Un’esperienza con “Il Buon Samaritano Onlus”
di Roberto Servadio
Padre Daniel è entrato un giorno nel mio negozio per fare degli occhiali: erano destinati a due ragazzi congolesi adottati a distanza dal mio cliente, socio dell’associazione “Il Buon Samaritano Onlus”. Da qui è nata la mia esperienza in Congo.
Daniel è un sacerdote congolese a cui sono state affidate tre parrocchie di tre piccoli paesi della provincia di Chieti: Fallo, Civitaluparella e Montenerodomo. Oltre a essere parroco in tre luoghi, è iper-indaffarato a seguire un sacco di altre cose, sempre allo scopo di rendersi utile a chi ha necessità di aiuto, per qualsiasi motivo. Tra le tante attività, ha costituito, assieme ad altri, l’Associazione “Il Buon Samaritano Onlus” con sede ad Atessa (CH), con la quale porta aiuto nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare in un paese che si chiama Miabi dove l’Associazione ha fondato una Missione che in circa otto anni ha realizzato una struttura di accoglienza e una scuola con le sei classi primarie e le sei secondarie, dove studiano circa 800 bambini e ragazzi a cui viene data istruzione scolastica e non solo. Inoltre ha in corso altri progetti per sollevare la popolazione dalle condizioni di estrema povertà in cui si trova. La struttura scolastica viene anche utilizzata per la formazione professionale dei giovani che hanno lasciato gli studi e che trovano nel Buon Samaritano il modo di orientare il proprio futuro imparando un mestiere: perlopiù attività agro pastorali, e per le ragazze anche sartoriali .
Di tutto questo non sapevo nulla, ma l’incontro in negozio mi ha spinto a esprimere il desiderio di partecipare a una esperienza di vita in una Missione: vi avrei potuto portare quanto so fare come ottico-optometrista (misurare la vista e realizzare gli eventuali occhiali necessari). Padre Daniel mi ha detto che avrei pouto accompagnarlo nel suo prossimo viaggio in Congo a cavallo tra agosto e settembre 2018.
Una volta deciso che sarei partito, ho interpellato alcuni fornitori per tastare la loro disponibilità a essermi di supporto per quanto sarebbe potuto accadere e con grande piacere le risposte sono arrivate tempestive da due aziende che immediatamente si sono messe a disposizione per la fornitura di occhiali da sole, occhiali premontati e lenti per realizzare occhiali da vista. Gli occhiali da sole sono necessari, perchè Daniel mi ha avvisato che nel territorio in cui saremmo anhdati vivono molti albini.
Le aziende che mi hanno aiutato con la fornitura di merce — e a cui va il ringraziamenti mio e di tutta l’Associazione Il Buon Samaritano – sono: Centrostyle con circa 200 occhiali da sole e 800 premontati , Eliservice Centro Servizi Essilor di Roma che ci ha consegnato circa 700 montature da vista e Essilor Italia che ha fornito le lenti oftalmiche per la realizzazione degli occhiali prescritti ed ancora un’ altra importante azienda di montature che preferisce non essere menzionata. A questi fornitori si è aggiunta la Farmacia del Dr. Nicola Falcocchio di Tornareccio (CH) che ha messo a disposizione un quantitativo importane di creme solari, utilissime per gli albini.
Un ultimo ringraziamento va all’associazione ”Amici della Pallacanestro Pescara” che, non appena venuti a conoscenza di questa iniziativa tramite mio figlio Lorenzo, si sono immediatamente resi disponibili con la fornitura di abbigliamento sportivo, dimostrando premura e coinvolgimento anche con il desiderio in futuro di contribuire alla realizzazione di un campo da basket all’interno della missione.
Questa la premessa al racconto del mio viaggio, per testimoniare una realtà la quale si è mostrata per certi versi bellissima ma per altri devastante.
Dopo qualche giorno di preparativi, pronti con le valige cariche di occhiali, matite, creme, penne, palloni da calcio, abbigliamento e tante caramelle, si parte da Roma per una intera giornata di viaggio con scalo ad Addis Abeba ed arrivo a Mbuji Mayi (Congo) una delle due città più grandi (circa 2 milioni di abitanti) del Kasai, regione al centro del Congo, e nostra destinazione di arrivo; qui siamo stati ospiti per qualche giorno del Vescovo Mons. Emmanuel Bernard Kasanda al quale va il nostro più grande ringraziamento per la gentile ospitalità che in quei luoghi è resa particolarmente complicata dalle condizioni generali di vita.
