di Mario Lettieri* Paolo Raimondi** Sottosegretario all’Economia del governo prodi **Economista
Le sanzioni contro la Russia per Washington hanno una valenza soprattutto geopolitica.
E’ il ritorno alla guerra fredda tra le due superpotenze. Per l’Unione europea, invece, esse rischiano di creare dei grandi disastri economici e politici per l’intera area euro-asiatica.
La mancanza di “personalità internazionale” dell’Europa è purtroppo nota. Con il suo indebolimento economico, l’Europa rischia anche di sottomettersi ad un nuovo atlantismo. Ciò farebbe piacere a Washington. Le sanzioni di fatto mortificano il ruolo indipendente dell’Ue e ogni sua autonoma visione strategica degli assetti geopolitici da realizzare.
Gli effetti negativi delle sanzioni in Europa, in particolare in Germania, per fortuna stanno però generando un dibattito profondo sul ruolo e sullo sviluppo dell’Ue.
Come è noto l’Ue ha deciso di estendere le sanzioni anche contro le imprese russe, così come già fatto dagli Usa. Washington ha sulla sua “black list” imprese quali il gigante petrolifero Rosneft, quello del gas Novatek, la Gasprombank e la fabbrica di armamenti Kalashnikov. Queste aziende non possono più chiedere prestiti alle banche americane, né vendere titoli di medio e lungo termine a investitori che hanno legami con gli Usa.
In breve si vuole strangolare finanziariamente le imprese e le banche russe che potranno avere sempre meno accesso ai mercati finanziari internazionali. Il rischio però è un boomerang. Gli effetti si sentiranno in tutta Europa, Germania compresa. In Italia si è già toccato l’export di prodotti agricoli e di vino.
La Confindustria tedesca parla di una perdita di 25.000 posti di lavoro. La Deutsche Bank calcola una diminuzione dello 0.5% del Pil tedesco causata dalle sanzioni incrociate.
L’autorevole Camera di commercio russo tedesca prevede che le sanzioni colpiranno almeno un quarto delle imprese che fanno business con l’estero. Del resto una ditta di guarnizioni per pipeline della Baviera che lavora con Novatek ha già subito una riduzione del 30% per la cancellazione o la posticipazione di ordini. La stessa Siemens sembra che dovrà bloccare immediatamente un contratto di 90 milioni di euro per turbine e generatori ordinati da Rosneft. Le case automobilistiche tedesche si aspettano nette riduzioni delle vendite in Russia nel 2014: la Volkswagen con 10% in meno, mentre l’Opel ha già perso il 12% nei primi 5 mesi dell’anno. Di fatto Mosca è indotta a cercare fornitori alternativi.
Quindi oggettivamente si è creata una situazione difficile per gli investimenti in Europa, anche per la vita stessa di alcune aziende europee che rischiano di essere penalizzate.
Contemporaneamente Berlino sta considerando una nuova politica economica europea. Il centro studi DIW (Istituto tedesco di ricerche economiche) ha rimesso al centro delle sue proposte gli investimenti di lungo periodo in nuove tecnologie ed in infrastrutture considerate essenziali per la ripresa economica.
Dall’inizio della crisi finanziaria globale la creazione del capitale fisso nella zona euro è diminuita del 15%. C’è un enorme gap tra gli investimenti programmati e quelli effettivamente realizzati.
Nel 2010-12 in Germania tale gap è stato del 3,7%. Per recuperare i ritardi si stima necessitino investimenti per ben 80 miliardi all’anno, mentre per quanto riguarda l’intera Ue occorrerebbero circa 200 miliardi di euro all’anno.
Berlino sta quindi pensando alla creazione di un fondo europeo di 100 miliardi di euro gestito dalla Banca Europea degli Investimenti. Le banche di sviluppo nazionali, come la Cassa Depositi e Prestiti in Italia e la Kreditanstalt fuer Wiederaufbau in Germania, sarebbero coinvolte nella concessione dei crediti per lo sviluppo. Un tale approccio dovrebbero essere al di fuori dei parametri del Patto di Stabilità.
Il fondo dovrebbe anche avere la possibilità di emettere obbligazioni, garantite dai Paesi che vi partecipano. Esse avrebbero perciò un rating molto vantaggioso mantenendo bassi anche i tassi di interesse. Non crediamo vi possano essere difficoltà a trovare sottoscrittori in quanto, come è noto, ogni anno nell’eurozona si registra un risparmio di circa 300 miliardi di euro, pari al 2,5% del suo Pil.
Bene il fondo, ma secondo noi, la strada maestra per l’Ue è quella della cooperazione e dello sviluppo al suo interno e con i Paesi vicini per dare all’Europa stabilità e una solida prospettiva di ripresa.
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