Eccoci dunque alla nuova presidenza Trump. Aprendo il suo secondo mandato con la cerimonia del giuramento tenuta il 20 gennaio 2025 nella grande hall del palazzo del Congresso di Washington D.C., Donald Trump ha esposto con cristallina chiarezza le sue intenzioni, in un discorso meglio articolato di quello dell’inaugurazione precedente e ben radicato nella storia statunitense. Non precisamente nella tradizione della Rivoluzione anti britannica del 1776, ma nel suo travisamento che ha dato luogo al neo imperialismo statunitense.

L’elemento che ha imperniato questo discorso è stata la citazione del Presidente William McKinley il quale, ha detto Trump, ha reso gli Stati Uniti ricchi “stabilendo dazi e promuovendo il talento”.

Di nuovo, Monroe Doctrine

Pur avendo egli combattuto con le truppe dell’Unione contro la Confederazione nella guerra civile del 1861-65, McKinley, ch’è stato Presidente dal 1897 fin quando fu assassinato da un anarchico nel 1901, ha rappresentato quella corrente politica che, pur abbracciando la causa della Rivoluzione del 1776, ha trasferito in America la logica dell’imperialismo britannico lottando contro il quale gli Stati Uniti sono stati fondati. Logica che, seguita anche dal suo successore, Theodore Roosevelt, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 portò gli USA a impossessarsi di Cuba, Puerto Rico, Guam e Filippine strappandoli all’impero spagnolo. Coerentemente Trump nel suo discorso ha accennato alla volontà di estendere il territorio americano, in particolare riprendendo il controllo del Canale di Panama. Il Panama a sua volta è un paese che gli Stati Uniti di T. Roosevelt fondarono nel 1903 staccandolo dalla Colombia per realizzarvi il Canale che sarebbe stato aperto nel 1914. In pratica Panama, uno tanti dei paradisi fiscali disseminati dalle finanze angloamericane in giro per il mondo, è nato come frutto di un’operazione geopolitica statunitense: oggi Trump non fa che rivendicarne le origini. Col che, stiamo assistendo al dispiegarsi aggiornato della Dottrina Monroe.

Proclamata nel 1823 dal Presidente James Monroe, sul piano ideale tale dottrina fu presentata come l’estensione dei principi della Rivoluzione del 1776 a tutto il continente americano: la difesa dell’indipendenza di questo dall’imperialismo europeo. Ma di fatto essa sancì l’inizio dell’imperialismo statunitense sui territori americani.

E qui sta il cuore di quella che potremmo chiamare la “dottrina Trump”: assumere i principi della rivoluzione anti imperialista del 1776, ma per farne lo strumento inteso a ribadire l’imperialismo statunitense, esercitato in particolare attraverso strumenti finanziari e commerciali, ovviamente supportati dalla forza miliatare.

Un misto di liberismo e protezionismo

Trump nel suo discorso si è proclamato protezionista allo scopo di difendere la produzione industriale americana (cosa che anche McKinley fece, e con successo), che com’è noto da diversi decenni è stata sempre più esternalizzata: prima nelle maquilladoras a sud del Rio Grande, e poi in Asia e in particolare in Cina, alla ricerca del lavoro a basso prezzo (in mancanza della possibilità di utilizzare lavoro schiavistico in patria, come facevano i Confederati prima della Guerra Civile di metà ‘800, e come continuarono a fare i loro eredi in vario modo sino all’emergere del movimento per i diritti civili degli anni ’50 e ’60 del XX secolo). Ma ovviamente la politica di Trump sarà anche totalmente liberista per quel che attiene alla difesa degli interessi delle multinazionali statunitensi nonché della politica finanziaria più sfrenata: l’emissione della sua criptomoneta $TRUMP ne è un’evidente testimonianza, così come, nella celebrazione del 20 gennaio a Capitol Hill, ne è stata plastica testimonianza anche l’assieparsi della congerie di multimiliardari della new economy accanto ai membri della famiglia del neoeletto.

La hall del palazzo del Congresso durante il discorso inaugurale di Donald Trump, 20 gennaio 2025. Sulla sinistra, dietro al vicepresidente J.D. Vance, si notano i familiari di entrambi il presidente e il vice, e alle loro spalle compaiono diversi esponenti del mondo economico e imprenditoriale tra i quali spicca Elon Musk. Streenshot da una trasmissione televisiva.

Una politica industrialista e liberista assieme dunque: un nazionalismo che usa l’eredità della rivoluzione del 1776 come strumento di propaganda per il neo imperialismo americano, e non ha nulla a che vedere con la politica hamiltoniana, l’unica che con coerenza potrebbe concretare i principi enunciati nei documenti fondativi degli Stati Uniti. In sostanza ci troviamo di fronte a un continuatore della visione dei vecchi Confederati, per quanto reinterpretata secondo la retorica della Rivoluzione americana. (Per riferirsi a un esempio a noi familiare, siamo agli antipodi della politica di quell’Enrico Mattei che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, pur tanto amica di Trump, ha sagacemente assunto come modello di riferimento)

Libertà e libertinismo

E d’altro canto che cosa ci si poteva aspettare dagli USA di oggi, dove tanti di coloro che si pensano autentici eredi della tradizione rivoluzionaria americana, partendo dalla ricerca della libertà sono approdati al libertinismo che si manifesta in quella mistura di politica “woke”, di transessualismo rampante e arrogante, di cancellazione della storia, di quell’ecologismo ideologico che pone Gaia, la Madre Terra, Astarte come le nuove divinità di un Olimpo pagano sempre più contrapposto alle religioni tradizionali, in pratica abbracciando un soffocante anarchismo morale?

Si procede per contrapposti estremismi.

Se negli anni recenti in Occidente hanno trionfato il libertinismo e l’ecologismo ideologico, ecco che ora all’orizzonte sorge il nuovo sole del neo imperialismo nazionalista pronto a sconquassare le istituzioni internazionali che, nate nel secondo dopoguerra, ambivano a difendere la pace, l’uguaglianza e la libertà tra i popoli.

Le religioni

Alla cerimonia di inaugurazione di Trump hanno preso parte anche diversi esponenti delle religioni cristiana ed ebraica. Non della religione islamica. Anche questa è stata una precisa scelta di campo: si configura l’immagine di un fondamentalismo occidentale inteso come chiusura a difesa della propria identità.

Ma l’identità occidentale, come quella della Rivoluzione del 1776, è una tradizione di apertura e di dialogo, non di arroccamento. Solo che per aprirsi al dialogo bisogna aver chiaro che cosa si è: che cosa fonda l’identità propria. E tale fondamento, purtroppo, è quanto è stato scardinato dalla congerie di libertinismo, wokismo, cultura della cancellazione, ipersessualismo ed ecologismo radicale che s’è diffusa negli ultimi anni.

Misura e dismisura

E così, quando si perde il senso della misura, la parola passa inevitabilmente all’estremismo. E quando si eccede su un lato, prima o poi sorge quanto a questo si contrappone sul lato opposto.

L’Unione Europea potrebbe cogliere l’occasione fornita dall’erompere del trumpismo per moderare le tendenze liberiste, wokiste, ecc., delle quali è stata vittima recentemente, e che sono gabellate come politiche “progressiste” e “di sinistra”. Se riuscisse a intraprendere tale opera ritroverà i suoi principi fondativi e recupererà un ruolo di moderazione nei rapporti internazionali.

Oppure potrebbe, per reazione al trumpismo, accentuare quelle tendenze nefaste. In questo caso non farà che sprofondare ulteriormente nell’insignificanza sul piano dei rapporti internazionali, e nel disorientamento civile e morale al proprio interno.

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