L’aeroporto, per essere quello di una grande città, lascia immaginare solo un po’ ciò che mi aspetta: usciti una schiera di bambini si avvicina per portarci le valige con l’intento di ricevere qualche soldo e subito un paio di poliziotti donne si avvicinano per liberarci garbatamente di loro ma prima di lasciarci chiedono anch’esse qualche moneta….
Il tratto di strada per arrivare in città completa il quadro di quanto devo aspettarmi: le strade sono del tutto dissestate, dove è presente l’asfalto (raramente) le buche sono piccole voragini che i pochi fuoristrada che circolano fanno fatica a percorrere; una miriade di motociclette ci precedono e ci seguono camminando a zig zag in ogni senso e senza nessuna regola apparente per evitare le buche più grandi (le moto vengono usate come taxi per spostarsi in città), mancando regole alla circolazione tutti suonano clacson per qualsiasi motivo, il caos è ovunque.
Nei pressi del centro una immensità di persone si aggiunge al traffico descritto: è il proseguo del mercato che, oltre ad avere luogo in un suo spazio ben definito ed immenso, continua lungo le due strade principali con la presenza di una fila interminabile di bancarelle (non come le nostre apparentemente ordinate), casottini (negozi), vecchi container (negozi più grandi), tavoli e teli stesi a terra dove sono disposte merci di qualsiasi genere e dove la gente compra e vende di tutto dai ricambi per auto, al carbone per accendere il fuoco la sera, dalle sementi di ogni tipo, al pesce affumicato, dalle carni esposte in bella vista (mosche incluse), alle taniche di acqua raccolta nei pochi punti della città dove arriva con tubature arrugginite, da chi lavora il ferro a chi in casottini malandati espone la scritta “farmacia”.
Arriviamo alla casa del Vescovo Bernard dopo aver attraversato l’impossibile, per me, ma per Daniel è ovviamente del tutto normale perché, come mi dice, quanto visto rappresenta la quotidianità di Mbuji Mayi ed è quello con cui dovremo rapportarci l’indomani per fare alcuni acquisti e per poi prepararci ai 30 Km che ci separano da Miabi.
L’indomani riattraversiamo la città e con più attenzione posso osservare il caos che ieri mi aveva stordito e sorpreso: in effetti è presente tutto ciò che caratterizza una “nostra città” uffici, banche, commercio di qualsiasi cosa, ma nulla da l’idea che ci siano regole a cui attenersi, tutto sembra improvvisato, ognuno sembra fare ciò che vuole dove e quando vuole apparentemente senza logica, chi commercia carbone è al fianco di chi vende farina e le loro postazioni si identificano solo per il nero di un prodotto a confronto del bianco candido dell’altro. Tra le tante attività mi colpiscono quelle che espongono “casse da morto” e Daniel mi fa notare la presenza delle varie dimensioni delle casse, per adulti e per bambini, e colpisce il fatto che quelle per bambini a volte siano più numerose di quelle grandi; il motivo è facile da immaginare…
Raggiungiamo una scuola che grazie a Daniel è stata ristrutturata con l’aiuto di associazioni italiane e della BCC Sangro Teatina di Atessa (CH), dove incontreremo il presidente dell’ Associazione di Albini della città; l’Associazione conta circa 200 iscritti ovviamente albini di ogni fascia di età, ma sicuramente il numero è molto maggiore in tutta la città; la descrizione delle persone albine è devastante: oltre a vivere nella povertà del paese, gli albini non hanno alcun sostegno medico, a Mbuji Mayi non esiste uno specialista dermatologo, la pelle mostra su tutti i segni di infiammazione ed invecchiamento precoce, pochissimi hanno occhiali da sole, la loro condizione visiva è pessima non solo per una miopia quasi sempre presente sia media che elevata ma soprattutto per un nistagmo che non consente loro di fissare in alcun modo; sono discriminati da tutti, non solo dalla popolazione in genere ma anche dalle stesse famiglie che per lo più vivono la nascita di un albino come una disgrazia, molto spesso l’ignoranza porta i mariti a separarsi dalle mogli che rimangono così anche senza il poco reddito del coniuge.
Proponiamo di avere un incontro con loro in cui proveremo a dare un po’ di sollievo misurando la vista, per quello che mi sarà possibile fare, distribuendo gli occhiali da sole e le creme protettive che abbiamo portato. Uscendo dalla scuola mi colpisce un cartellone 6×3 affisso ad un angolo di strada che reclamizza “cosmetici per la bellezza della pelle”….
