di Aurora Servadio
In occasione della Cop26, conclusasi venerdì 12 novembre 2021 a Glasgow, si è tornato a parlare di nucleare, dopo circa vent’anni di esclusione dal dibattito all’ONU.
Come ben sappiamo, si tratta di una tematica controversa: chi vi si oppone tendenzialmente motiva le proprie posizioni con i disastri del passato, da Chernobyl a Fukushima; chi invece è a favore, ribatte che la sicurezza delle centrali è nettamente migliorata negli ultimi anni.
L’AIEA durante la Cop26 ha sostenuto che “il nucleare è, e sarà, parte della soluzione se vogliamo raggiungere l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi Celsius”.
A Glasgow si è discusso molto sulle fonti di energia da inserire nella Tassonomia della Finanza Sostenibile dell’UE. Chi da tempo si batte per il ritorno del nucleare in Italia, e in generale per la sua implementazione globale, sta facendo il tifo per il suo inserimento, per esempio firmando e diffondendo la petizione di Italia per il Nucleare. Tra questi in prima fila i ragazzi di Stand Up for Nuclear, associazione nata una decina di anni fa a Trieste (e in seguito diffusasi a livello internazionale) su iniziativa di studenti e dottorandi nel settore delle scienze nucleari, in risposta al marasma di panico e disinformazione che seguì l’incidente di Fukushima nel 2011.
La sezione di Milano, oggi molto attiva, nasce tre anni fa su impulso di Davide Loiacono e Violetta Toto.
Ho parlato con Davide, che oltre che coordinatore del gruppo di Milano è attualmente dottorando presso il CNST (Center for Nano Science and Technology) del Politecnico di Milano e membro del consiglio direttivo di Nucleare e Ragione, per dare risposta ad alcune delle infinite domande che ci si potrebbe porre sul tema del nucleare.
Cos’è questo nucleare di cui tra i non addetti ai lavori si conosce e capisce poco e che in certi ambienti è innominabile? Perché è importante, o anzi fondamentale, se davvero si vuole costruire a livello globale un futuro più pulito, più green, più ecosostenibile? Davvero è così pericoloso come si sente spesso affermare (considerando che per inquinamento – particolato che include residui della combustione delle fonti fossili, ma anche altri fattori e polveri sottili – al mondo si stima muoiano milioni di persone ogni anno, di cui mezzo milione in Europa e il 7% in Italia, mentre, ad esempio, le morti in seguito al disastro di Chernobyl sono 65 accertate e presunte 4000)?
A Stand Up for Nuclear non sono tantissimi, perché la tematica è calda e non chiunque è disposto a esporsi. Alcuni sono frenati dalle aziende per cui lavorano e persino divulgatori scientifici con cui sono in contatto hanno difficoltà a rischiare di esporsi. Ora la situazione è migliorata ma fino a due tre mesi fa si rischiava la gogna mediatica. Non era facile.
SUFN, che ha delle idee molto forti e molto chiare, è però un’associazione apertissima al dialogo. Partecipa da qualche anno al KlimatFest che generalmente si tiene al Parco Nord di Milano e che, recita il suo statuto, ha la finalità di “mettere a sistema le sempre più numerose sollecitazioni in tema di emergenze climatica e ambientale che arrivano da Organizzazioni, Associazioni, Comitati e singole persone”. Quest’anno i ragazzi di SUFN sono stati accolti da cartelli di Greenpeace che riportavano slogan contro il nucleare. Ma SUFN ribatte: “Greenpeace ha molto eco mediatico e tende a fare divulgazione scorretta, non inserendo fonti accreditate, cosa che noi cerchiamo sempre di fare. Bisognerebbe sempre parlare in maniera coscienziosa portando dati validi e scientificamente corretti per non cadere nell’ambito delle opinioni. Così si ostacola il progresso. Infatti, uno degli scopi dell’associazione è fare informazione in modo corretto e sostenuta dai dati.”
Fridays for Future invece è più aperta nei loro confronti. Per loro SUFN ha svolto otto giornate di formazione, senza l’obiettivo di convincere nessuno a schierarsi dalla loro parte, semplicemente di presentare un quadro dello stato di fatto. Nel movimento di Fridays for Future, che è un movimento popolare di vastissima affluenza, non c’è un’uniformità ideologica.
