di Domenico Maceri
“Un Paese santuario che ignora le leggi” verrebbe creato se il disegno di legge del Senato sulla riforma migratoria fosse approvato. Lo ha dichiarato il procuratore generale degli Stati Uniti Jeff Sessions contribuendo a politicizzare il dipartimento da lui diretto come aveva detto parecchie volte il suo capo Donald Trump.
Sessions commentava la proposta bipartisan del Senato che avrebbe risolto la tragica situazione dei “dreamers”, giovani portati in America da bambini dai loro genitori senza autorizzazione legale. Si tratta di individui cresciuti negli Stati Uniti, americani a tutti gli effetti eccetto per i documenti, i quali hanno ricevuto un permesso temporaneo legale di rimanere negli Stati Uniti da Barack Obama mediante il suo ordine esecutivo “Daca”. Trovare una soluzione permanente per la loro situazione non è facile dato che i politici li vogliono usare per portare l’acqua al loro mulino.
Il piano bipartisan della cosiddetta Common Sense Coalition, citato da Sessions, era arrivato vicino ad essere approvato ma non ha ricevuto i 60 voti necessari (54 sì, 45 no). Quarantasei senatori democratici e otto repubblicani hanno votato a favore. Si trattava di un compromesso che avrebbe offerto permanenza ai beneficiari del Daca e dopo una decina di anni anche la cittadinanza americana. Avrebbe allo stesso tempo incluso 25 miliardi in dieci anni per la costruzione del muro al confine col Messico tanto desiderato da Trump.
Il 45esimo presidente in una riunione con un gruppo di legislatori bipartisan aveva detto che avrebbe firmato qualunque disegno di legge i presenti gli avessero presentato. Poi, come è solito fare, ha cambiato idea. Nel disegno di legge fallito Trump ci ha messo del suo per silurarlo. Il senatore Lindsey Graham, repubblicano della South Carolina, ha addossato la colpa a Stephen Miller, consigliere di Trump, per le sue vedute ultra conservatrici che hanno influenzato la Casa Bianca.
Un altro piano sponsorizzato dal senatore Charles Grassley, repubblicano dell’Iowa, molto vicino alle idee di Trump, è stato anche bocciato dalla Camera alta in maniera più schiacciante (60 no, 39 sì). Dopo questi esiti negativi un gruppetto di senatori ha suggerito una soluzione temporanea che estenderebbe di tre anni la protezione ai “dreamers” e stanzierebbe allo stesso tempo tre anni di fondi per la protezione del confine. Si tratterebbe di una soluzione per comprare tempo e cercare di rimandare la data di scadenza del 5 marzo imposta da Trump con la sua revoca dell’ordine esecutivo di Obama. Fino ad ora poco entusiasmo è stato dimostrato per questa strada anche per il fatto che la scadenza del 5 marzo sembra essere divenuta meno definitiva considerando l’ingiunzione di due giudici che hanno ordinato l’amministrazione di Trump di tenere attivo il Daca almeno temporaneamente. Si crede che la vera scadenza sarebbe rimandata a giugno.
A intorbidire le acque per la sicurezza dei “dreamers” bisogna aggiungere tutte le altre situazioni di crisi che Trump e la legislatura devono affrontare. L’ennesima sparatoria in un liceo in Florida che ha causato la morte di 17 persone sembra avere fatto traboccare il vaso e sono state convocate dimostrazioni studentesche per limitare il facile accesso delle armi da fuoco.
Ma l’altra preoccupazione per Trump è l’incriminazione di 13 cittadini russi e tre organizzazioni russe nel corso delle indagini del Russiagate sulle interferenze nell’elezione americana del 2016. Il 45esimo presidente ha sempre sostenuto che le indagini di Robert Mueller, procuratore speciale, non sono altro che una caccia alle streghe perché Vladimir Putin gli aveva assicurato che i russi non avevano interferito nella democrazia americana. Ora si ha la prova che Trump non si vuole informare o che ha mentito. Comunque sia, l’ombra del Russiagate occuperà la sua mente e i “dreamers” andranno a finire nel dimenticatoio.
I democratici erano riusciti a mettere la situazione dei “dreamers” in primo piano quando nel mese di gennaio usarono la questione dello “shutdown” del governo di tre giorni ottenendo una promessa che la questione sarebbe stata presa in serie considerazioni. Poi i democratici hanno accettato di aumentare il tetto delle spese federali di due anni perdendo così la loro arma per mettere pressione sui repubblicani.
Lo scontro per l’attribuzione della colpa per il mancato accordo è già cominciata. Trump e i repubblicani accusano i democratici perché intransigenti ma alla fine il Grand Old Party (i repubbliani) dovrà assumersi le responsabilità, poiché controlla la Casa Bianca e le due Camere. Considerando l’aspra retorica contro gli immigranti di Trump durante la campagna elettorale e le sue recenti asserzioni sui Paesi “di m…da” c’è poco da sperare. Certo, se i “dreamers” avessero lobby potenti sarebbero loro la priorità per il governo…
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