L’acqua disponibile non è potabile, per lavarsi è necessario bollirla o usare un disinfettante mentre per bere si usa solo quella in bottiglia, almeno noi dobbiamo seguire diligentemente queste regole nonostante prima di partire ci si sia vaccinati per tutto e per di più e quotidianamente continuiamo a prendere una pasticca di Malarone per mantenerci protetti dalla malaria; per il nostro soggiorno a Miabi dobbiamo fare quindi provvista di acqua e scatolette varie che più difficilmente troveremo al villaggio.
Miabi dista circa 30 Km da Mbuji Mayi e per assurdo la strada, o meglio la pista, è in condizioni migliori delle strade cittadine. Nel tragitto attraversiamo la savana: immensa distesa pianeggiante di terra sabbiosa e rossa (tipo quella dei nostri campi da Tennis), ogni tanto si alternano piccole colline, lievi avvallamenti, palme e qualche piccolo raggruppamento di capanne costruite di mattoni fatti in casa e dello stesso colore della terra circostante; durante il percorso incrociamo bandiere con il logo di qualche organizzazione umanitaria che potrebbe avere in passato prestato aiuti, ho riconosciuto il simbolo di Action Aid e Save the Childrens.
Alla faccia del villaggio! A Miabi vivono circa 200mila persone, più che a Pescara, tutte in capanne per lo più con tetti di paglia, collegate tra loro senza alcuna regola da una rete di veri e propri sentieri; in centro c’e il mercato più o meno come quello visto a Mbuji Mayi ma molto più piccolo; nelle strutture più solide e di più grandi dimensioni si trovano le due parrocchie, un ospedale e qualche ufficio .
Durante la nostra permanenza abbiamo visitato l’Ospedale dove è capitato un particolare fatto: all’interno dell’area ospedaliera, per caso abbiamo incontrato due bambini di cui uno più grandicello, 7-8 anni, che ci hanno fermato facendoci notare che Michele, il nostro compagno imprenditore pugliese che ci ha raggiunto dopo il nostro arrivo, aveva le scarpe con la suola scollata; il più grande si è detto in grado di ripararle, quindi ci siamo fermati per la riparazione pensando chissà con quale colla il ragazzino si sarebbe presentato per il lavoro, ed invece è tornato con ago e spago e con maestria ha realizzato una riparazione da far invidia ad un bravo calzolaio.
Nell’attesa durante il lavoro abbiamo cominciato a chiacchierare con i due ragazzini e siamo venuti a sapere che erano fratelli, che abitavano in un altro villaggio, ed il più piccolo era stato ricoverato all’ospedale per una infezione al piede che era guarita ma l’ospedale, dove i genitori avevano lasciato alcune cose in pegno per iniziare la cura, non li avrebbe lasciati tornare a casa fin quando non avessero completamente pagato la prestazione (mancavano 19.000 franchi congolesi che equivalgono a circa 10 euro); non avendo soldi il padre aveva lasciato tornare la moglie a casa per accudire gli altri figli mentre lui era andato in una miniera distante pochi chilometri per racimolare il denaro necessario a saldare il dovuto e riprendere i due ragazzini; questo è quanto accade nel caso ci si debba ricoverare in ospedale pubblico. Abbiamo ovviamente pagato la rimanenza per lasciare andare i due fratellini felicissimi per la inaspettata Provvidenza e ricompensato adeguatamente per la riparazione eseguita alla scarpa; nel frattempo una diecina di altri bambini si sono raggruppati intorno a noi, bianchi e quindi diversi, ed a tutti abbiamo offerto delle banane acquistate in una bancarella nei pressi dell’ospedale.
Acqua corrente ed energia elettrica sono inesistenti; lo stipendio medio per un lavoro sicuro (poliziotto, dipendente comunale, medico, insegnante) si aggira intorno ai 60-80 dollari mensili, a cui si aggiunge ciò che si può racimolare da lavoretti più diversi. Chi non ha questo stipendio vive di agricoltura, molto povera per la terra sabbiosa e assolutamente non fertile, o di allevamento anch’esso povero perché il bestiame costa e costa soprattutto mantenerlo, o lavorando sfruttati nelle miniere, in ogni caso con la difficoltà di non riuscire neanche a soddisfare le minime necessità familiari. Le miniere, che rappresentano la vera ricchezza del Congo per la mala-gestione dello Stato centrale vengono date tutte in concessione alle grandi multinazionali internazionali, che sfruttano per i loro interessi i lavoratori, anche bambini, senza destinare nulla alla povera popolazione che in questo modo rimane sfruttata, sottomessa e purtroppo rassegnata ad un futuro difficilmente migliorabile. Oro, diamanti, coltan (materiale indispensabile per tutto ciò che di elettronico invade il mondo occidentale ed in particolare moderatamente radioattivo) vengono estratti nel modo più povero , a volte manualmente, e destinati ai grandi commercianti che acquistano per poco e rivendono per tanto con traffici più o meno legali.