L’IPCC (International Panel on Climate Change) afferma chiaramente che se si vuole bloccare il cambiamento climatico, bisogna arrivare a emissioni nette di CO2 pari a zero: per eliminare il CO2 è necessario il nucleare.
Per questo, spiega Davide Loiacono, «io posso capire quando uno mi dice che il nucleare non deve tornare in Italia perché le amministrazioni non sono pronte a gestirlo, è un tema politico dopotutto, ma non posso accettare che globalmente non si includa il nucleare nel mix energetico. Per come stanno le cose, per poter rallentare o arrestare il cambiamento climatico, c’è bisogno del nucleare. Non se ne esce. L’alternativa sarebbe l’abbattimento totale dei consumi, ma non mi sembra che questa sia la direzione in cui va il mondo.»
Secondo te Davide, come mai all’ONU si ricomincia a parlare di nucleare proprio ora, dopo circa vent’anni di esclusione dal dibattito?
Il dibattito sul nucleare si riapre proprio adesso perché la consapevolezza climatica e la sensibilità nei confronti del tema della salvaguardia del pianeta è oggi più che mai presente nella popolazione. Una fonte di energia che non produce CO2 fa molta gola.
Dal punto di vista tecnologico ci sono stati avanzamenti, nuove proposte per reattori sempre più sicuri ed efficienti.
Inoltre, gli Stati Uniti negli ultimi anni sono tornati a investire sull’energia nucleare con il sostegno dell’opinione pubblica e al momento sono il primo stato per potenza nucleare installata al mondo.
Si può dire che il nucleare sia green?
Il nucleare è una modalità di produzione di energia che si può definire green, pulita, poiché non produce anidride carbonica e ha una capacità di produrre energia molto superiore a tante altre. Nell’ottica di un futuro in cui la popolazione continua a crescere e lo sviluppo, ci si auspica, avviene in tutti i paesi in maniera più o meno uniforme, il nucleare necessariamente deve acquistare rilevanza per la società.
Cosa risponderesti al recente commento di Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica 2021, che pare escluda categoricamente la possibilità del ritorno al nucleare in Italia a causa della densità di popolazione?
Io soffro molto quando in Italia i premi Nobel vengono trattati come se fossero onniscienti. Viene chiesto loro di tutto tranne ciò per cui hanno effettivamente ottenuto il premio.
In campo scientifico non vale il principio di autorità. Per quanto una persona sia esperta in un determinato campo, quel che può aver da dire su altre tematiche rientra nel campo dell’opinione, non è scienza, non è basata su dati raccolti o ricerche fatte. Parisi ha espresso un’opinione. Quel che sa del nucleare lo sa perché ha letto o approfondito da giornali o riviste, non perché l’ha studiato. È come se io, perché leggo qualche libro di filosofia, venissi intervistato in televisione come esperto del settore: cosa potrei effettivamente apportare al dibattito?
Parisi di fatto in questo periodo ha rilasciato interviste anche in ambito economico, durante le quali ha fatto affermazioni per cui è stato poi criticato da chi si occupa di economia a livello professionale.
Qualcosa di simile accadde con Carlo Rubbia (premio Nobel per la fisica nel 1984 e senatore a vita dal 2013 ndr), che a un certo punto ha affermato che secondo lui il cambiamento climatico non ha origini antropiche, il che ha portato a una bufera mediatica. Lui però non è un climatologo e per quanto ci sia dibattito anche tra gli stessi climatologi in fatto di origini e motivi del cambiamento climatico, quella di Rubbia resta pur sempre un’opinione di un non addetto ai lavori.
La scienza è bella perché c’è un grande dibattito. Ma ci sono ipotesi che sono verificate dai dati e vengono accettate dalla maggioranza. Se 90 su 100 affermano una cosa avendola verificata col metodo sperimentale, l’uno indipendentemente dall’altro e aldilà di opinione esterne, io, che conosco il mondo della ricerca, mi fido di quelle 90.
Poi, riguardo al cambiamento climatico, potrebbe essere che tra dieci anni emergono nuovi dati che ci dicono che non è di natura antropica, ma per ora le informazioni che abbiamo dimostrano altro.
Cos’è cambiato in Italia dall’’87? Che effetti sta avendo o ti aspetti che avrà la cop26 sul dibattito sul nucleare in Italia?
