Da Sabato 26 Agosto fino a Domenica 22 Ottobre presso il Museum of Art and History (MOAH) di Lancaster, California, si tiene la mostra collettiva “Estate Italiana”, a cura di Cynthia Penna, che vede protagonisti Marco Casentini, Max Coppeta, Nicola Evangelisti, Carlo Marcucci, Antonella Masetti, Alex Pinna, Carla Viparelli. Il progetto, realizzato in collaborazione con ART1307 di Napoli e parte del programma di scambio culturale tra le due istituzioni, coinvolge artisti provenienti dalle diverse parti del nostro Paese, con opere riferibili a diverse tecniche, dalla pittura alla scultura, dalla videoinstallazione ai murales.
Tra i sette artisti che partecipano all’evento, Nicola Evangelisti (Bologna, 1972) si distingue per le sue installazioni luminose, inquadrabili nell’ambito della “Light Art”. Egli conduce una ricerca pionieristica incentrata su tematiche filosofiche e scientifiche, caratterizzata principalmente dall’uso della luce artificiale. La sua indagine si svolge attraverso installazioni, light-box, fotografie e video. La sua produzione artistica entra anche a fare parte dell’ambito dell’arte contemporanea a carattere religioso, così come lo ha definito il libro “Sacro Contemporaneo. Dialoghi sull’arte” di Michela Beatrice Ferri (Ancora Editrice, 2016).
Nicola Evangelisti è stato insignito di diversi riconoscimenti tra cui il Premio Internazionale Guglielmo Marconi ed il Premio Internazionale Targetti Art Light. Ha esposto in istituzioni internazionali come il Chelsea Art Museum di New York, il Mak di Vienna, il MUAR di Mosca e l’ISELP di Bruxelles.
Al MOAH di Lancaster, Nicola Evangelisti presenta il progetto “In Flore Lucis” costituito da tre installazioni: Hexagones, Holy Lance e il trittico Holy Knife. Si tratta di tre opere in cui la luce è l’elemento centrale, anche se talvolta è demandato a referente simbolico.
Il fiore, nella sua perfezione simmetrica, rappresenta l’ideale di bellezza e armonia platonica, mentre la luce è da sempre l’elemento principe del suo percorso artistico.
Hexagones è una installazione luminosa, ispirata alla geometria sacra, realizzata nel 2016 per una collettiva presso il Palazzo Ducale di Mantova. La struttura metallica, specchiante, è assimilabile alla struttura del fiocco di neve visto al microscopio. Se di giorno prevale la parte metallica specchiante formata da tredici esagoni, nel buio si evidenzia la sola parte luminosa a definire una forma a diamante. La “stellazione” (teoria di Keplero che consiste nell’estendere alcune facce del poliedro fino a un punto in cui queste si incontrano nuovamente) ottenuta dall’intreccio delle fibre luminescenti è tesa a creare l’illusione di una struttura a diamante in cui si possono distinguere diversi e coesistenti poligoni regolari, o solidi platonici.
Holy Lance e Holy Knife sono invece state esposte a Milano tra il 2015 e il 2016, presso la Galleria Area35 in occasione della personale “beWARe”: fanno parte di un ciclo a tema socio-politico, in cui l’artista si interroga sulla relazione tra reale e virtuale nella propaganda terroristica che tanto più feroce si è sviluppata negli ultimi anni a livello internazionale.
Holy Lance è una grande installazione a parete in metallo specchiante che raffigura un mirino di grandi dimensioni composto da lance a doppia punta, spesso ricorrenti nell’iconografia medievale, disposte in due cerchi concentrici a circoscrivere una croce greca. In Holy Knife un coltello militare è composto per metà dal suo reale manico e per l’altra metà dalla riproduzione olografica su vetro della propria lama originale.
Abbiamo intervistato Nicola Evangelisti.
Ci puoi parlare del tuo progetto “In Flore Lucis” che esponi al MOAH di Lancaster, negli Stati Uniti e di come si inserisce nella tua ricerca sulla luce?
Il fiore, nella sua perfezione simmetrica, rappresenta l’ideale di bellezza e armonia platonica, mentre la luce è l’elemento principe del mio percorso artistico.
“In Flore Lucis” (nel Fiore della Luce) vuole essere una sintesi di entrambe le istanze: luce e proporzione aurea.
Con altri cinque artisti italiani, espongo a Lancaster, non lontano da Los Angeles, sede del Museum of Art and History (MOAH), nel deserto del Mojave.
Presento tre installazioni: Hexagones, Holy Lance e il trittico Holy Knife, che ritengo tra le più rappresentative del mio lavoro attuale. In queste tre opere, la luce resta l’elemento centrale, ma talvolta è quasi impercettibile se non all’occhio di un osservatore attento che sappia interpretarne i numerosi riferimenti simbolici.
