Un viaggio intorno all’edilizia “popolare” sovietica del primo dopoguerra, sostanzialmente rispecchiava una società divisa in due, la nomenklatura e il popolo.
La nomenklatura (номенклату́ра) ovvero “elenco di nomi”, indicava in origine l’elenco delle posizioni o dei lavori di maggiore responsabilità, i cui occupanti dovevano essere approvati dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Per estensione o metonimia, il termine iniziò ad essere usato in modo figurato, per indicare le persone che occupavano effettivamente tali posizioni.
Concentrare la nomenklatura in pochi luoghi, permetteva a Stalin di spiarli o controllarli meglio, e con uno schema tipologico che permetteva facili retate, quando si dice la forma segue la funzione.
La genesi di questa architettura la possiamo rintracciare nel Дом на набережной “Casa sul lungofiume” , che aveva 505 appartamenti, due teatri e negozi al dettaglio, progettata dall’architetto Boris Iofan che visse a lungo nel palazzo, questo edificio divenne anche un edificio simbolo per lo stalinismo.
Quei simboli dell’architettura sovietica*
L’architettura sovietica non è solo un insieme di edifici simbolo dell’epoca. Ma anche una rappresentazione delle idee sociali dei leader che si sono succeduti alla guida del Cremlino. Di ciò sono testimonianza anche i nomi delle tipologie architettoniche, derivate dai nomi stessi dei politici: stalinki, khrushchevki, brezhnevki. I muri di questi edifici custodiscono la storia del collettivismo comunitario sovietico.
Le stalinki, o palazzi staliniani, erano edifici per abitazioni elitarie. Vennero costruite dalla fine degli anni ’30 fino alla metà degli anni ’50, prevalentemente in stile neoclassico. La caratteristica principale delle stalinki è data dalle dimensioni e dalla monumentalità. Soffitti alti fino a 2,9-3,2 metri, ampi davanzali, muri spessi. Dietro la facciata sontuosa, potevano tuttavia celarsi tramezzi tra una stanza e l’altra, costruiti con materiali scadenti e col tempo deperibili e tavolati di legno tra i piani. Il più delle volte gli appartamenti erano composti da 3-4 stanze. Le stalinki erano di due tipi: quelle destinate agli strati elevati della società sovietica e quelle per i lavoratori.
Nelle prime, costruite per la cosiddetta nomenklatura, vivevano prevalentemente funzionari di partito, dirigenti, alti gradi dell’esercito, funzionari dei servizi segreti ed eminenti rappresentanti dell’intelligencija tecnica e artistica. Le planimetrie erano ottimamente progettate, in molti appartamenti erano previsti locali a uso studio, camere per i bambini, biblioteche, stanze per la servitù, cucine spaziose, servizi igienici doppi. Inizialmente le dimensioni delle stanze erano grandi, con una superficie che andava dai 15 ai 25 metri quadrati, e talvolta persino 30, e negli appartamenti erano presenti anche locali di servizio. Di solito le case “dirigenziali” avevano uno stile architettonico classico e un décor sobrio, mentre gli edifici stessi erano imponenti con alti piani nobili. Questi palazzi erano intonacati e decorati con stucchi e venivano eretti nel centro della città, in prossimità di piazze. Il più delle volte erano costruiti su progetti individuali. Ora sono diventati una delle attrazioni della città.
Le costruzioni più modeste venivano prodotte per l’edilizia comunitaria.
Ogni kommunalka (appartamento in comune) poteva ospitare più famiglie che avevano in condivisione un gabinetto, un bagno e una cucina. Gli appartamenti in questi palazzi erano più piccoli e spesso avevano stanze comunicanti. Talvolta nei palazzi “a corridoio”, costruiti nel dopoguerra, non sono presenti stanze da bagno. Nello stile architettonico sono assenti quasi del tutto elementi decorativi superflui, le facciate sono quasi piatte con decorazioni standard. Queste tipologie di stalinki venivano costruite nei villaggi operai, accanto agli stabilimenti o nei quartieri periferici. In sostanza questi edifici erano una testimonianza della stratificazione sociale dell’epoca. L’uguaglianza proclamata esteriormente era in realtà una rappresentazione della società stessa, rigidamente divisa in due classi distinte.