Noi qualche mese fa abbiamo fatto con SWG un sondaggio a livello nazionale. Ne è emerso che un 33% della popolazione è propensa al nucleare in Italia. L’opinione pubblica è diventata più favorevole al nucleare dopo le dichiarazioni di Cingolani (ministro della Transizione Ecologica ndr) che ha detto che non si può pensare a una transizione senza il nucleare. Infatti il nucleare va incluso nella Tassonomia EU, e sul sito Nucleare e Ragione, tra le altre cose, spieghiamo anche questo.
Oltre alla produzione di energia, scienza e tecnologia nucleari che ruolo hanno nel processo di adattamento ai cambiamenti climatici? Grossi, direttore generale della International Atomic Energy Agency, ha evidenziato alcuni esempi di come le tecniche nucleari vengono applicate per adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici, come il monitoraggio e la quantificazione del carbonio, dell’acqua e del movimento dei nutrienti e l’induzione della variabilità delle colture per renderle tolleranti alla siccità, alla salinità o ai parassiti: cosa vuol dire?
Quando si parla di nucleare si pensa generalmente solo alla produzione di energia da fissione. In realtà le tecnologie basate sul nucleare sono molteplici e toccano vari aspetti della vita dell’uomo: ad esempio, il nucleare viene utilizzato in ambito medico, per diagnostica (ci sono diverse tecniche che usano i radioisotopi prodotti in laboratorio che essendo radioattivi rientrano nella branca del nucleare) e trattamento (ad esempio la radioterapia).
Ci sono una serie di strumenti che sfruttano la radioattività. Un elemento radioattivo emette particelle facilmente rilevabili. Inserendo tale elemento all’interno di un sistema si è in grado di tracciarlo per il suo decadimento radioattivo. Ad esempio, il C14, che si usa per datare ciò che ha origini o componenti organiche. Elementi radioattivi come il Ca47 vengono usati anche per studiare l’evoluzione della calcificazione dei coralli nel mare al variare della quantità di anidride carbonica: l’elemento radioattivo si integra nella struttura del corallo e si è in grado di mappare il calcio osservando il decadimento radioattivo. Simile a questa tecnica ce ne sono innumerevoli altre.
In campo agroalimentare ad esempio.
Ci sono una serie di alimenti che noi consumiamo quotidianamente, come il pompelmo rosa che nasce da una mutazione genetica radio indotta: si usano fasci di neutroni lenti per irradiare i semi di pompelmo. Trattandosi di mutazioni spontanee, questo strumento non rientra nella definizione di OGM. Questo si è fatto anche con altri tipi di alimenti (lo spiega bene Dario Bressanini nella sua rubrica “Scienza in Cucina”). Probabilmente se fosse più diffusa la consapevolezza di questa origine nucleare ci sarebbe molta polemica, come sul tema degli OGM.
Tecniche di ambito nucleare si usano anche per gestire i parassiti sterilizzando ad esempio la popolazione maschile e rallentando quindi la riproduzione della specie in quella determinata zona di coltura. Con altre tecniche come la radiografia a neutroni o spettroscopia di risonanza magnetica nucleare è possibile controllare la distribuzione d’acqua nel campo agricolo, ottimizzando il consumo di risorse.
Sul sito dell’IAEA vengono frequentemente pubblicati articoli che spiegano come il nucleare entra nella vita quotidiana.
In cosa consiste la maggiore sicurezza degli impianti nucleari a fissione di quarta generazione?
I reattori di nuova generazione nascono da un forum internazionale promosso dagli USA da luglio 2002 e a cui partecipano diversi altri stati per selezionare tra oltre 100 progetti, quelli che meglio potessero garantire gli obiettivi di sostenibilità, economicità, sicurezza e affidabilità, resistenza alla proliferazione nucleare e la protezione fisica.
Ne sono stati scelti sei che hanno appunto come primo obiettivo quello della sicurezza. Lo scopo è di affidarsi a sistema di sicurezza passivi, che si differenziano da quelli tradizionali, attivi, che sono alimentati elettricamente e sono dipendenti dall’intervento umano. Appena si verifica una problematica nel reattore il sistema di sicurezza passiva, invece, che viene attivato da fenomeni fisici come la gravità, entra in azione senza intervento esterno e senza bisogno di dispositivi elettrici.
