di Stefano Mavilio
Una serata televisiva – la serata conclusiva del “grande fratello” – mi porta a fare delle riflessioni di portata più ampia di quelle generate dai singoli palinsesti televisivi. Cosa osservo? Che le cosiddette “soubrette” e le “showgirl” (dall’uso dei termini si deduce chiaramente la generazione alla quale appartengo) si somigliano stranamente tutte: stessa sagoma degli zigomi, stesso taglio degli occhi, stessa bocca. E mi domando: cosa spinge le suddette a modificare in maniera così sostanziale il loro aspetto? Certamente l’appagamento dell’ego, inteso come una forma di democrazia che consenta a chiunque – con una certa spesa – di essere finalmente se stessa/o. “Voglio essere più bella/o”, diranno – forse – quelle ragazze donne signore e anche quei ragazzi uomini signori. La qual cosa, di per sé, è un desiderio lecito ed apprezzabile. Possiamo dunque dire che sono spinte/i da un duplice desiderio di diversità: diverse/i da prima, quando non si piacevano; diverse/i dalle/gli altre/i che – forse – sono più brutte/i. Non è questa la sede ma sarebbe il caso di chiedersi, a margine, cosa si intenda oggi per bellezza.
Ricapitolando: per essere diverse/i – da prima e da tutte le/gli altre/i, in realtà decidono di essere uguali a tutte le/gli altre/i, perché è indiscutibile che quelle ragazza donne signore e anche quei ragazzi uomini signori, si somiglino tutte/i.
In conclusione: per essere anticonformiste/i (conforme peraltro rimanda alla forma e quindi all’aspetto) sono più conformiste/i di prima. Martin Luther King chiamava il fenomeno il <conformismo dell’anticonformismo>. Ma siccome non mi occupo di estetica del corpo femminile/maschile, riporto il discorso al campo nel quale mi sento più a mio agio: l’architettura.
Come si traspone il discorso relativo all’estetica femminile/maschile nell’ambito dell’architettura? Facile. Anche l’architettura oggi è alla continua ricerca dell’anticonformismo (altrove l’ho definito il “famolo strano a tutti i costi”) salvo copiarsi tutti gli uni con gli altri, con il risultato che i progetti risultano essere fin troppo simili, come certe bocche, certi zigomi, certi occhi. Dove si preferisca l’high tech, ci si rifarà a certi modelli; dove si preferisca il mattone, ci si rifarà a modelli diversi. Dove invece la creatività pare salvarsi ancora, è nelle costruzioni in legno, per le quali si assiste ad un certo fiorire di sperimentazioni che danno frutto; siano esse sperimentazioni tecnologiche, o tipologiche, o morfologiche.
Arrivo al dunque. L’architettura delle costruzioni in legno è avanti, perché frutto di una costante ricerca, nella quale si sono spesi soldi in studi e proto tipizzazioni; la ricerca è il fondamento di qualunque progresso, anche nelle arti. E siccome le arti si apprendono nelle scuole di qualunque genere e livello, mi chiedo: siamo certi che nelle nostre Facoltà di architettura – per rimanere nello specifico – si faccia della ricerca che non sia meramente tecnologica ma anche e ancor più tipologica? Oppure siamo costretti a supporre – giacché maliziosi – che nelle nostre aule si ripetano stancamente modelli obsoleti dell’abitare e più in generale del costruire? E ancora: quali sono i modelli dell’abitare del futuro? Questa è la domanda che ad oggi attende una risposta.
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