Riceviamo da Don Domenico Poeta, parroco a Buon convento (Diocesi di Siena) e volentieri pubblichiamo:
L’8 agosto 1991, trent’anni fa, la nave Vlora approdava a Bari con un carico di molte migliaia di albanesi a torto o a ragione in fuga da una terra di privazioni e in cerca di una vita migliore.
Ho vissuto di riflesso l’arrivo dell’ondata di giovani albanesi come parroco di un piccolo villaggio della provincia di Siena e, come dappertutto, il primo impatto fu difficile, del tipo “mamma li turchi”. Ero un giovane prete di ventisei anni e qualche volta mi ero anche stufato di perseverare almeno in quel tipo di vita, in un piccolo villaggio sempre più scarso di fedeli, di giovani, di vita, tipo il giovane prete del film La messa è finita di Nanni Moretti.
L’arrivo massiccio di giovani albanesi mi costrinse a una brusca conversione.
Come diceva spesso don Oreste Benzi: “I poveri ci convertono”. E così fu. La casa parrocchiale si affollò sempre più di giovani che avevano bisogno soprattutto di un alloggio e di documenti. Per il lavoro spesso arrivavano con il problema già risolto tra di loro perché in quel momento erano molto richiesti. Poi ci furono da fare le pratiche per i ricongiungimenti, poi le cosiddette sanatorie del 1992, 1998, 2002 e un manipolo di giovani volontari si unirono nella missione migranti con esperienze anche molto intense. Vidi ad una ad una le mogli dei ragazzi arrivare spaesate, timide, alcune un po’ impaurite da una cultura molto diversa e non sempre accogliente. Alcuni giovani si sposarono tra italiani e albanesi. A distanza di trent’anni possiamo dire che è difficile trovare un albanese che non lavora. Spesso li porto come esempio di integrazione. Ci sono voluti trent’anni ma oggi possiamo dire con soddisfazione che gli albanesi non solo si sono ben integrati in Italia ma sono anche uno dei popoli più amici degli italiani.
Accogliere, accompagnare, integrare, sono tre verbi con pesi diversi.
Accogliere è bellissimo e si può risolvere in fretta, con uno spazio abitativo e umano dignitoso.
Accompagnare è un’azione con cui ci carichiamo delle tante fatiche di un percorso di inserimento culturale, lavorativo, relazionale, umano.
Integrare è una sorta di risultato finale di cui gli albanesi spesso ci mostrano la via con successo.
Siamo diventati amici, nonostante l’esordio talvolta disarmante, e la forza di questa relazione profonda ha distrutto i pregiudizi, le frontiere culturali, i luoghi comuni, le reciproche ristrettezze mentali con cui non potevamo costruire un’Italia delle culture.
Alcune volte ci siamo recati in Albania con gruppi di volontari e con amici.
Nessuno di noi sapeva dove ci avrebbe portato il viaggio della Vlora, la nave dolce. Adesso, a distanza di trent’anni lo sappiamo e ne siamo oltremodo felici. Un mese fa camminavo a piedi per strada, in città, si fermò un camion della spazzatura e l’autista scese per salutarmi con calorosi baci e abbracci tra gli insulti degli automobilisti che si trovavano in fila dietro al camion fermo. Era uno degli albanesi arrivati in quel periodo e che avevo ospitato in casa parrocchiale. Una volta ho pianto amaramente per le difficoltà che trovavamo nell’integrare il grande numero di albanesi che era arrivato in seguito alla seconda crisi politica, quella del 1997, con la caduta del governo di Sali Berisha.
Oggi più che mai possiamo dire che i ragazzi dell’Albania sono i nostri ragazzi. Scrivo qui di seguito, col suo consenso, le parole con cui una bambina di quella seconda ondata mi ha scritto ultimamente, a più di vent’anni di distanza.
Caro don Domenico, conversando a una cena mi hanno informato che lei si trova a San Rocco e mi ha fatto molto piacere sapere di poterla contattare.
Innanzitutto il motivo di questo contatto è per ringraziarla. Non so se lo ricorda ma, ventitré anni fa, io e la mia famiglia ci spostammo dal campo profughi in una casa vuota, senza letti e senza nulla. Io mi ricordo ancora quella sera invernale in cui lei venne e portò letti, coperte e cibo, insieme ai carabinieri i quali a loro volta portarono candele e lampade a gas per permetterci di studiare.
Ebbene, io e mio fratello abbiamo studiato davvero. Questa è una lettera di gratitudine. Io oggi sono laureata e sono diventata avvocato grazie anche al contributo di persone come lei…
Non posso dimenticare il popolo albanese, gli sarò grato per sempre, più che dare ho ricevuto da loro. Grazie ragazzi, siete un popolo giovane e meraviglioso.
don Domenico Poeta
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