Come è noto, il 7 ottobre 2023 Hamas e altre organizzazioni terroristiche hanno attaccato il sacro suolo di Israele uccidendo 1200 cittadini e soldati e rapendo circa 240 civili. Le Forze di Difesa israeliane hanno risposto con massicci bombardamenti che, al momento, hanno coraggiosamente annientato oltre 15000 civili palestinesi, tra cui 7000 bambini terroristi (gli scienziati stanno ancora discutendo su come sia possibile che un bambino di due o tre anni possa essere un terrorista, ma studi recenti sembrano indicare che la propensione al terrorismo dei bambini palestinesi abbia spiegazioni genetiche). Per questo motivo vorrei fare una proposta, una modesta proposta per evitare che i figli dei palestinesi di Gaza e della Cisgiordania siano un peso per i loro genitori o per i cittadini israeliani, e per renderli utili alla collettività.

Chi passeggia per Gaza City o viaggia nella Striscia vede con tristezza le vie e le porte delle baracche che fungono da abitazione affollate di mendicanti di sesso femminile, seguiti da tre, quattro o sei bambini, tutti vestiti di stracci, che chiedono l’elemosina a ogni passante. Queste madri, invece di poter lavorare per il loro onesto sostentamento, sono costrette a impiegare tutto il loro tempo a elemosinare per i loro bambini indifesi che, crescendo, diventano terroristi, ladri per mancanza di lavoro, o lasciano il loro caro Paese natale, per combattere per lo Stato Islamico, o militare in movimenti estremisti.

Penso che tutti siano d’accordo sul fatto che questo numero prodigioso di bambini in braccio, o sulle spalle, o alle calcagna delle loro madri, e spesso dei loro padri, sia, nell’attuale deplorevole situazione di Israele, un ulteriore problema aggiuntivo; e quindi chi riuscisse a trovare un metodo equo, economico e semplice per rendere questi bambini utili alla comunità, dovrebbe essere considerato un benemerito della società tanto da meritare una statua come salvatore della nazione. Ma la mia intenzione è ben lungi dal limitarsi a provvedere solo ai figli dei terroristi professi: è di portata molto più ampia e comprenderà l’intero numero di bambini di una certa età, nati da genitori palestinesi in effetti poco capaci di mantenerli, come quelli che chiedono la nostra carità per le strade.

Per quanto mi riguarda, dopo aver riflettuto per molti anni su questo importante argomento e aver soppesato a lungo i vari progetti dei nostri maggiorenti, ho sempre trovato che essi compivano errori grossolani nei loro calcoli. È vero che un bambino appena partorito dalla madre può essere mantenuto dal suo latte per un anno intero, con poco altro nutrimento, spendendo soltanto qualche dollaro, che la madre può certamente ottenere con la sua legittima occupazione di mendicante; ed è proprio a un anno di età che propongo di provvedere a loro in modo tale che, invece di essere un onere per i genitori, la sinagoga o la moschea, contribuiscano al nutrimento e in parte al vestiario di molte migliaia di persone.

C’è anche un altro grande vantaggio nel mio progetto, che impedirà quegli aborti volontari e quell’orribile pratica delle donne che uccidono i loro figli bastardi, ahimè troppo frequente tra noi, sacrificando i poveri bambini innocenti, temo più per evitare le spese del sostentamento che per la vergogna. Una situazione che susciterebbe lacrime e pietà nell’animo del più crudele degli uomini. Poiché il numero di anime nella Palestina occupata è di solito stimato in 3,2 milioni, calcolo che ci possano essere circa duecentomila coppie le cui mogli sono in età fertile; da questo numero sottraggo trentamila coppie che sono in grado di mantenere i propri figli (anche se ritengo che non possano essere così tante nelle attuali condizioni di disagio dello Stato), ma ciò concesso, rimarranno cento e settantamila riproduttori. Ne sottraggo ancora cinquantamila, calcolando quelle donne che abortiscono o i cui figli muoiono per incidente o malattia entro l’anno. Rimangono quindi centoventimila figli di genitori terroristi che nascono ogni anno.

Si tratta allora di capire come allevare e mantenere questo numero di bambini, cosa che, come ho già detto, nella situazione attuale è assolutamente impossibile con tutti i metodi finora proposti. Non possiamo infatti impiegarli nell’artigianato o nell’agricoltura; non possono costruire case (intendo in campagna) né coltivare la terra: raramente riescono a guadagnarsi da vivere rubando prima del raggiungimento dei sei anni, a meno che non operino in zone particolarmente ricche, anche se sembra che apprendano i primi rudimenti molto prima. Durante questo periodo, tuttavia, possono essere considerati solo degli apprendisti, come mi è stato riferito da un signore della città di Haifa, che mi ha garantito di non aver mai conosciuto più di uno o due casi di bambini al di sotto dei sei anni, anche in quelle aree rinomate per il rapido apprendimento dell’arte del furto con destrezza.