Il progetto dell’associazione Il Buon Samaritano per la missione di Miabi è molto ambizioso, è costituito da tanti progetti più piccoli ma tutti essenziali ed indispensabili:
– portare istruzione alla popolazione per lo più analfabeta con la realizzazione della scuola frequentata non solo da bambini ma anche da adulti che iniziano a sentire l’esigenza di emanciparsi
– dare prospettive alla vita degli abitanti: la costruzione delle proprie capanne ed il quotidiano fare fuoco indispensabile per cucinare, sono state le cause negli anni passati dell’abbattimento quasi completo degli alberi presenti. Da qui l’idea del rimboscamento del territorio nell’ambito di un progetto di formazione professionale per i giovani finanziato dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana) ed in collaborazione con le Associazioni “ il Buon Samaritano Onlus”,” Africizia Onlus” e” I Sorrisi del Mondo Onlus”, che abbiamo verificato star già dando i suoi primi risultati. Stanno infatti nascendo piccole piantagioni di alberi di vario tipo che grazie al clima tropicale crescono velocemente e avranno lo scopo di continuare a garantire l’approvvigionamento di legname sia da lavoro che per la produzione di carbone;
– infine la realizzazione di allevamenti di animali: i piccoli, polli conigli e tacchini, vivono liberi senza allontanarsi, per i maiali si è costruito un “porcile” in una struttura separata, ben realizzata per consentirne un facile mantenimento e pulizia, in più con una recinzione adeguata si è dato riparo a 4 mucche, già arrivate, che inizialmente serviranno per arare la terra e contestualmente produrranno il concime per rendere la stessa terra un po’ più fertile chiudendo così il ciclo coltivazione – allevamento.
Quando ho parato di esperienza bella ma devastante in particolare mi sono riferito a due aspetti che rimarranno per sempre nei miei ricordi: oltre agli albini, anche gli orfanotrofi; ne abbiamo visitati due il primo a Mbuji Mayi nella periferia della città, dove sono ospitati circa una ottantina di ragazzi di ogni età; le condizioni di vita sono estreme, si mangia una volta al giorno e a volte si salta anche quella, manca tutto e tutto ciò che serve si fa fatica a reperirlo, si vive con aiuti dei religiosi e di chi per compassione porta il poco che a volte avanza; le baracche dove dormire sono indescrivibili: buie, polverose (ma non di sporco), con stracci a terra per sdraiarsi; il “fufu” (pietanza tipica e povera) una polenta bianca che funge da pane, viene cotto all’aperto in una specie di grande calderone , tutto nero di bruciato, costantemente sopra il fuoco per far bollire l’acqua e fuori dalla cucina dove 3 fornelli a gas (tipo campeggio) servono invece a preparare il cibo per gli ottanta ragazzi più le suore che gestiscono il tutto. E nonostante questo quando si arriva per un visita, scoppia la festa: tutti contenti per la nostra presenza che interrompe la loro quotidianità e soprattutto per i regali che si portano: palloni, quaderni, penne e soprattutto caramelle.
Il secondo orfanotrofio visitato sta a Mwenaditu , 135 Km da Mbujimayi, una altra grande città importante perché ultima tappa della ferrovia che collega la regione del KASAI con la regione del KATANGA. I 135 Km sono percorsi in 3 ore e mezzo di pista molto mal ridotta e ci portano in questo villaggio dove una semplice donna, fisicamente piccolina e dall’età indefinibile ha cominciato a radunare orfanelli e bimbi abbandonati in strada garantendo loro un tetto dove dormire e, quando possibile un pasto;, in generale questo risulta condizione migliore della normale vita nella maggior parte delle famiglie dove non è sempre garantito neanche quel pasto giornaliero.
Questo è l’orfanotrofio di Maman Kapì, questo è il nome della vecchina che ci accoglie nella sua povertà con grande dignità e con la consapevolezza che con noi è arrivato qualche aiuto per i sui figli che festosi impazziscono per i soliti poveri regali e per le caramelle così buone e rare che alcuni neanche le mangiano normalmente, le tengono tra le dita che poi leccano in modo che il sapore buono duri più a lungo ….
