di Leonardo Servadio
Enrico Mattei vs. Vladimir Putin. Un confronto che può apparire assurdo: tempi lontani, contesti disomogenei. Ma è questo uno dei Leitmotiv che attraversano l’ultima opera di Aldo Ferrara, Enrico Mattei il visionario. Il tema riguarda il conflitto tra modi di intendere l’interesse della nazione: nell’un caso ricercando la collaborazione con altri Paesi secondo modalità che portano vantaggi a tutti, nell’altro caso perseguendo fini di potere attraverso la strumentalizzazione dei popoli: “Mattei agì per servire il suo Paese, Putin si serve del suo Paese tramite una rete oligarchica priva di scrupoli” scrive Ferrara. La coincidenza del sessantesimo dall’assassinio di Mattei con l’invasione in Ucraina e i ricatti della Russia verso chi dipende dai suoi gas e petrolio dà ragione del confronto.
Mattei fu ucciso da una bomba posta nell’aereo che il 27 ottobre 1962 lo portava a Milano dalla Sicilia, dove aveva appena annunciato che l’ENI avrebbe aperto pozzi, impianti industriali e scuole, come già aveva fatto altrove in Italia: “Tutto quello che è stato trovato qui è della Sicilia” e qui resterà. La certezza che si trattò di un attentato è giunta solo nel 2017, 55 anni dopo il fatto, grazie alle indagini condotte dal magistrato Vincenzo Calia: una serie infinita di depistaggi aveva fino ad allora impedito che emergesse la verità, peraltro intuita da tutti. Com’è noto Mattei, dopo essere stato un capo dei Partigiani cattolici, nell’immediato dopoguerra fu incaricato della dismissione dell’Agip ma, invece di chiuderla, si fece aiutare dall’ex direttore dell’azienda, sebbene questo fosse stato epurato in quanto fascista, per aprire pozzi di gas in valle Padana. Convinse il governo a non chiudere l’Azienda generale italiana petroli e nel ‘53 diede vita all’Ente nazionale idrocarburi, che allargava le capacità operative nella ricerca e nello sfruttamento di fonti energetiche a livello internazionale per conto dello Stato italiano.
Si era in piena era del petrolio, il cui mercato era dominato dalle Sette sorelle, le grandi compagnie private in prevalenza angloamericane che avevano monopolizzato l’estrazione dell’oro nero. L’Eni ruppe quel monopolio: Mattei attivò un sistema di collaborazione con i Paesi ricchi di giacimenti. Mentre le Sette sorelle li sfruttavano malamente, lui lasciava loro il 75 percento del ricavo e inoltre vi trasferiva know-how e favoriva gli scambi culturali. Grazie a Mattei l’Italia attivò una vera e propria diplomazia di pace, secondo modalità care al suo amico La Pira, fondata sulla collaborazione verso Paesi quali l’Iran, l’Egitto, l’Algeria, la Libia, la Russia. Mattei non conosceva frontiere ideologiche. Rifiutava l’etichetta di capitalista e sosteneva l’importanza dell’industria pubblica per temperare gli egoismi dei mercati: non avrebbe accettato la privatizzazione che ha cambiato il volto dell’ENI.
Ferrara ne parla con l’affetto di chi lo conobbe da ragazzo, quando Mattei andò nella sua Sicilia e, da politologo, nota come sarebbe diversa l’Italia se non fosse stato eliminato. Non era un magnate del petrolio: così come promosse l’energia nucleare, avrebbe promosso anche altre energie alternative, di cui tanto si parla ma poco si fa. Con lui vivo, l’Italia non sarebbe caduta sotto il ricatto dei monopoli stranieri. E la Sicilia potrebbe fungere da baricentro di un Mediterraneo dove, dopo gli incendi delle Primavere arabe, Russia e Turchia esercitano un peso determinante.
Aldo Ferrara, Enrico Mattei il visionario (Agorà & Co, pagine 184, euro 20,00)
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