I nostri mercanti mi hanno assicurato che un ragazzo o una ragazza palestinese, prima dei dodici anni, non è merce vendibile, e anche quando raggiungono questa età, non rendono più di 200 dollari, al massimo; il che non può fruttare né ai genitori né allo Stato, dato che il costo per alimentarli e degli stracci che li coprono è almeno quattro volte tanto. Ora quindi proporrò umilmente le mie riflessioni, che spero non sollevino la minima obiezione. Mi è stato assicurato da un americano molto informato di mia conoscenza a Tel Aviv che un bambino giovane e sano, ben allattato, è, a un anno di età, un cibo nutriente e salutare molto delizioso, sia in umido, che arrosto, al forno o bollito; e non dubito che possa essere ugualmente gustoso se cucinato in fricassea o usato per un saporito ragù.

Perciò oso umilmente proporre che dei centoventimila bambini già calcolati, ventimila possano essere riservati per la riproduzione, di cui solo un quarto saranno maschi; il che è più di quanto concediamo alle pecore, ai bovini o ai maiali, e la mia ragione è che questi bambini sono raramente il frutto del matrimonio, una circostanza non molto considerata dai nostri selvaggi, per cui un maschio sarà sufficiente per servire quattro femmine. Propongo che i restanti centomila possano, a un anno di età, essere offerti in vendita alle persone benestanti, in Israele e nei territori occupati, consigliando sempre alla madre di allattarli abbondantemente nell’ultimo mese in modo da renderli ben pasciuti e grassi e fare così una bella figura su una tavola elegante. Un solo bambino servirà per due portate in occasione di un evento conviviale con amici, e quando la famiglia cenerà da sola, il quarto anteriore o posteriore costituirà un piatto adeguato e, condito con un po’ di pepe o di sale, sarà molto buono bollito anche a metà settimana, soprattutto in inverno.

Ritengo che un bambino appena nato pesi 12 libbre e che in un anno solare, se allattato bene, aumenterà fino a 28 libbre. Questo cibo sarà un po’ caro, e quindi molto adatto ai dominatori che, avendo già divorato la maggior parte dei genitori, sembrano avere tutti i diritti per papparsi anche i loro figli. La carne dei bambini sarà di stagione durante tutto l’anno, ma più abbondante intorno al mese di marzo; infatti un esperto autorevole, un eminente medico arabo, ci dice che essendo il pesce un cibo che rende più prolifici, nascono molti più bambini a Gaza e nei territori occupati dopo il Ramadan, che in qualsiasi altra stagione. Pertanto, calcolando un anno dopo il Ramadan, i mercati saranno più riforniti del solito, visto che il numero di neonati palestinesi sta crescendo molto rapidamente nello Stato di Israele. La mia proposta presenta inoltre il vantaggio collaterale di far diminuire il numero di palestinesi tra noi.

Ho già calcolato che l’onere di allattare un bambino povero (nel cui elenco inserisco tutti i braccianti, gli operai e i quattro quinti degli agricoltori) è di circa 10 dollari all’anno, inclusi gli stracci. E credo che nessun gentiluomo esiterebbe nel pagare trenta dollari per la carcassa di un bambino bello grasso che, come ho detto, sarà sufficiente per quattro portate di carne eccellente e nutriente, quando ha pochi ospiti o cena solo con la sua famiglia. In questo modo il gentiluomo imparerà a essere un buon padrone e diventerà popolare tra i suoi servitori palestinesi; la madre avrà 25 dollari di guadagno netto e sarà in grado di lavorare fino a quando non sfornerà un altro figlio. I più parsimoniosi (come devo confessare sia necessario con i tempi che corrono) possono scorticare la carcassa; la pelle della quale, trattata adeguatamente, fornirà morbidi guanti per le signore e stivali estivi per i signori più raffinati. Per quanto riguarda la nostra città di Gaza, si possono allestire strutture adeguate a questo scopo, nelle zone più adatte, e si può essere certi che non mancheranno i macellai; anche se io consiglio piuttosto di comprare i bambini vivi e di insaporirli adeguatamente, come si fa nel preparare la porchetta.

