di P. Lumumba
Il 27 aprile 1969 in Francia si conobbero i risultati di un referendum su alcune questioni di rilevanza istituzionale (il trasferimento di alcuni poteri alle regioni, la trasformazione del Senato in organismo maggiormente rappresentativo delle regioni e delle associazioni professionali).
Charles De Gaulle, allora Presidente francese, era contrario e aveva annunciato che nel caso il referendum fosse stato approvato ne avrebbe tratto le sue conseguenze.
Le proposte referendarie furono approvate da una risicatissima maggioranza e De Gaulle, poco dopo la mezzanotte, annunciò il risultato alla televisione dicendo: “Mi dimetto dalle mie funzioni di Presidente della Repubblica con effetto da oggi a mezzogiorno. Vi ringrazio”.
Si voltò e se ne andò mentre la telecamera indugiò un attimo inquadrando lo studio vuoto dove il Presidente aveva appena dato il suo addio ai francesi.
In realtà il vero scontro era quello maturato nelle università e nelle strade, con le rivolte sessantottesche che a Parigi ebbero un impatto particolarmente forte. “Ce n’est q’un début, continuons le combat!” lo slogan rimbombava per le strade e nelle aule.
Come l’appello a una nuova rincorsa alla libertà e alla giustizia: ma i militanti più attivi erano stati addestrati a Cuba e i gruppi di estrema sinistra promossero atti violenti entro un clima che pareva presagire una insurrezione.
In realtà, in quella situazione di crisi generalizzata, il referendum era inteso non tanto come proposta di riforma istituzionale quanto come una votazione pro o contro De Gaulle.
Doveva suonare strano gli orecchi del Generale, che tanti a Parigi seguissero l’impeto delle frange rivoluzionarie, che si inneggiasse alla libertà per chiedere drastici per quanto fumosi cambiamenti.
Perché quando la Francia fu invasa dalle truppe tedesche nel 1940 e Petain accettò di costituire un governo fantoccio di Hitler nel meridione mentre la capitale e il resto del Paese erano sotto il diretto controllo dei nazisti, De Gaulle, da poco promosso generale di brigata, se ne andò a Londra e da lì lanciò il suo appello, il 18 giugno, alla resistenza antinazista, promettendo una mobilitazione di tutti i francesi all’estero e chiedendo ai suoi commilitoni di unirsi al suo impegno per liberare la Francia: “La fiamma della resistenza francese non si deve spegnere e non si spegnerà!”.
Da quel momento in poi, attraverso i microfoni di Radio Londra, la Francia libera fu quella di De Gaulle, la Francia venduta fu quella di Petain, la Francia prigioniera quella occupata dai nazisti.
E fu De Gaulle a marciare alla testa delle truppe che entrarono vittoriose nella capitale quando sconfitti se ne andarono i tedeschi.
E quando la crisi economica attanagliò la IV repubblica, a guida socialista, mentre infuriava la battaglia di Algeri, fu De Gaulle a riprendere il comando della nazione, a mettere fine all’imperialismo liberando le ex colonie francesi, e subendo per reazione una serie di attentati (tutti andati a vuoto), a opera dell’Oas (l’Organisation d’Armée Secrèt) messa assieme da militari avversi a quella sua politica progressista e anti colonialista. E fu De Gaulle a far crescere la tecnologia francese, e a realizzare la Force de Frappe per rendere il suo paese autonomo dalla NATO dominata dagli angloamericani. E fu De Gaulle a opporsi alla guerra condotta dagli Stati Uniti in Vietnam col pretesto dell’anticomunismo. E fu De Gaulle che nel 1964 riconobbe la Repubblica Popolare Cinese…
Un cattolico e un uomo di stato che conosceva il senso dell’indipendenza, della dignità, della responsabilità e del rispetto per le persone e per le idee.
Morì l’anno dopo, nel novembre 1970, nella sua villa di Colombey-les-Deux-Églises dove si era ritirato con il suo stipendio da generale in pensione, e basta (non con doppia pensione da ex presidente della Repubblica o tripla pensione da ex parlamentare).
Ora, il primo luglio 2014, un altro ex presidente della Repubblica Francese, Nicolas Sarkozy è stato travolto dallo scandalo di finanziamenti illeciti da lui goduti sin da quando era sindaco di Parigi, ed è stato messo in stato di fermo. Altro uomo, Sarkozy: espressione, o forse è meglio dire “interprete”, di un altro tempo.
Quello in cui viviamo oggi.
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