Comincia a lacerarsi il muro di omertà che ha protetto i sauditi per decenni. Prestigiosi studiosi islamici collocano il radicalismo saudita al di fuori della comunità islamica. Da tempo è noto che i finanziamenti per gruppi violenti e moschee estremiste giungono dal mondo saudita, ora la follia omicida di Daesh rende urgente che tutto questo finisca.
di Galliano Maria Speri
Il quindicesimo anniversario dell’11 settembre è stato celebrato da poco ma non ha certo contribuito a fare chiarezza sul più grave attentato che ha colpito gli Stati Uniti e che, a sua volta, ha innescato una serie di guerre drammatiche che invece di “esportare la democrazia” hanno fatto esplodere il Medio Oriente e destabilizzato Pakistan ed Afghanistan. Uno dei pochissimi elementi assodati è stato il ruolo di terroristi sauditi: Bin Laden, la mente dell’operazione, era saudita, come pure 11 dei 15 componenti del commando. L’Arabia Saudita è notoriamente il principale finanziatore delle moschee estremiste che predicano la jihad contro gli infedeli e appoggia e diffonde il wahabismo, che, al pari del salafismo, rappresenta una visione radicale ed intollerante dell’islam che rifiuta qualsiasi forma di dialogo non soltanto con l’occidente ma anche con tutti gli islamici moderati.
La Freedom House, una fondazione statunitense che si occupa di difendere la democrazia e la libertà sia politica che religiosa, ha pubblicato già nel 2005 un rapporto di 89 pagine sulla propaganda diffusa dalle moschee finanziate negli USA dai sauditi. In un testo pubblicato dalle forze aeree saudite si legge che se un predicatore musulmano afferma che bisogna essere tolleranti con cristiani ed ebrei e non considerarli “infedeli” egli stesso “va considerato infedele” e poiché secondo la legge islamica gli apostati possono essere condannati a morte, questa è un’esplicita minaccia di morte agli imam che accettano il dialogo con le altre religioni.
Ma qualcosa si muove anche negli Stati Uniti. Il Congresso ha infatti approvato all’unanimità una norma dirompente che consente alle famiglie delle vittime dell’11 settembre di ricorrere in tribunale contro l’Arabia Saudita. Il Presidente Obama ha messo il proprio veto, ma tutti gli osservatori ritengono che il sostegno alla norma sia così forte che si raggiungerà la maggioranza necessaria a scavalcare il veto presidenziale e mettere l’Arabia Saudita di fronte alle proprie responsabilità.
C’è però un evento che assume un’importanza ancora maggiore ed è un incontro intitolato “Chi sono i sunniti?” a cui hanno partecipato più di cento personalità religiose sunnite (la corrente maggioritaria dell’islam) che si è tenuto dal 25 al 27 agosto a Grozny, la capitale della Cecenia, e cha ha visto delegazioni provenienti da Egitto, Turchia, Siria, Libano, Giordania, Russia, India, Sud Africa e Regno Unito. Scopo dell’incontro era di definire l’identità dei popoli sunniti e della comunità sunnita di fronte alla crescita del terrorismo che si rifà ad una visione fanatica e radicale dell’islamismo.
Uno degli oratori principali è stato Ahmed el-Tayeb, Grande Imam della moschea al-Azhar del Cairo ed ex presidente della omonima università, il più prestigioso centro dell’islamismo sunnita, che ha condannato con parole inequivocabili il radicalismo religioso che bolla come takfiri (apostati, miscredenti) tutti coloro che rifiutano le concezioni fanatiche del wahabismo e del salafismo. Questa è la dottrina proclamata dal sedicente Stato Islamico (Isis o Daesh, come è chiamato dagli arabi) ma è anche l’ideologia religiosa che domina l’Arabia Saudita che con i miliardi dei petrodollari l’ha esportata in tutto il mondo, costruendo moschee ed inviando propri predicatori. el-Tayeb ha definito questa concezione come una perversione dell’islam, che distorce la vera immagine di questa religione che, al pari di altre religioni, vieta di versare il sangue degli innocenti di attaccarli e di terrorizzarli. “Nell’Islam – ha affermato il religioso egiziano – chi devia da questa concezione moderata compie un grave crimine e rappresenta una corruzione sulla terra, poiché l’Islam prescrive di proteggere la società da questi effetti devastanti”. Come si vede, queste parole coraggiose vanno a colpire al cuore il radicalismo islamista che ha in Daesh il braccio armato e nel regno saudita l’ispiratore e finanziatore. “Nell’Islam – ha proseguito el-Tayeb – la predicazione deve usare saggezza e conversazione razionale che non insulti gli altri o le loro credenze. Il Corano stesso afferma che nella religione non può esserci costrizione”. Ahmed el-Tayeb è arrivato a definire il salafismo come non sunnita, mettendo direttamente in discussione il ruolo religioso dell’Arabia Saudita che, come custode dei luoghi sacri musulmani, ha una posizione preminente all’interno del sunnismo.
La sfida alla concezione radicale dell’islam viene da una sede prestigiosa sia da un punto di vista religioso che culturale, poiché al-Azhar è il centro riconosciuto degli studi islamici sunniti ed è attiva dal X secolo, anche se è diventata una università secondo gli standard moderni soltanto nel 1961. Nel suo primo viaggio in Egitto il Presidente Obama si recò proprio ad al-Azhar dove, nel tentativo di raddrizzare la politica fallimentare di Bush, propose un dialogo produttivo tra l’Islam e le democrazie occidentali. La storia è andata purtroppo in un’altra direzione, ma questo cambiamento nella linea dei moderati sunniti, rimasti in silenzio per troppi decenni di fronte al radicalismo islamico, sembra segnalare un importantissimo cambiamento strategico.
Il comunicato finale della conferenza stila una lista dei “popoli sunniti” dalla quale è escluso il wahabismo predicato in Arabia Saudita. Questa esclusione è dovuta al bisogno di un “cambiamento radicale allo scopo di ristabilire il vero significato del sunnismo, ben coscienti che questo concetto ha subìto una pericolosa deformazione a causa dei tentativi degli estremisti di svuotarne il senso per poi impossessarsene”. Non è la prima volta che un attacco così duro viene lanciato contro l’estremismo islamico, ma non era mai stato così diretto ed esplicito.
I sauditi hanno reagito immediatamente alle dichiarazioni di Grozny attaccando il tentativo di spaccare il mondo islamico e denunciando i maneggi di Putin (notoriamente il burattinaio del presidente ceceno Kadyrov). Cercando di vestire i panni poco credibili della vittima, l’imam della moschea re Khaled di Riad ha affermato che la “conferenza cecena dovrebbe servire a lanciare l’allarme: il mondo si prepara a metterci al rogo”. Molti giornali sauditi hanno poi minacciato il taglio dei finanziamenti all’Egitto, che ha disperato bisogno degli aiuti stranieri e si trova tra l’incudine e il martello.
Possiamo quindi immaginare che al-Azhar subirà enormi pressioni per ritrattare dichiarazioni che sono una sfida coraggiosa al radicalismo islamico, ma, in ogni caso, la questione è ormai diventata pubblica nonostante la grande stampa internazionale (con l’unica eccezione del britannico Independent ed il francese Le Monde) abbiano accuratamente taciuto la notizia. Commentando i risultati della conferenza di Grozny con l’agenzia AsiaNews, padre Samir Khalil Samir, un gesuita esperto di Islam, ha affermato: “Finalmente! Questo è un fatto veramente straordinario ed è l’Egitto che lo ha iniziato”.
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