I generatori di IV generazione fanno quindi affidamento su sistemi di sicurezza passiva e su altre diverse migliorie strutturali: ad esempio uno di questi utilizza come liquido refrigerante il piombo fuso. Il piombo, se viene a mancare la corrente nella centrale, si solidifica inglobando e trattenendo il combustibile nucleare, impendendo sia esplosioni che rilascio di scorie radioattive.
Oltre a questo enorme vantaggio però il piombo presenta anche alcuni problemi su cui si deve lavorare. Ad esempio, è molto corrosivo di altri metalli come l’acciaio. Ogni reattore comunque ha determinate specifiche. Ci sono numerosissimi strumenti di sicurezza di back-up.
Un sistema di sicurezza passiva a Fukushima avrebbe evitato le conseguenze disastrose provocate dallo tsunami sulla centrale nucleare?
A Fukushima successe qualcosa di molto particolare. Ci fu una concatenazione sfortunata di eventi. La centrale resistette al terremoto, i problemi iniziarono con lo tsunami.
In breve: quando inizia il terremoto la centrale va in spegnimento automatico perché viene programmata in questo modo. La centrale inizia quindi a spegnersi. La produzione di calore però deve essere controllata, poiché lo spegnimento non è immediatamente completo, le reazioni che sono a catena, infatti continuano e si esauriscono gradualmente. Bisogna che circoli intorno al nocciolo un materiale in grado di raffreddarlo. Cosa è successo? Le onde dello tsunami del 2011 erano alte oltre 10 metri e viaggiavano a 750km/h. Una di queste onde, di oltre 14 metri di altezza arrivò a colpire gli edifici dei reattori. Si allaga la zona alla base, dove sono posti i motori diesel, che servono a fare circolare il liquido refrigerante, che smettono quindi di funzionare interrompendo così il raffreddamento. L’aumento di temperatura provocò l’aumento della pressione e quindi poi lo sfondamento dei recipienti del combustibile.
Il livello di potenza dello tsunami non era prevedibile, al momento della progettazione ci si basa su probabilità che vengono calcolate in base allo storico degli eventi. Si fa un ragionamento su rischi e benefici.
Di fatto in ogni attività esiste sempre un rischio, che noi più o meno consciamente ci assumiamo.
Come si stabilisce che una centrale arriva a fine vita?
Come per ogni manufatto edilizio o infrastruttura ci sono fenomeni che provocano ’invecchiamento. In particolare, tre sono le cause nel caso dei reattori: degrado, deterioramento e corrosione di componenti, obsolescenza delle apparecchiature, degrado stesso dei materiali che compongono la struttura, sottoposti allo stress termico e al bombardamento neutronico.
Dal punto di vista delle tecnologiche, che sono in continuo avanzamento, l’invecchiamento non è un problema perché si può intervenire con migliorie.
La vita media di una centrale è di 40-50 anni. Le centrali che dovrebbero iniziare a spegnersi ora non vanno in disuso, vengono bensì rimodernate per rientrare poi in funzione. Si cerca di allungarne il ciclo di vita.
L’industria nucleare è comunque una delle più regolamentate a livello internazionale tramite l’IAEA. In tutte le nazioni con cui collabora mettendo a disposizione le proprie conoscenze per la realizzazione di centrali nucleari stabiliscono degli accordi: viene garantito dal governo del paese che gli ispettori dell’Agenzia possono in qualsiasi momento visitare le centrali per controlli di sicurezza, anche dal punto di vista della produzione di armi nucleari, che si possono realizzare con parte del combustile esausto delle centrali.
Ci sono diversi accordi internazionali (accordi START) per limitare o diminuire la produzione di armi nucleari, per cui in alcuni paesi ne risulta vietata la produzione. Ma un conto è che la nazione assicuri che non li produce e un conto è che un ente esterno abbia effettivamente il potere di verificarlo. L’IAEA, essendo un’agenzia sovra governativa non dipende da influenze politiche, garantisce mediante controlli casuali delle centrali l’utilizzo civile e pacifico del nucleare.
Small nuclear reactors (con meno di 300MW di potenza): perché sono più sicuri?
