di Enrico Ferrara * 

Il 23 aprile scorso sono bastati 43 secondi al Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, per presentare il nuovo European Recovery Fund (ERF) come la svolta decisiva nella gestione dell’attuale crisi, anche e soprattutto economica, dovuta all’emergenza sanitaria da Covid-19.

Nella conferenza stampa più breve della storia repubblicana, Conte ha sfoggiato con orgoglio una vittoria politica dell’Italia, ottenuta grazie all’approvazione del nuovo meccanismo di finanziamento degli Stati in difficoltà.

Peccato, però, che la realtà non coincida con le parole di Giuseppe Conte. Anzi.

Per fare chiarezza sull’ERF, si potrebbe cominciare dicendo che gli Stati europei non hanno raggiunto l’intesa su alcun dettaglio, ma si sono limitati semplicemente ad accordarsi sulla necessità di trovare una accordo.

Non c’è l’accordo sulla massa di dotazione del nuovo strumento di assistenza agli Stati. Che potenza di fuoco avrà il nuovo Recovery fund? I più cauti parlano di 550 miliardi di euro. Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione, ha ipotizzato che le masse del Fondo possano raggiungere i trilioni di euro. Parole. Per ora, soltanto parole.

Chi finanzierà il Fondo?

Il tema vero non è a quanto ammonterà la dotazione, ma chi la finanzierà. In parole più semplici, non è importante la larghezza del catino, ma la fonte dell’acqua raccolta.

In questo distinguo passa il destino del futuro dell’architrave istituzionale dell’Europa, ormai ad un passo dal collasso e dall’implosione.

Da dove arriveranno i soldi dell’ERF?

Non è un aspetto di poco conto, ma proprio questo è il nodo cruciale. Perché una questione è prevedere che l’ERF sia alimentato dal bilancio europeo (il negoziato sul Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 subirebbe uno stallo irreversibile, in caso di mancato consenso generalizzato), ben altra questione è pensare di alimentarlo con contribuzioni specifiche e straordinarie degli Stati o addirittura ricorrendo al mercato dei capitali.

Due soluzioni diverse che comportano altrettante implicazioni.

Infatti, se il Fondo venisse alimentato direttamente dal bilancio europeo o dagli Stati avrebbe una dotazione quantitativamente inferiore, ma non si dovrebbe dotare di un meccanismo di garanzia a favore dei creditori. Al contrario, se anche parzialmente facesse ricorso al mercato, per necessità dovrebbe istituire un fondo di garanzia, a tutela dei prestatori. Fondo di garanzia, la cui ampiezza sarebbe proporzionata all’orizzonte temporale del prestito e del rimborso.

ERF: una nuova BEI?

Da qui discende il secondo aspetto nodale. ERF presterà denaro o si comporterà secondo lo schema consolidato dell’assistenza europea, ovverosia trasferendo il denaro da Bruxelles agli Stati?

Nel primo caso, il Fondo non sarebbe altro che una nuova Banca Europea degli Investimenti (BEI), una grande forma di credito mutualistico, dove i beneficiari dei fondi sarebbero gli stessi soci, gli Stati. Né più né meno di una banca di credito cooperativo europeo.

Nel secondo scenario, invece, il Fondo rappresenterebbe una veste nuova di un meccanismo tradizionale, pura operazione di maquillage politico. L’Europa, seppur mediante un nuovo ente, trasferirebbe, al bisogno, denari agli Stati. L’Italia li vorrebbe a fondo perduto. I paesi del Nord Europa, ovviamente no. Il Fondo, così, si tradurrebbe in un nuovo meccanismo di sostegno collettivo, senza ottenere l’indebitamento degli Stati beneficiari.

Come lo si voglia costruire, gli Stati saranno comunque chiamati ad uno sforzo all’insegna della solidarietà. Se si dovesse pensare l’ERF come un patrimonio destinato aggiuntivo, tutti i membri della UE saranno chiamati a contribuire in via straordinaria. Se, invece, verrà alimentato dal bilancio europeo, ciò comporterà la solidarietà dell’impegno comune e la condivisione del debito. Non da domani, ma da subito.

È evidente che la seconda opzione esprimerebbe quell’anelito di mutualità e unità che l’Unione Europea deve incarnare per non soccombere. Ecco perché l’ERF sarà l’indice della sopravvivenza delle istituzioni. Da come verrà costruito e delineato sapremo se avremo ancora un futuro di unità o torneremo alla disgregazione degli Stati nazionali.

*Avvocato, Foro di Milano, Esperto di Fisco e Finanza.

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