di Michela Beatrice Ferri
Venerdì 23 Marzo 2018 il noto ateneo di Berkeley, in California, ha celebrato il suo “Charter Day”: i suoi primi 150 anni come “flagship institution” delle dieci università che formano la nota University of California.
Nell’anno 1866 una parte dell’area dove ora sorge il campus di Berkeley venne acquistato dalla prima istituzione universitaria di quello Stato, il College of California, già fondato nella città di Oakland nel 1853. Due anni dopo, nel 1868, avvenne la fusione con lo Agricultural, Mining, and Mechanical Arts College: nacque così la University of California. A stabilire la nascita di questa istituzione è un atto firmato dall’allora governatore della California, Henry H. Haight, il 23 marzo 1868. Questo evento non si deve a niente altro che all’attenzione rivolta dal presidente Abraham Lincoln alla scolarizzazione di un giovane Paese: l’esortazione a utilizzare i proventi della terra per stabilire nuove scuole diede vita al sistema educativo di una nazione che oggi vanta alcune tra le migliori università al mondo.
Berkeley, il primo campus californiano, è oggi l’università pubblica più illustre nella storia dell’istruzione superiore statunitense. Si pensi che 94 dei Premi Nobel sono stati professori a Berkeley. In aggiunta, l’università vanta 9 Premi Wolf, 7 Medaglie Fields, 18 Premi Turing, 45 MacArthur Fellowships, 20 Academy Awards, 9 premi James S. McDonnell Foundation e 11 Premi Pulitzer. Qui nacque la “Berkeley Software Distribution”. Alcuni suoi scienziati inventarono il ciclotrone. Altri isolarono il virus della poliomielite. Qui avvenne la scoperta di alcuni elementi tra cui il Berkelio e il Californio. Nello stesso 1868 nasceva il piccolo Leland Stanford junior, poi morto a Firenze nel 1884, a cui sarebbe stata dedicata la Stanford University. Ma questa è un’altra storia.
Curiosa la scelta del motto latino “Fiat Lux”, ma non stupisce dato che si trattava della prima università di uno Stato – quello della California – senza alcun timore nell’affrontare il futuro, dal posto più Far del West degli Stati Uniti. “Fiat lux” è una ripresa del passo di Genesi, 1,3, “Vayomer Elohim yehi-or vayehi-or”, poi ripreso nella lingua greca antica come γενηθήτω φῶς a sua volta tradotta dall’ebraico יְהִי אוֹר (yehiy ‘or).
Il nome – Berkeley – è un dichiarato omaggio al filosofo George Berkeley, teologo e pensatore nato in Irlanda a Kilkenny nel 1685 e deceduto a Oxford nel 1753. Fu l’avvocato Frederick Billings, di San Francisco, a suggerire questo riferimento. La scelta cadde su questo autore per via della celeberrima frase: “Il cammino dell’Impero prende la via dell’Occidente”. E più Occidente dell’area dove nel 1868 sorgeva l’originario campus di Berkeley – all’epoca ancora provvisoriamente ad Oakland – abbiamo solamente le terre statunitensi che confinano con essa, e che si affacciano sull’Oceano Pacifico. Spartiacque nel vero senso del termine la cui funzione storica è di dividere due mondi, Oriente e Occidente, due metà di una vita umana, due modi di pensare, due modi di ragionare, perché la vita sul Pianeta Terra vive di questa divisione e non può farne antropologicamente a meno. Proprio prima di morire George Berkeley aveva fatto pubblicare i suoi Verses on the Prospect of Planting Arts and Learning in America, che contengono i celebri: «Westward the course of empire takes its way; / the first four Acts already past, / a fifth shall close the Drama with the day; / Time’s noblest offspring is the last». Frederick Billings pensò che altre parole non avrebbero potuto essere più appropriate per celebrare ciò che i fondatori delle colonie americane crearono superando le rovine della vecchia Europa (appunto, “Il corso dell’Impero è volto ad Occidente”).