Essendo piccoli, hanno meno potenza e sono quindi meno pericolosi. Oltre a questo, sono anche meno costosi, quindi più facilmente finanziabili, oltre che producibili in serie mediante prefabbricazione.
Il combustibile esausto contiene ancora il 95% dell’energia iniziale, perché finisce “così presto” la sua attività di combustibile?
Il reattore nucleare funziona in maniera semplice: input positivi innescano una reazione che produce energia che sistemi di sicurezza sono in grado di contenere. Dopo aver esaurito il 5% circa dell’energia inizialmente contenuta nel combustibile, si preferisce smettere di usarlo perché i sistemi di controllo attuali hanno da quel punto in poi un margine di manovra più limitato. Non si vuole rischiare di incorrere in malfunzionamenti.
La preoccupazione inerente alla gestione dei rifiuti nucleari resta a tutt’oggi uno dei fattori che maggiormente alimentano la contrarietà dell’opinione pubblica all’energia nucleare. Attualmente quali sono le possibilità di gestione di tali rifiuti?
Il combustibile esausto si può trattare in diversi modi. Si può trattare come un rifiuto. Per cui si impacchetta e si deposita da qualche parte.
Oppure si può cercare di estrarne l’energia che ancora rimane. In questo caso si parla di riprocessamento, che consente di recuperarne il 97%.
Il riprocessamento dei rifiuti radioattivi consente di ottenere nuovo combustibile da quello esausto, oltre a ridurre di molto sia l’attività sia la quantità del rifiuto da smaltire in via definitiva.
Al mondo esistono sette impianti di riprocessamento, operativi o in costruzione, il più grande di essi si trova in Francia, a La Hague – ed ha una capacità di 1700 tonnellate annue.
Dal riprocessamento di plutonio e uranio è possibile ottenere il MOX (mixed oxide fuel).
Il processo inizia con una fase di raffreddamento del combustibile vecchio di qualche giorno in apposite piscine; si trasporta poi all’impianto di riprocessamento in cui vengono separati tra loro tutti gli elementi. Si pulisce cioè il combustibile da elementi chimici inutili e lo si mescola con combustibile nuovo. Quel che si ottiene si può usare nelle centrali di IV generazione. Il rifiuto viene durante questo processo diviso in base al grado di radioattività di ogni suo elemento.
I rifiuti a più alta radioattività, high level waste, che rappresentano il 3% del volume totale ma contengono il 95% della radioattività, non possono al momento essere riutilizzati e devono per forza essere trattati con grandissima cura e isolati con barriere multiple. Le scorie vengono immobilizzate in matrici insolubili come vetro e ceramica, poi incorporate in contenitori metallici e sigillate in ulteriori contenitori di argilla e bentonite e finalmente sepolte in profondità. In questi depositi rimangono fino al loro completo decadimento. Il primo deposito permanente di scorie nucleari di questo genere è quello di Onkalo in Finlandia.
L’idea per il futuro è usare i neutroni dei reattori di IV generazione, che sono ad alta energia, per ridurre la radioattività del high level waste e poterlo poi riutilizzare come combustibile.
La questione nel deposito delle scorie viene discussa attualmente anche in Italia. L’Italia ha rifiuti nucleari che secondo la normativa europea devono essere gestiti dal paese che li ha prodotti. Finora noi li abbiamo affidati in via temporanea ad altri stati come la Francia. Si sta quindi parlando del Deposito Nazionale. Il 5 gennaio 2021 Sogin, società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, ha pubblicato la Carta Nazionale delle Aree potenzialmente Idonee per lo stoccaggio di scorie radioattive. Per la discussione a livello nazionale sono stati costituiti tavoli di dibattito regione per regione, a cui la popolazione stesa può partecipare esprimendo la propria opinione sulla possibilità di vedere costruito un deposito nel loro territorio. Lo scopo è individuare un unico sito a livello nazionale dove realizzare il deposito nazionale e un parco tecnologico, nel quale si svolgeranno anche attività di ricerca sul nucleare, il che rappresenterebbe un guadagno economico. Ci sono già alcune idee molto preliminari, emerse a seguito a un concorso indetto da Sogin. Il deposito sarà sotterraneo ma non geologico, come quello in Finlandia, che è definitivo. Si tratterebbe comunque di un deposito ancora temporaneo, quindi superficiale. Dal punto di vista tecnologico tutto è completamente sicuro. Sui siti di Sogin e del deposito nazionale è disponibile tutto il materiale finora prodotto e raccolto su questi temi, che sono quindi totalmente trasparenti. I prossimi passi saranno la pubblicazione della CNAI, Carta Nazionale delle Aree Idonee e la fase di realizzazione. Questo deposito va assolutamente fatto, oltre che per le scorie risalenti al passato delle centrali nucleari, anche per i rifiuti in costante produzione per attività di ambito medico e di ricerca.
