di Galliano M. Speri

Con il suo ultimo libro, La fine della madre, Lucetta Scaraffia affronta, con toni pacati e una documentazione ineccepibile, la questione strategica del crollo della natalità in Occidente e le soluzioni offerte dalla scienza contemporanea per porvi rimedio. Lungi dall’essere un generoso atto di altruismo, la “maternità surrogata” rappresenta non soltanto una forma di violenza verso le classi più povere ma sta contribuendo a minare il ruolo centrale della donna nella riproduzione, aprendo scenari inquietanti per il futuro.

Nell’autunno del 1944, poco prima che la Croce rossa internazionale facesse una visita di controllo nel campo di concentramento di Theresienstadt, i nazisti organizzarono una macabra sceneggiata obbligando gli internati ebrei a interpretare se stessi davanti alla cinepresa, sorridenti e felici mentre assistono a concerti di musica classica, vanno a teatro, sono amorevolmente curati dai medici delle SS, mentre i loro bimbi giocano sotto lo sguardo severo delle guardie. Kurt Gerron, noto attore e cantante, fu costretto a fare da regista per un documentario che divenne famoso col titolo “Il führer regala una città agli ebrei”, usato poi dalla propaganda nazista per dimostrare come lo sterminio degli ebrei fosse soltanto una calunnia messa in circolazione dagli Alleati.

Le riprese sul film di propaganda all’interno del campo di Theresienstadt, con gli ebrei costretti a fingere di essere trattati bene di fronte alle cineprese, mentre la realtà era terribilmente diversa.

Finite le riprese, Gerron, sua moglie e tutte le comparse furono caricati sul treno per Auschwitz e uccisi, ma ancora oggi si possono sentire le affermazioni degli sciocchi che negano la Shoah dopo aver visto gli spezzoni superstiti del film di propaganda nazista.

Il grande mercato delle maternità surrogate

Un’immagine usata dal femminismo radicale per chiedere di essere liberate dalla schiavitù della riproduzione.

Questa felicità a uso e consumo dei media torna alla mente a proposito di una foto, citata nel libro, pubblicata sull’inserto femminile del Corriere della Sera, che ritrae un gruppo di giovani donne indiane, sorridenti, sane e ben vestite nei loro sari colorati e tutte visibilmente incinte. Queste ragazze rilassate e pasciute sono madri a contratto, ospitate in una residenza “igienicamente controllata” per tutto il periodo della gestazione fino a quando non partoriranno e dovranno consegnare il neonato alla coppia di ricchi occidentali che lo ha ordinato. La radiosità dell’immagine è confermata dal reportage di una giornalista occidentale che ha visitato un centro che organizza l’affitto dell’utero delle signore indiane. Le donne intervistate sono tutte entusiaste dell’esperienza perché possono finalmente realizzare i loro sogni, avere una casa decente, mandare a scuola i loro figli e via dicendo. Ma è veramente così? Siamo in presenza della doppia felicità di chi può finalmente realizzare il desiderio di un figlio e di chi riesce a mitigare, anche se solo temporaneamente, la propria indigenza? Lucetta Scaraffia spiega come molto spesso le donne che affittano il proprio utero siano costrette a farlo dalle pressioni delle loro famiglie che vi vedono uno strumento utilissimo per un reddito addizionale e che, in alcuni casi, costringono le ragazze a ripetere l’esperienza, una volta finiti i soldi.

Il libro, che ha il grande pregio di evitare ogni approccio ideologico o partigiano, affronta con grande coraggio, lucidità e rigore molte questioni cruciali che vengono di solito riportate da stampa e televisioni con molta superficialità e, soprattutto, con un atteggiamento manipolatorio che tende a falsare gli aspetti cruciali del problema. Vogliamo veramente credere che il ricco e crescente mercato degli uteri in affitto (con costi che negli Stati Uniti arrivano ai 150.000 dollari) sia soltanto basato sulla generosità delle donatrici che, in modo del tutto disinteressato e altruista, offrono il proprio corpo per far felice una coppia (etero o omosessuale) che desidera un figlio? Possiamo immaginare che i sostenitori di questa tesi credano anche che le prostitute (appartenenti a classi o paesi poveri) siano animate soltanto dal desiderio di rendere meno soli uomini tristi e frustrati. In realtà, siamo di fronte a un cambiamento epocale che rimette in discussione la natura dell’uomo e della società per come si è evoluta negli ultimi millenni e che intende cancellare il ruolo centrale svolto dalla madre nel processo procreativo, per affidarlo alle mani di una scienza (ma forse faremmo meglio a chiamarla tecnica) totalmente controllata dai maschi.

Dove ci ha portati la rivoluzione sessuale

Il violento cambiamento che si vuole imporre al ruolo tradizionale e complementare dei due sessi è accompagnato da una manipolazione del linguaggio che intende eliminare i termini “padre” e “madre”, sostituiti dal neutro “genitore”, e anche la frase “nato da” diventa “figlio di”, privilegiando quindi l’affiliazione sociale su quella biologica. In questo modo assistiamo alla nascita di un nuovo diritto, mai previsto o codificato da alcuna legge, che si chiama “diritto al figlio” e che prende le mosse dal desiderio soggettivo, senza tenere in alcun conto i diritti dell’essere umano che viene messo al mondo. La pratica della gestazione surrogata mette infatti in gioco principi fondamentali come “l’indisponibilità del corpo umano e il fatto che non si può fare del bambino l’oggetto di un diritto patrimoniale”. L’Autrice nota come, sia la gestazione per altri, sia la procreazione medicalmente assistita creino un conflitto di interessi perché “il diritto al bambino si contrappone al diritto del bambino”.