Una persona di alto livello, un vero amante del suo Paese e di cui stimo molto le virtù, si è recentemente compiaciuta, discutendo di questo argomento, di offrire un perfezionamento al mio progetto. Mi ha detto che molti gentiluomini dello Stato di Israele, dopo aver visto scomparire la cacciagione, ritenevano che alla carenza di carne di cervo si potesse supplire con la carne di ragazzi e fanciulle di età non superiore ai quattordici anni e non inferiore ai dodici, visto che, in tutti i territori occupati, un numero altissimo di loro rischia di morire di fame per mancanza di qualunque attività lavorativa. Questi giovani potrebbero essere messi in vendita dai loro genitori, se vivi, o altrimenti dai parenti più stretti. Ma con la dovuta deferenza verso un amico così eccellente e un patriota così meritevole, non posso essere del tutto d’accordo con i suoi sentimenti. Infatti, per quanto riguarda i maschi, il mio conoscente americano mi ha assicurato, per averlo sperimentato più volte, che la loro carne è generalmente dura e magra, come quella dei nostri liceali, a causa del continuo esercizio fisico, e il loro gusto è sgradevole, e ingrassarli non sarebbe sufficiente. Per quanto riguarda le femmine, poi, penso umilmente che sarebbe una perdita per la società, perché presto diventerebbero fertili; e inoltre, non è improbabile che alcune persone scrupolose potrebbero essere portate a criticare tale pratica, (anche se in effetti molto ingiustamente) come se sfiorasse la crudeltà che, lo confesso, è sempre stata per me la più forte obiezione contro qualsiasi progetto, per quanto ben intenzionato.

A giustificazione del mio amico, riferisco che questa proposta gli era stato messa in testa dal famoso Psalmanaazor, nativo della città di Pechino, che venne da lì a Tel Aviv, più di vent’anni fa, e che in una conversazione raccontò al mio amico che nel suo paese, quando veniva messo a morte un qualsiasi giovane, il boia vendeva la carcassa a persone altolocate come un vera prelibatezza; e che, ai suoi tempi, il corpo di una prosperosa ragazza di quindici anni, crocifissa per aver tentato di avvelenare l’Imperatore, fu venduto al primo ministro di Sua Maestà Imperiale e ad altri grandi mandarini della corte, smembrato sul patibolo stesso, a quattrocento corone. Né posso negare che se si facesse fare la stessa fine ad alcune floride ragazze di questa città, che se ne vanno in giro per teatri e luoghi pubblici senza mai sborsare un centesimo, non sarebbe poi una gran perdita.

Ho divagato troppo a lungo e quindi tornerò al mio argomento. Ritengo che i vantaggi della proposta che ho avanzato siano evidenti e numerosi, oltre che della massima importanza. In primo luogo, come ho già osservato, diminuirebbe di molto il numero dei palestinesi, da cui siamo letteralmente invasi, data la loro altissima prolificità. Costoro sono i nostri più pericolosi nemici, e rimangono in patria di proposito con il progetto di liberare lo Stato da tutti gli ebrei, sperando di trarre vantaggio dall’assenza di tanti cittadini, che hanno scelto di lasciare il loro Paese, piuttosto che rimanere in patria e pagare tasse che vanno contro la loro coscienza a un governo dominato da fanatici religiosi.

In secondo luogo, i palestinesi più poveri avranno qualche entrata, che per legge potrà essere sottoposta a pignoramento e contribuire quindi a pagare l’affitto del padrone di casa, dato che la produzione agricola e il bestiame sono già stati sequestrati dai coloni e il denaro è una cosa che non hanno mai visto. In terzo luogo, poiché il mantenimento di centomila bambini, dai due anni in su, non può essere calcolato a meno di 34 dollari l’anno, questo risparmio farà crescere la ricchezza nazionale di 3,4 milioni di dollari l’anno, oltre ai profitti derivanti da un nuovo piatto, introdotto sulle tavole di tutti i gentiluomini in Israele e nei territori occupati, che abbiano una qualche raffinatezza di gusto. E il denaro circolerà tra di noi, essendo la merce interamente di nostra produzione. Quarto: i genitori dei bambini, oltre a guadagnare 30 dollari all’anno con la vendita dei loro figli, si libereranno dell’onere di mantenerli dopo il primo anno. In quinto luogo, questo alimento farebbe aumentare il giro d’affari dei ristoranti, dove gli chef faranno a gara per mettere a punto le migliori ricette per servirlo nel modo più appetitoso. Di conseguenza, i loro locali saranno frequentati da tutti i gentiluomini raffinati, che sono giustamente orgogliosi di essere dei buongustai. Senza considerare poi che un cuoco abile, che sa come soddisfare i suoi ospiti, farà loro pagare il prezzo adeguato.