Oltre all’energia di fissione c’è anche quella di fusione, finora non commercializzabile. Eni ha annunciato recentemente che ha realizzato il primo test a confinamento magnetico con tecnologia superconduttiva Hts, e prevede la realizzazione di un primo impianto a fusione entro il 2025, siamo davvero così vicini?
Eni effettivamente ha iniziato questa collaborazione con MIT. Sappiamo da decenni che la fusione è possibile ma non è mai stato verificato che una centrale a fusione nucleare possa fornirci energia. È una questione delicata. Quello che a livello nazionale si sta facendo, ad esempio attraverso il progetto ITER, è cercare di costruire un enorme reattore a Cadardache nel sud della Francia e capire se economicamente il processo possa essere vantaggioso. Fino ad ora quello che si è riuscito a fare è stato immettere nel reattore tantissima energia e ottenerne però solo un po’. Per ora l’energia prodotta è meno di quella investita. Se la prima accensione del plasma che dovrebbe avvenire nel 2025 e la seconda con il deuterio-trizio nel 2035, ci dicono che effettivamente si sarebbe in grado di produrre energia, avere cioè un output positivo di energia, allora si potrà iniziare a pensare di costruire nuove centrali a fusione (interessante video che spiega bene il progetto ITER ndr).
Sarà però comunque una tecnologia nuova ancora da strutturare. Prima di cinquanta, cento anni non si avrà un sistema di produzione di energia a fusione nucleare commercialmente utile e vantaggioso. Nel frattempo che facciamo? Si dice che bisognerebbe azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050. Considerando la quantità di CO2 che produciamo oggi è uno sforzo immane quello che andrebbe fatto.
E le rinnovabili non bastano in attesa dell’energia di fusione?
Alcuni propongono le fonti rinnovabili come soluzione ma queste hanno un problema: sono intermittenti e soprattutto, se si considera il solare, i picchi di produzione sono traslati rispetto ai picchi di consumo. La produzione che deriva dal solare, ad esempio, ha il suo massimo a mezzogiorno, momento in cui la maggior parte delle persone è in ufficio. La sera è quando solitamente si è tutti a casa, si accendono gli elettrodomestici e si consuma di più, ma in quel momento il pannello non produce più energia e è necessaria una fonte di back-up. Una soluzione potrebbe essere l’accumulo, quindi batterie, che però sono inquinanti da produrre: l’estrazione del litio col quale si realizzano i suoi componenti, sta iniziando a diventare problematica e lo smaltimento ha il suo peso ambientale. Il pannello solare ha una durata media di venti, trent’anni. È una tecnologia nuova e il problema della fase di fin di vita si pone oggi per la prima volta. Che si fa? Per ora si sotterrano, poiché non è economicamente conveniente il riciclo.
Il processo complessivo, insomma, dalla produzione all’utilizzo allo smaltimento, che era considerato pulito poiché non si produceva CO2, sta diventando sporco.
La soluzione al problema non è né facile né immediata. Anche il solare e l’eolico presentano diverse problematiche. Dall’estrazione mineraria allo sfruttamento dei lavoratori. Questi materiali infatti vengono principalmente estratti in paesi del terzo mondo, a volte mediante sfruttamento di minori. Il nucleare sarebbe un mezzo verso l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi Celsius, che si può o meno scegliere, in modo cosciente.
Come mai Fukushima ha avuto conseguenze a livello globale così importanti come la decisione tedesca di chiudere tutti gli impianti entro il 2022?