Questa svolta è stata resa possibile dalla cosiddetta “rivoluzione sessuale” che ha investito il mondo a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Le parole d’ordine che hanno caratterizzato i vari gruppuscoli libertari di quel periodo hanno le radici nel movimento eugenetico che si sviluppa alla fine dell’Ottocento negli Stati Uniti e che, per primo, pone il problema del controllo delle nascite come una questione medica. Tutti sanno che, dopo l’esperienza nazista, le proposte eugenetiche sono state giustamente screditate per cui l’idea di separare sessualità e riproduzione poteva affermarsi soltanto con una vera e propria rivoluzione sociale, come è appunto stato il ’68.

Gli slogan affermavano che tutto il male del mondo dipendeva dalla repressione sessuale e che se facevi l’amore non facevi la guerra, per cui sarebbe bastato rimuovere i tabù sessuali e la società sarebbe diventata più vivibile, giusta e felice. “La libertà sessuale assumeva così le caratteristiche di una vera e propria utopia ideologico-politica: grazie alla fine della severa regolamentazione che aveva accompagnato la vita sessuale, tutti sarebbero stati meno nevrotici e aggressivi”. Un rapido sguardo al mondo di oggi ci mostra la triste realtà dietro quella utopia.

Manifestazione femminista in sostegno del “corpo è mio e lo gestisco io” che tende a banalizzare una questione importantissima.

Il corpo della donna è stato liberato dalla “schiavitù” della gestazione e ora la donna è libera di cercare il piacere e l’avventura, al pari del maschio cacciatore. A ben guardare, però, la lotta per la liberazione è stata combattuta sul corpo della donna che, grazie alla pillola, ha acquisito le stesse libertà dei maschi ma al prezzo di un bombardamento ormonale che ha medicalizzato la sua sessualità. In questo modo, la donna è diventata come l’uomo, ma ha accettato di rinunciare a quello che la rende diversa e superiore, e cioè la capacità amorevole di generare nuova vita, schiudendo le porte del futuro. Che conquista è quella che comporta la rinuncia alla propria intima natura?

Cosa ci riserva il futuro

Scaraffia sviluppa anche molti altri aspetti della problematica ma è forse utile prendere in considerazione alcuni dati che si prestano a una lettura più profonda. La molla fondamentale che ha reso possibile l’accettazione sociale della separazione della sessualità dalla riproduzione è stata la campagna ossessiva contro l’aumento demografico fuori controllo. Negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso la lotta contro la crescita demografica fu finanziata dalla Fondazione Rockefeller, attraverso “interventi anche non consensuali di sterilizzazione o contraccezione sulle donne in particolare del Terzo Mondo”.

Oggi in Occidente non esiste alcun problema di natalità eccessiva, è semmai vero il contrario, per cui non dovremmo preoccuparci di questo aspetto. La fiaccola dell’anti-natalità è stata invece raccolta da Bill Gates che, insieme a sua moglie, ha fatto notevoli investimenti per la realizzazione di un preservativo migliore e anche di un nuovo tipo di anticoncezionale, somministrato attraverso un microchip. Questo nuovo dispositivo sta per iniziare la fase sperimentale per essere poi immesso sul mercato e potrà quindi ridurre la natalità delle aree povere del mondo, visto che quelle ricche hanno il problema contrario. In questo modo “la contraccezione potrebbe diventare parte di quell’insieme di microchip che in futuro si progetta di inserire nel corpo umano, per migliorarne le prestazioni fisiche e intellettuali: la contraccezione viene considerata quindi come una sorta di perfezionamento del corpo femminile che, ahimé, ha il difetto di procreare”. Il chip su cui sta lavorando Gates ha la durata di quindici anni, metà della vita riproduttiva di una donna, e può essere attivato anche dall’esterno e, quindi, da persone estranee al corpo della donna stessa.

Bill Gates, uno degli uomini più ricchi del mondo, con sua moglie Melinda. Gates è da tempo impegnato nella campagna per la riduzione delle nascite, soprattutto nel Terzo Mondo.

Un’ultima considerazione va fatta sulle implicazioni strategiche della maternità surrogata perché, oltre a cancellare ogni differenza tra sessualità etero e omosessuale, crea le precondizioni per il passaggio successivo: quello dell’utero artificiale che libera i committenti dal fastidioso rapporto con una gestante che magari si affeziona al neonato e crea difficoltà.

Già oggi è fattibile e legale la selezione genetica dei feti, per impedire che vengano trasmesse malattie ereditarie, e quindi permettere la nascita di bambini sani e felici. Chi riuscirà a opporsi alle argomentazioni di coloro che, in nome della lotta alle malattie genetiche e al diritto di essere sani, sosterranno i vantaggi medici della riproduzione artificiale, anche per le persone che potrebbero procreare in modo tradizionale? Un mammifero è stato clonato molti anni fa, per cui la creazione di un utero artificiale non è nel modo più assoluto fantascienza. A quel punto, la donna sarebbe totalmente uguale all’uomo, avendo rinunciato alla possibilità di procreare, ma avrebbe perso la sua posizione centrale nell’universo.

L’idea della centralità umana è infatti rappresentata molto meglio dalla Madonna del parto di Piero della Francesca che dall’uomo vitruviano di Leonardo. Il movimento femminista ha qualcosa da dire oggi su questi temi?

Lucetta Scaraffia  La fine della madre.   Ed. Neri Pozza. Pagine 156, euro 12,50

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