Penso, però, a una ripresa più che a un superamento. Provate a passeggiare verso la Sather Tower, completata nel 1914 e chiamata anche “The Campanile”: vedendola, la vostra mente rimanderà subito al campanile di San Marco a Venezia, e capirete che il soprannome le è stato dato per la visibile somiglianza al nostro modello italiano. L’architetto John Galen Howard non poté fare a meno di riprendere uno stile europeo. Nella tarda mattinata di venerdì 28 marzo 2014 attraversavo per la prima volta in vita mia il Sather Gate, progettato dallo stesso architetto Howard e realizzato da Giovanni “John” Minghetti nel 1910. Poco più avanti, verso la Sather Tower, riposa come unica superstite la South Hall, che costruita nel 1873 è il più antico edificio universitario della California. L’impressione è quella di un luogo che ha voluto raccogliere nella parte più remota dell’Occidente una eredità storica dai molti aspetti: i missionari francescani che hanno fondato le Missions, e con esse la città di San Francisco e la città di Los Angeles. La Golden Rush. Il terremoto. Il celeberrimo ponte di questo anziano Golden State. Gli intellettuali qui giunti dopo la fuga dall’Europa in preda al nazismo. La rivoluzione dei computers e la Silicon Valley un poco più a sud. Uno studente di nome Steve Jobs che non si laureò. Berkeley aveva accolto l’italiano Emilio Segrè e il polacco Alfred Tarski, e molti altri illustri docenti emigrati dal continente europeo. Purtroppo questa grandiosa università non ha il merito di avere assegnato il primo Ph.D. in Computer Science: ad ottenerlo infatti fu – e immagino il lettore sorpreso, mentre legge – Suor Mary Kenneth Keller presso la University of Wisconsin-Madison, nel maggio del 1965, con una dissertazione intitolata: “Inductive Inference on Computer Generated Patterns”.
Ma nel mese di Settembre dell’anno precedente a Berkeley accadde ben altro: il 1964 avrebbe segnato la nascita del Free Speech Movement. A guidare questo movimento di protesta furono alcuni studenti, tra cui Mario Savio, Michael Rossman, Brian Turner, Bettina Aptheker, Steve Weissman, Art Goldberg, Jackie Goldberg. Dopo anni di tensioni interne al campus, il 14 settembre 1964 il colonnello Katherine Towle, in quegli anni “Assistant Dean of Students”, annunciò l’applicazione rigorosa dei regolamenti dell’ateneo, che vietavano l’utilizzo delle strutture universitarie per accogliere gruppi politici o per sostenere candidati, l’utilizzo di altoparlanti esterni e l’affissione di cartelli per messaggi politici. Il sistema universitario sembrava volere smorzare la fiamma del crescente desiderio degli studenti di Berkeley di fare entrare la politica nel campus. Alle spalle di questo evento vi è la nascita della cosiddetta New Left, vi è la crisi di Cuba, vi è l’assassinio di J.F. Kennedy, vi è la guerra in Vietnam. Andare al fondo di questa vicenda per comprendere “chi” e “che cosa” veramente spinsero da una parte e dall’altra, è un’impresa ardua. Più ardua delle motivazioni che stanno alla base della creazione di una università.
Il Free Speech Movement può essere visto, cinquant’anni dopo, come l’esplosione di una serie di tensioni: il crescente abuso dell’area del campus per scopi politici ed una presa di posizione da parte dell’università – che in passato non aveva dato peso all’applicazione delle norme che avrebbero potuto regolare alcuni eccessi – per regolare la situazione, si scontrarono. Il movimento studentesco americano nasce il 1 ottobre 1964: quel giorno sulla Sproul Plaza del campus, Jack Weinberg venne arrestato mentre distribuiva volantini politici. Un gruppo di studenti guidati da Mario Savio bloccarono per trentadue ore l’auto della polizia su cui sarebbe dovuto salire Weinberg. Alcuni collezionisti si sono chiesti che fine abbia fatto quell’automobile.
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