La Germania effettivamente ha scelto di chiudere gradualmente tutte le sue centrali in seguito all’incidente di Fukushima nel 2011. Si tratta di una scelta politica su cui ha influito la pressione sociale. A Fukushima di fatto c’è stata una sola morte per cancro attribuita alla radiazione e, in generale la radiazione non ha provocato grandi problemi di salute a nessuno dei coinvolti nell’incidente. Però, in Germania, poiché la popolazione ha avuto la percezione che il nucleare fosse molto pericoloso, ha fatto pressione affinché non venisse più usato. In Germania possono permettersi di chiudere gli impianti nucleari perché hanno enormi risorse minerarie. È anche più facile costruire centrali a carbone, per cui gli conviene anche economicamente e burocraticamente.
Quando hanno iniziato a spegnere centrali nucleari hanno anche iniziato a installare migliaia di pannelli solari che sono da allora in costante aumento, raggiungendo nel 2021 un output di oltre 55GW con l’obiettivo di superare i 100GW entro il 2030. La potenza installata ad oggi quindi è molto maggiore rispetto a quella che smantellata del nucleare. Il pannello solare però ha una potenza nominale di x Watt che non produce con continuità, bensì in maniera saltuaria. È evidente quindi che la Germania integra il carico di energia mancante con il carbone. Le emissioni infatti sono incrementate. Non è facile quindi fare affidamento prevalentemente sulle fonti rinnovabili per rispondere alla domanda di energia.
Soluzioni facili al mondo non esistono. Siamo davvero coscienti dei problemi che, ad esempio, portano con sé il solare o l’eolico?
Quest’estate sono stato in un paesino della Calabria dove la popolazione ha fatto pressioni per fermare la costruzione di una turbina eolica rumorosa. Le turbine eoliche deturpano infatti notevolmente il territorio, causano morti di animali, influiscono sul traffico aereo e significano inquinamento acustico. La turbina eolica in astratto è generalmente considerata qualcosa di positivo, ma quando si parla di costruirla nel tuo paesino la sua percezione cambia.
Quanto costa effettivamente il nucleare? Quanto conviene impegnarsi nella lotta per il suo ritorno in Italia?
A livello di costi il tema del nucleare è complicatissimo, per diversi motivi: chiunque voglia realizzare una centrale nucleare deve richiedere un finanziamento, un finanziamento per qualcosa che verrà costruito in un lungo arco di tempo. Il costo di un prestito così a lungo termine è maggiore rispetto ad altri. I primi guadagni, inoltre, si iniziano ad avere entro circa dieci anni dall’inizio dell’attività di costruzione. Anche per il fatto che una volta messo in moto il processo di realizzazione dell’impianto, c’è probabilmente una fetta di popolazione che una volta iniziati i lavori proverà ad ostacolarne il proseguimento, rallentando ulteriormente il tutto e allontanando il momento in cui l’investimento fatto porterà un ritorno economico positivo. Agli investitori tutto questo fa poca gola, è troppo rischioso.
Una centrale a carbone, ad esempio, rappresenta attualmente un investimento più sicuro e promettente nel breve periodo: dopo due, tre anni c’è già un ritorno economico.
Il nucleare è da considerarsi un investimento a lungo termine, il cui guadagno, più che economico, è di beneficio per l’ambiente e quindi, di fatto, per tutti noi.
Dipendendo dalla nazione poi l’iter burocratico prima di poter effettivamente iniziare a costruire un reattore è più o meno lungo.
L’Italia infine è un caso a sé stante. Qui è stata distrutta la struttura burocratica e gestionale del nucleare. Per crearne una nuova ci vorrebbero quindici o vent’anni. Per giunta manca ormai tutto l’apparato tecnico. C’è ancora gente che come me studia l’argomento e ha conoscenze teoriche ma a livello pratico siamo praticamente a zero.
Questo però non deve scoraggiare. L’obiettivo a cui noi di Stand Up for Nuclear miriamo va oltre la situazione italiana, riguarda il mondo intero. Per quanto in Italia il nucleare sia una prospettiva lontana, un cittadino italiano dovrebbe fare il tifo affinché si continui a costruirne in Francia. Come di fatto sta succedendo.
Macron ha infatti annunciato a ottobre 2021, che vuole costruire nuove centrali nucleari in Francia «per garantire l’indipendenza energetica» del paese e arrivare alla neutralità carbonica entro il 2050.
Ciò su cui bisogna focalizzarci è la riduzione media globale di anidride carbonica.
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