Hexagones è una installazione luminosa, realizzata nel 2016 per una collettiva presso il Palazzo Ducale di Mantova. Holy Lance e Holy Knife sono invece state esposte a Milano tra il 2015 e il 2016, presso la Galleria Area35, in occasione della mia personale “beWARe”: fanno parte di un ciclo a tema sociopolitico, in cui mi interrogo sulla relazione tra reale e virtuale nella propaganda terroristica che si è sviluppata negli ultimi anni.
Sono tre istallazioni che, pur diverse tra loro sul piano stilistico, presentano un’unica matrice di pensiero, perché nascono da interrogativi universali fondanti il pensiero dell’uomo occidentale.
Quali sono stati i tuoi riferimenti nell’ambito degli studi dedicati alla storia della Geometria, e in particolare della Geometria in relazione con il Sacro?
Nel mio progetto vi sono due indirizzi molto diversi: in Holy Lance il tema del sacro è rappresentato attraverso l’uso di simboli figurativi, le spade e la croce. In Hexagons si fa invece un preciso riferimento alla geometria di matrice filosofica pitagorica e platonica.
Il fondamento di un’arte sacra è il simbolismo, il cristianesimo è stato espresso storicamente attraverso simboli antropomorfi. Titus Burckhardt1 spiega che nell’ambito del settimo concilio ecumenico, l’arte sacra figurativa viene giustificata in questo modo: Dio è al di là di ogni descrizione e rappresentazione possibili. Ma poiché il Verbo divino assume la natura umana «reintegrandola nella sua forma originaria e penetrandola di divina bellezza, si può e si deve adorare Dio attraverso l’immagine umana del Cristo».
Tuttavia vi sono religioni aniconiche, come quella mussulmana o ebraica in cui l’arte sacra non è sviluppata per immagini e simboli, bensì attraverso decorazioni geometriche astratte.
In quel caso l’esteriorizzazione “muta” di uno stato contemplativo non riflette idee ma trasforma qualitativamente l’ambiente facendolo partecipare ad un equilibrio il cui centro di gravità è l’invisibile2.
In molte culture tradizionali, la presenza in natura di varie strutture geometriche, come gli alveari esagonali formati dalle api è sufficiente a suffragare l’importanza cosmica delle forme geometriche e matematiche. Nella cultura occidentale, gli esempi più tipici di questo concetto sono le dottrine matematiche di Pitagora3 e le forme ideali di Platone4.
Questa concezione della matematica viene ritenuta un “universale culturale” della cognizione umana.
Attraverso connessioni tra numeri, figure geometriche e osservazioni della natura e dei fenomeni celesti, i pitagorici, attraverso lo studio delle leggi naturali, cercano di comprendere l’ordine cosmico generale.
Nell’ambito della mostra “Estate Italiana”, mostra collettiva di Marco Casentini, Max Coppeta, Nicola Evangelisti, Carlo Marcucci, Antonella Masetti, Alex Pinna e Carla Viparelli. A cura di Cynthia Penna ART1307. MOAH– Museum of Art and History di Lancaster. Dal 26 agosto al 22 ottobre 2017
Note:
1 Titus Burckhardt, (Firenze, 24 ottobre 1908 – Losanna, 15 gennaio 1984), è stato un filosofo svizzero specializzato nello studio di arte, civilizzazione e architettura islamica.
2 La proliferazione ornamentale e quindi geometrica dell’arte mussulmana è tesa a definire un vuoto contemplativo. L’ornamento, costituto da pattern più o meno geometrici, per via del suo carattere di tessuto infinito dissolve la coscienza dalle fissazioni interiori portando in una dimensione di assoluto.
3 Nella combinazione cristiana e tardoantica delle visioni pitagorico-platoniche con quelle biblico-patristiche, certi numeri e rapporti numerici fungevano da pietre angolari del bene, della bellezza del cosmo materiale e insieme della trascendenza divina. il mondo fisico, mutevole, era sorretto dalla realtà dei numeri, perennemente uguale, proprio perché aveva posto Dio a fondamento della sua creazione.
4 Pitagora fu lo scopritore dei poliedri regolari o figure cosmiche denominate anche solidi platonici in quanto ampiamente descritte da Platone nel Timeo. Successivamente le figure cosmiche ideate dai Pitagorici furono studiate più approfonditamente da Teeteto, un contemporaneo di Platone.
Secondo una concezione platonica che si ritiene derivi da una dottrina occulta dell’antico Egitto, il mondo a livello microscopico sarebbe costituito da triangoli rettangoli che raggruppati nei cinque poliedri regolari corrisponderebbero alle unità fondamentali dei cinque elementi di cui il quinto sarebbe stato l’etere o fuoco celeste.
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