Non riesco a immaginare nessuna obiezione che possa essere sollevata contro questa proposta, a meno che non si insista sul fatto che in questo modo il numero di persone nello Stato diminuirà di molto. Non ho nessun problema ad ammetterlo e, in effetti, questa era una delle finalità della proposta. Desidero che il lettore comprenda che la mia proposta è rivolta specificamente allo Stato di Israele e a nessun altro Paese che sia mai esistito, o che, credo, potrà mai esistere sulla Terra. Pertanto, nessuno mi parli di altri espedienti: di consumare soltanto merci di produzione nazionale, di rifuggire dai prodotti di lusso stranieri, di introdurre una politica di parsimonia, prudenza e temperanza, di imparare ad amare il nostro Paese, in cui differiamo persino dai lapponi e dagli abitanti di Topinamboo. Nessuno mi chieda di abbandonare le nostre animosità e le nostre fazioni e di non comportarci più come gli Ebrei, che si uccidevano l’un l’altro nel momento stesso in cui la loro città veniva presa, di essere un po’ più cauti nel non vendere la nostra patria e le nostre coscienze per niente, di insegnare ai padroni di casa ad avere almeno un minimo di pietà verso i loro inquilini. Infine, di infondere uno spirito di onestà, industriosità e abilità nei nostri negozianti, i quali, se si decidesse di acquistare solo merci nostrane, si unirebbero immediatamente per imbrogliarci sul prezzo e sulla qualità dei prodotti, visto che non sono mai stati in grado di fare una sola proposta equa di un giusto affare che fosse vantaggioso anche per il cliente, nonostante i ripetuti inviti ricevuti.

Perciò ripeto: nessuno mi parli di queste e altre proposte fino a quando non si possa sperare in un tentativo sincero e sentito di metterle in pratica. Ma, per quanto mi riguarda, dopo essermi affaticato per molti anni a proporre pensieri vani, oziosi e visionari, e aver perso la speranza di vederli accolti, mi sono fortunatamente imbattuto in questa proposta che, poiché è del tutto innovativa, ha qualcosa di solido e reale, di non costoso e di poco impegnativo, pienamente in nostro potere, e che non rischia minimamente di essere sconveniente per Israele. Questo tipo di merce, infatti, non è adatta per l’esportazione e la carne è di consistenza troppo tenera per poter essere conservata a lungo sotto sale, anche se forse potrei nominare un Paese che sarebbe felice di mangiarci in un solo boccone.

Dopotutto, non sono così fanaticamente fissato con la mia opinione da rifiutare qualsiasi offerta, proposta da uomini saggi, che si riveli ugualmente innocente, economica, facile ed efficace. Ma prima che qualcosa del genere venga proposto in contraddizione con il mio schema e che ne offra uno migliore, desidero che l’autore o gli autori si compiacciano di considerare seriamente due punti. Primo: allo stato attuale delle cose, come potranno trovare cibo e vestiario per centomila bocche inutili. In secondo luogo, visto che ogni forma di attività economica a Gaza viene bloccata da Israele, la maggioranza degli abitanti sopravvive soltanto grazie agli aiuti internazionali. Una riduzione significativa della popolazione palestinese è quindi nell’interesse di tutti. Desidero che i politici che non gradiscono la mia proposta, e che forse hanno il coraggio di tentare una risposta, chiedano prima ai genitori se oggi non riterrebbero preferibile vendere i figli a un anno di età, per finire sulle tavole dei ricchi, nel modo da me prescritto, e di aver così evitato loro il triste destino dei padri, oppressi dalla violenza dei coloni, dall’impossibilità di pagare l’affitto senza denaro o senza commercio, dalla mancanza di cibo e acqua, senza una casa o dei vestiti che li proteggano dalle intemperie e da miserie simili che incomberanno su di loro per l’eternità.

In tutta sincerità dichiaro di non avere il minimo interesse personale nel cercare di promuovere quest’opera necessaria, non avendo altro motivo che il bene pubblico di Israele, facendo progredire il suo commercio, provvedendo ai neonati, migliorando la condizione dei poveri e dando un po’ di piacere ai ricchi. Non ho figli per i quali possa sperare di ottenere un solo centesimo; il più giovane ha nove anni e mia moglie non ha più l’età per fare altri figli.

Galliano Maria Speri*

(L’articolo è arricchito da due incisioni di William Hogarth che seppe descrivere con realismo e partecipazione la terribili condizioni delle classi povere nella Londra del XVIII secolo. Ma se facciamo un confronto con quello che è oggi Gaza, i bassifondi londinesi ci appaiono come un paradiso terrestre)

*Sfortunamente, devo confessare che questa proposta non è proprio mia per cui devo ringraziare il dott. Jonathan Swift per l’idea originale che venne pubblicata nel 1729. Il pamphlet denunciava la situazione dei bambini poveri in Irlanda, allora una colonia sotto il dominio spietato della monarchia britannica. Io mi sono limitato a tradurre liberamente il testo originale, modificando alcuni nomi e operando qualche taglio, ma lasciando inalterato l’impianto dello scritto. Spero che l’appassionata denuncia del dott. Swift contribuisca a smuovere le coscienze e aiutarle a compiere il difficile passaggio dalla commozione ipocrita all’azione concreta.

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