Per quanto riguarda il mio lavoro si può riassumere brevemente con dei numeri:
- 442 persone a cui è stata fatta una rapida schiascopia per selezionare chi avesse avuto necessità di occhiali per lontano
- 75 albini tutti con miopia tra le 2.00 e le 11.00 diottrie ed astigmatismo entro le 3 diottrie
- 1 albino con miopia di circa 18 diottrie
- 88 persone con necessità di occhiali da vista a cui è stata rilevata prescrizione e a tutti seguirà fornitura di occhiali
- 12 persone con cataratta da operare
- 1 con cataratta operata e bisognosa di occhiali + 12.00
- 1 cheratocono visibile ad occhio nudo con relativo leucoma
- 3 monocoli
- 6 ciechi di cui 3 con cataratta completa
- 357 premontati consegnati
- 127 premontati già prenotati da consegnare
- 78 occhiali da sole consegnati ad altrettanti albini
Purtroppo non è stato possibile portare tutti gli occhiali che ci sono stati donati per il limite di peso da rispettare del le valigie; è prevista comunque una nuova visita di Daniel, probabilmente all’inizio del nuovo anno, in cui verranno spediti gli occhiali da realizzare e il rimanente quantitativo rimasto.
Questi numeri, nonostante essere importanti per i pochi giorni di permanenza, non danno idea del bisogno reale che la popolazione ha nei confronti non di quello che noi definiamo “benessere visivo” ma della minima condizione necessaria per una normale situazione visiva accettabile; dopo i 50 anni il lavoro, la lettura (in particolare quella religiosa visto la loro grande Fede) e le più semplici operazioni quotidiane o familiari sono rese quasi impossibili; ai pochi fortunati che abbiamo potuto servire subito, la fornitura di semplici premontati è sembrata un regalo della Provvidenza, e lo stato d’animo che traspariva da coloro che si sentivano forse per la prima volta presi in considerazione per le proprie difficoltà, è stato incredibilmente appagante.
In particolare gli albini che mostravano inizialmente un atteggiamento psicologico di totale chiusura ed inadeguatezza per la loro vita vissuta nelle condizioni di maggiore subordinazione nei confronti di tutti, prima di lasciarci apparivano contenti e speranzosi che tra poco quel piccolo aiuto che avremmo portato sarebbe stato di sicuro un cambiamento e un sollievo alla loro vita.
In questi pochi giorni abbiamo avuto tanto da fare, ma quanto fatto è stato solo un granello di sabbia nei confronti di quanto ci sia realmente bisogno e mi auguro di poter tornare ancora con Daniel anche perché, senza di lui, parlare in ciluba, la loro lingua, sarebbe impossibile.
L’iniziale aggettivo “devastante” l’ho descritto forse anche troppo , per il ”bellissimo” servono solo poche parole che riguardano le persone conosciute; ho potuto parlare con loro molto poco, non parlo francese e tanto meno il ciluba, ma hanno però saputo lasciarmi qualcosa di difficile da dimenticare e altrettanto difficile da ritrovare nel quotidiano vivere nella nostra “società del benessere”: il loro essere buoni e sereni nonostante la povertà, il loro vivere per arrivare a sera perché il vero problema sta nel portare a termine la giornata ed è già molto complicato, la voglia di condividere anche il poco con la propria comunità, i bambini che pur piccoli partecipano consapevoli agli impegni della famiglia e nonostante tutto giocano felici tra loro con niente, è stato straordinariamente bello e gratificante perché diverso, più profondo, più intenso di quanto qualsiasi immaginazione possa portarci a provare.
Mi auguro che questa testimonianza, inizialmente promessa a chi ci ha dato un grande aiuto, possa raggiungere non solo loro ma anche altri fornitori, colleghi, amici, conoscenti, clienti o chiunque voglia e possa unirsi a questo progetto, e perché no, non solo con la fornitura di merce, comunque sempre gradita, ma anche con qualche aiuto economico più concreto da devolvere con offerte o con il 5×1000 alla Associazione Il Buon Smaritano Onlus.
Per informazioni: Associazione Il Buon Smaritano Onlus, Via Filippo Turati, 4/I – 66041 Atessa (CH). Presidente Dr. Antonio Sparvieri. Segreteria Sig.ra Carolina Berardi cell 380 345 9934
Pubblicazione gratuita di libera circolazione. Gli Autori non sono soggetti a compensi per le loro opere. Se per errore qualche testo o immagine fosse pubblicato in via inappropriata chiediamo agli Autori di segnalarci il fatto e provvederemo alla sua cancellazione dal sito