Di Leonardo Servadio
Sul Corriere della Sera dell’8 aprile 2022 Serghej Karaganov, e lo stesso giorno su Repubblica Serghej Markov: due interviste rilasciate da due degli uomini più vicini a Putin sul piano dell’analisi e della pianificazione geopolitica. Il primo, Karaganov, è direttore del Consiglio di politica estera e della difesa russo, preside della facoltà di Economia mondiale e affari internazionali della Scuola superiore di studi economici dell’Università di Mosca, consigliere di Putin come in passato lo fu di Eltsin, membro della Commissione Trilaterale. Il secondo, Markov, è stato consigliere di Putin, è docente di Scienze politiche presso l’Istituto di Relazioni internazionali di Mosca, copresidente del Consiglio strategico nazionale, già membro della Commissione presidenziale della Federazione Russa per “Contrastare i tentativi di falsificare la storia a detrimento degli interessi della Russia” (sic!), parlamentare di Russia Unita (il partito di Putin) e tante altre cose, sempre nell’ambito della propaganda di stretta osservanza putiniana.
Nelle rispettive interviste hanno detto tante cose più o meno interessanti, alcune delle quali sono riflesse anche nelle citazioni di Karaganov contenute in alcuni degli articoli pubblicati in questo sito-rivista.
Ma qui vorremmo anzitutto notare l’importanza stessa del fatto che due personaggi di tale levatura, e di tale posizionamento nell’élite russa, rilascino nello stesso giorno due interviste ai due più importanti organi di stampa di un Paese come l’Italia che, per quanto fermamente e indissolubilmente atlantista, è anche sempre stato aperto al dialogo con Mosca e a essa vicino. Che cosa può questo indicare?
La Russia può perdere?
Karaganov insiste che la Russia non può perdere la guerra in Ucraina. Sarebbe curioso che un esponente di un Paese in conflitto dicesse che il suo Paese è disposto a perdere un’avventura bellica che, per giunta, ha cominciato solo da poche settimane.
Markov riferisce che i piani di guerra moscoviti sono cambiati dopo l’inizio delle operazioni, come peraltro tutti i media occidentali hanno sempre sostenuto, per aver trovato una resistenza non prevista da parte delle forze militari ucraine.
Insomma nessuno dei due esponenti russi compie rivelazioni di particolare rilevanza, sempre che non si voglia attribuire una certa rilevanza alla minaccia dell’uso di armi nucleari profferita da Karaganov, e peraltro già ripetuta da Putin sin dall’inizio delle operazioni militari.
Dunque perché parlano? Che cosa intendono ottenere, visto che i due sono entrambi parte dell’apparato propagandistico moscovita?
Sul campo di battaglia
La situazione sul campo di battaglia, per quel che si può ricavare da quanto trapela tra i fumi della propaganda, è che le truppe russe si stanno rischierando nella zona sud orientale dell’Ucraina dove in prevalenza gli analisti militari non dubitano che riusciranno a consolidare la loro presa sul Donbas e su Mariupol per quanto in questa città, che è il principale porto dell’Ucraina, continuano a non riuscire ad aver ragione delle truppe che difendono gli impianti industriali di Azovstal.
Prendendo per buone queste valutazioni militari, e in considerazione del fatto che gli armamenti che saranno conferiti nelle prossime settimane da diversi Paesi occidentali daranno agli Ucraini una maggiore capacità di difesa e forse di contrattacco, va tuttavia notato che sarà sempre più difficile per il regime moscovita non far conoscere alla propria cittadinanza la gravità della situazione militare.
Le notizie di eccidi compiuti ai danni di civili a Bucha e Kramatorsk emerse nel corso della prima settimana di aprile 2022 lasciano presupporre un difetto di autocontrollo delle truppe russe, e questo potrebbe essere indizio di disorganizzazione, ovvero di quell’incapacità di mantenere il rigore strategico senza il quale è difficile che una forza armata riesca a prevalere in un terreno ostile.
Per quanto la popolazione russa sia per la stragrande maggioranza favorevole a Putin e alla sua politica, la non lontanissima memoria della disfatta in Afghanistan potrebbe erodere questa fiducia, anche in breve tempo. Ovviamente è questo su cui stanno puntando gli Stati Uniti sin dall’inizio di questa crisi bellica, probabilmente sin da prima che la vera e propria invasione avesse luogo.
Quanto è solida l’unità russa?
La Russia attuale non ha nulla a che vedere con la granitica unitarietà che caratterizzò la Germania degli anni ‘30 e ‘40 del XX secolo: certo, sia quella Germania, sia questa Russia sono caratterizzate da forti rivendicazioni per le sopraffazioni economiche subite a opera del mondo liberista occidentale, nel primo caso nella forma della sanzioni stabilite col trattato di Versailles, nel secondo caso nella forma dell’ondata di liberismo da “shock therapy” accettato da Eltsin a detrimento dell’economia ex sovietica nonché della compattezza geopolitica dei territori vicini alla Russia. Ma quella Germania si mantenne unita, a parte sporadici tentativi di piccoli gruppi di oppositori, testardamente sino alla fine – per quanto fosse chiaro a chiunque che dopo la sconfitta di Stalingrado nel ‘43 non avesse alcuna possibilità di vittoria.
Questa Russia non ha quel cemento ciecamente nazionalista e la situazione dei mezzi di comunicazione di massa oggi è ben diversa da quella di un secolo fa: significativo al proposito è che Markov nella sua intervista riferisce di uno scambio avuto via WhatsApp, in una condizione in cui ci si aspetterebbe che in Russia cerchino piuttosto di oscurare tutti questi “social” occidentali.
Cambia qualcosa a Mosca?
Dunque si può forse ipotizzare che le due interviste di Karaganov e di Markov riflettano un ambiente culturale moscovita che si pone il problema di come mettere fine alla guerra in Ucraina, nel modo migliore possibile, dal suo punto di vista. Ovvero nelle condizioni già sin dall’inizio delle ostilità espresse da diversi conoscitori degli affari russi: neutralizzazione di un’Ucraina di dimensioni ridotte, passaggio sotto l’egida moscovita del Donbas e di parti della costa del Mar d’Azov.
Ma quelle parti del mondo occidentale che hanno spinto sull’acceleratore ucraino in funzione anti Putin sarebbero disposte ad accettare? È come una partita a poker, ora si tratta di “vedere” chi ha i carichi più pesanti. Di qui la corsa al riarmo degli Ucraini da parte occidentale, e rispettivamente da parte russa il reiterare minacce di escalation.
Da parte occidentale da tempo si auspica anche una caduta di Putin. Anche sullo sfondo di questo secondo possibile scenario potrebbero essere significative le due interviste di Karaganov e di Markov.
In fondo, quali accademici, pur avendo sempre mantenuto fedeltà al regime sinché questo regge, potrebbero comunque proporsi come acuti analisti anche in un regime leggermente modificato dopo un’ipotetica caduta di Putin. Nel mondo post-ideologico gli accademici sempre galleggiano, non vanno a fondo con gli esponenti principali del regime.
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