dott. Tubaigy se è possibile mettere il corpo in una valigia. “No–risponde lo specialista- è troppo pesante. Prima lo smembro sul pavimento. Se prendiamo delle buste di plastica e tagliamo il corpo a pezzi possiamo avvolgere ogni singolo pezzo”. Alle 13.13, quello che nella conversazione era stato definito “animale sacrificale”, arriva e va incontro al suo terribile destino. I rumori registrati consentono agli specialisti di capire che il giornalista dissidente venga prima narcotizzato e poi soffocato, probabilmente con una busta di plastica. Successivamente si sente il rumore di una sega elettrica. Secondo il rapporto ONU, nei giorni successivi all’omicidio, un’unità speciale saudita sottopone il consolato, la residenza del console e tutti i veicoli a disposizione delle autorità diplomatiche a un’accurata pulizia con mezzi chimici per far scomparire ogni traccia biologica.
Dopo aver denunciato un fantomatico complotto internazionale per screditare la monarchia, Riad è costretta ad aprire delle indagini sull’omicidio che secondo la Callamard non rispettano standard internazionali affidabili e apre un processo contro 15 soggetti, aperto in segreto e senza nessuna forma di trasparenza. Il rapporto ONU chiede la chiusura di tale processo che, stranamente, non include però personaggi come Saud al-Qathani, uno strettissimo collaboratore del principe ereditario saudita, indicato inizialmente come l’ideatore dell’assassinio, e Mohammed al-Otaibi, il console generale saudita a Istanbul. Il rapporto mette bene in evidenza il ruolo organizzativo di al-Otaibi il che conferma che tutta l’operazione è stata sicuramente autorizzata dall’alto. Secondo il rapporto ONU al-Otaibi ha spedito a Riad due funzionari diplomatici per una “missione top secret” raccomandando loro di acquistare biglietti aerei anche per le loro famiglie in modo da far passare il viaggio come una vacanza. Il console si è anche occupato di prenotare l’albergo a Istanbul per la squadra della morte in arrivo, chiedendo stanze con vista sul mare, per rendere più credibile la storiella della visita turistica.
L’Arabia Saudita è governata da una monarchia assoluta che non ha nessuna forma di contrappeso, visto che tutto il potere è nelle mani di Mohammed bin-Salman che lo esercita con grande determinazione e brutalità. Dopo aver consentito alle donne di poter guidare l’auto, il principe ereditario ha fatto arrestare tutte le attiviste che chiedevano diritti politici reali e la possibilità di emanciparsi dalla tutela maschile, mostrando che la tanto sbandierata liberalizzazione è soltanto un’operazione di facciata. L’Arabia Saudita è uno dei Paesi più repressivi al mondo, arresta i dissidenti, schiaccia i diritti delle donne e delle minoranze religiose e usa massicciamente la pena di morte contro crimini non violenti, ed è stata criticata ripetutamente sia dell’Alto commissario dell’ONU per i diritti umani che dal Parlamento europeo. Il 25 ottobre 2018 il Parlamento europeo ha approvato una “Risoluzione sull’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi nel consolato saudita di Istanbul” in cui condanna l’omicidio e chiede alle autorità saudite di svelare il destino dei resti del giornalista, ricordando che “la pratica sistematica delle sparizioni forzate e delle uccisioni extragiudiziali sono crimini contro l’umanità”.
La signora Callamard ha dichiarato di non avere prove dirette di chi ha ordinato il crimine ma ha sottolineato come “ciò che io presento sono delle informazioni che indicano le responsabilità potenziali di individui e la linea di indagine da seguire per il futuro”. Si è poi detta preoccupata che l’Arabia Saudita possa ripetere tali azioni in futuro visto che, dopo l’assassinio del giornalista, ha ricevuto rapporti credibili di continue violazioni dei diritti umani, incluso torture e detenzioni arbitrarie, oltre a minacce verso i dissidenti sauditi all’estero.