Dal 1956 il numero di questi edifici diminuisce ed essi appaiono più semplici. Succeduto a Stalin, Nikita Krusciov si orienta su un’edilizia industriale di massa e le ultime stalinki vengono ormai costruite senza elementi decorativi di alcun genere. Dopo il 1960 la tipologia dell’edilizia abitativa di massa si trasforma. Ora tutti gli inquilini delle nuove abitazioni che vengono costruite sono davvero uguali. È giunta l’epoca delle khrushchevki. Nella quotidianità stalinki e khrushchevki diventano rispettivamente sinonimi di abitazioni di qualità ed elitarie e di abitazioni scomode a buon mercato.
Le khrushchevki sono case di 3-5 piani composte da piccoli appartamenti. I primi progetti di tali edifici comparvero alla fine degli anni ’40. Le prime varianti di questi edifici avevano tetti di mattoni e di ardesia, ma nello spirito della lotta contro ogni elemento decorativo superfluo, comparvero tetti piatti e bituminosi con minuscole soffitte. Le case avevano elementi strutturali in acciaio, sostituiti poi da quelli in cemento armato e in seguito anche dall’assenza di essi. Di fatto questi edifici erano più simili a un Lego i cui i pezzi venivano interamente assemblati in fabbrica e poi semplicemente montati in loco senza tener conto né dell’architettura circostante, né del paesaggio.
La durata di tali case non superava i 25 anni. Le autorità ritenevano di poter così risolvere a breve termine il problema dell’edilizia abitativa, ma l’esito è che queste case sono abitate tuttora. A Mosca si promette periodicamente di demolirle e di sostituirle con nuovi edifici, tuttavia continuano a restare in piedi e così nelle altre città russe minori. Con i prezzi elevati correnti del mercato immobiliare, le khrushchevki restano tra le meno inaccessibili, anche se il loro prezzo può ormai equipararsi a quello delle case in vendita negli altri paesi europei.
Malgrado tutti gli evidenti svantaggi, questa tipologia di abitazione è sempre stata la più ambita dai cittadini sovietici. Proprio in questi appartamenti traslocavano gli inquilini delle kommunalke. Le cucine minuscole, i soffitti bassi, il pessimo isolamento acustico e la presenza quasi costante di stanze comunicanti erano compensati dal fatto che nell’appartamento viveva solo una famiglia. Il primo quartiere costruito interamente con questa tipologia di abitazioni fu Cheremushki a Mosca. In seguito l’esperimento si diffuse in tutto il resto del paese. I quartieri così progettati erano talmente simili l’uno all’altro che anche oggi quando ci si ritrova in uno di essi è difficile identificare la città in cui si è.
Queste abitazioni si sono costruite in Russia fino al 1985.
La tappa architettonica successiva, seppure di breve durata, è quella contrassegnata dalle brezhnevki così battezzate dal nome del leader di turno alla guida del paese. Si tratta questa volta di grattacieli alti dai 9 ai 17 piani, assolutamente tipici. La qualità delle costruzioni è leggermente meglio di quella delle khuschevki, ma esteriormente sono la copia esatta di un’abitazione scomoda e disagevole. Le brezhnevki hanno anch’esse contribuito in certa misura a rendere lo spazio urbano anonimo e monotono, rinchiudendo le persone dentro piccole gabbie, e dettando in seguito, oltre le regole estetiche, criteri normativi e limiti definiti di progettazione senza digressioni creative. Tali regole, dopo esser sopravvissute per decenni, in un istante sono crollate insieme all’Unione Sovietica. Gli architetti hanno conquistato la libertà estetica, senza tuttavia riuscire finora ad allontanarsi da certe tipologie abitative e da una visione anonima delle città.
*Scritto da
Per approfondire:
https://it.rbth.com/longreads/arrivano_le_ruspe_addio_alle_khrushchevki/
https://khrushchevki.wordpress.com/category/khrushchevka/
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