L’appoggio di Trump
Il presidente statunitense Trump che, non dimentichiamolo, ha scelto l’Arabia Saudita come prima visita ufficiale della sua amministrazione, ha farfugliato varie banalità sul caso Khashoggi, ma ha ribadito costantemente che qualunque cosa avvenga, l’alleanza con Riad rimane un punto fermo. Il problema è che già nel novembre del 2018 la CIA aveva stilato un rapporto in cui affermava che Mohammed bin-Salman era coinvolto direttamente nell’omicidio. In quell’occasione, Trump aveva detto che il rapporto dei servizi segreti americani non era arrivato a una conclusione univoca, sollevando le ire di Adam Schiff, importante esponente democratico nella Commissione parlamentare sui servizi segreti che lo ha sonoramente smentito. Anche il senatore repubblicano del Rhode Island Jack Reed ha affermato che le dichiarazioni di Trump sul rapporto della CIA non corrispondono al vero. Schiff ha concluso affermando che la posizione di Trump sull’uccisione del giornalista saudita segnala ai despoti di tutto il mondo “che possono assassinare impunemente le persone e che questo presidente li sosterrà fino a quando tesseranno le sue lodi e gli prospetteranno affari potenziali”.
Pecunia non olet
Il rapporto di Agnes Callamard contiene anche una connessione interessante nel capitolo intitolato “Informazioni sulla sorveglianza di Jamal Khashoggi e di altri da parte dell’Arabia Saudita”. Al punto 69 viene riferito che Citizen Lab, un laboratorio legato all’università di Toronto in Canada, ha scoperto che il telefonino di Omar Abdulaziz, un attivista politico saudita che vive in Canada dal 2009, era stato infettato da un virus spia chiamato Pegasus gestito da un operatore collegato all’Arabia Saudita. Pegasus aveva consentito all’operatore saudita di accedere a tutti i contatti telefonici di Abdulaziz, alle foto, ai messaggi, alle emails e a tutti i files personali. Il virus aveva anche permesso agli agenti sauditi di poter usare il microfono e l’obiettivo del telefonino per spiare e ascoltare le conversazioni del sorvegliato. In quel periodo, Abdulaziz era frequentemente in contatto con Khashoggi e aveva ripetutamente discusso al telefono la questione dei diritti umani in Arabia Saudita. In un messaggio Khashoggi aveva commentato le politiche di Mohammed bin-Salman criticando gli arresti ordinati dal principe ereditario paragonandolo al personaggio del videogioco Pac-Man “una bestia che vuole sempre più vittime da divorare. Non sarei sorpreso che l’oppressione colpirà anche coloro che lo osannano, per poi passare ad altri e altri ancora. Solo Dio lo sa”. Evidentemente, il principe ha preso accuratamente nota di questa come di altre dichiarazioni.
Il Pegasus, un sofisticatissimo software di spionaggio, è prodotto dal NSO Group, nato nel 2010 con 500 dipendenti e ha la propria sede a Herzliya, a nord di Tel Aviv. I fondatori, Omri Lavie, Shalev Hulio e Niv Carmi provengono tutti dall’Unità 8200, il reparto informatico delle forze armate israeliane che ha l’incarico di sorvegliare elettronicamente “ogni aspetto della vita palestinese”. Le competenze acquisite nell’Unità 8200 sono poi state sfruttare in campo commerciale, con profitti altissimi. La compagnia israeliana difende il proprio operato facendo notare che Pegasus è venduto ad agenzie governative e forze dell’ordine che sono responsabili del suo utilizzo. Secondo il proprio sito, l’NSO Group è in prima linea nella lotta contro “terroristi, narcotrafficanti, pedofili e altri criminali”. In pratica, però, tra gli acquirenti di Pegasus ci sono governi autoritari o dittature vere e proprie che usano il sistema per colpire dissidenti, attivisti per i diritti umani, giornalisti e oppositori politici, tanto che molte istituzioni che si occupano di diritti umani hanno richiesto che alcune delle attività dell’NSO Group siano fermate.
Galliano Maria Speri
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